Che in Italia ci sia una vera e propria emergenza educativa è ormai un fatto acclarato da tempo. La drammaticità della situazione è stata denunciata negli anni da molteplici ricerche ma l’allarme non ha mai raggiunto quel livello di attenzione necessario per produrre adeguate soluzioni. Ultima in ordine di tempo è la ricerca di Save The Children che conferma una situazione già segnalata in altre occasioni: in Italia il 51% dei quindicenni è incapace di comprendere compiutamente un testo 

Come è sempre avvenuto nel passato, anche questa volta non verrà data sufficiente attenzione ad un fenomeno che è a pieno titolo causa ed effetto del declino del nostro Paese.  

L’emergenza educativa in Italia è giunta ad un livello di tale criticità che abbiamo voluto dedicare il primo Quaderno della Fondazione Germozzi non solo ad analizzarne il fenomeno, ma anche ad indicare alcune linee di azione a nostro parere utili ad affrontarlo. Nelle conclusioni del ‘Quaderno’, a firma del Presidente, Prof. Giulio Sapelli, si afferma che: (…) esiste un indiscusso problema educativo che coinvolge pienamente il mondo dell’istruzione scolastica ai vari livelli, ed alcuni dati ne fotografano la gravità:  

  •  Bassa quota di laureati: uno dei target della strategia Europa 2020, presentata nel 2010 dalla Commissione europea, prevedeva che entro il 2020 fosse laureato almeno il 40% dei giovani europei tra i 30 e i 34 anni. Nel 2020 l’Ue a 27 si attestava sul 41,0% mentre l’Italia si fermava al 27,8%, dato che ha superato dal 2016 il target nazionale di 26-27% ma è inferiore di ben 13,2 punti percentuali alla media europea e superiore solo rispetto al 26,4% della Romania.  
  •  Dispersione scolastica: il nostro Paese è tra quelli dove, con più frequenza, i giovani risultano fermi al primo ciclo di istruzione. Nel 2020, in Italia, il 13,1% dei giovani tra 18 e 24 anni raggiungeva al massimo una educazione 57 secondaria inferiore e non era iscritto ad ulteriore formazione (early school leavers). Tale quota superava di 3,2 punti percentuali la media europea del 9,9% ed era la terza più alta in Ue a 27 dopo Spagna (16,0%) e Romania (15,6%). Ciò (…) comporta (in un processo successivo) una alta percentuale di Neet (Neither in Employment or in Education or Training), assai più elevata della media europea. 
  •  Gap tra domanda ed offerta: il dato della dispersione scolastica si ripercuote, a tutti i livelli, nello storico gap tra offerta e domanda di lavoro. In Italia sono previste 505 mila entrate di dipendenti ma oltre un terzo (36,5%, pari a 184 mila) sono difficili da trovare  
  •  Lacune del sistema formativo: sulla base della rilevazione Ocse-PISA sulle competenze di base degli studenti quindicenni, l’Italia ha ottenuto un punteggio inferiore alla media Ocse in lettura e scienze e in linea con la media Ocse in matematica. Dopo il 2012 la prestazione media dell’Italia in lettura e in scienze è diminuita. Questi dati evidenziano che in Italia il deficit di istruzione e formazione è arrivato ad un livello allarmante (…). 

Anche la citata ricerca di Save the Children, come la tragedia di Sisifo che cerca di scalare la montagna in un andirivieni interminabile, ci racconta di nuovo una realtà veramente drammatica che, in assenza di correttivi, si sta trasformando in uno stato ineludibile. 

Già il rapporto dell’Istat 2020, infatti, raffigurava il quadro della situazione: (…) l’Italia presenta livelli di scolarizzazione tra i più bassi dell’Unione europea, purtroppo anche con riferimento alle classi d’età più giovani nonostante la diffusione dell’Istruzione sia considerevolmente cresciuta. Ed anche l’Ufficio Studi di Confartigianato mette a nudo questa realtà. 

E’ una situazione nella quale è necessario superare ‘l’allarmismo mediatico’ che, per altro, dura giusto il tempo di attivare discussioni ad effetto dell’ultima ora per poi cadere nel nulla, mentre è urgente giungere finalmente a soluzioni realmente praticabili e capaci di essere velocemente implementate. 

Come due anni di pandemia hanno accelerato sensibilmente i processi di digitalizzazione nel nostro Paese più dei trenta anni di convegnistica, dibattiti e politiche pubbliche, così dobbiamo evitare che l’emergenza educativa soffochi tra dibattiti infiniti e soluzioni impraticabili, fino al punto di non ritorno. 

I dati ormai li conosciamo e qualsiasi ulteriore appendice rischia di sfociare nel clamore autoreferenziale di questo o quest’altro ente di ricerca finché, come accade da anni, l’indagine successiva testimonierà nuovamente una drammatica emergenza educativa a livelli sempre più allarmanti. 

Le azioni operative possono e devono essere molteplici ma è necessario, come prima cosa, ridare ‘dignità’ al ruolo della Scuola all’interno del tessuto connettivo del nostro Paese. Il mondo dell’Istruzione e dell’Educazione deve diventare il fattore primario di ogni dinamica, sociale, politica ed economica. Ridare dignità significa anche considerare l’Istruzione un elemento strategico al quale attribuire una quota significativa di fondi, sovvertendo la storica tendenza che vede, anche quest’anno e per gli anni a venire, un calo degli investimenti, come si legge nel documento di Economia e Finanza 2022.  È necessario anche ridare dignità al lavoro dell’insegnante, riconoscendo ad esso un ruolo fondamentale per il futuro del Paese e considerandolo una vera e propria ‘missione sociale’. Innanzitutto, con significativi livelli retributivi che testimonino la delicatezza e la funzione strategica della professione, e poi realizzando un sostanziale aggiornamento della strumentazione a disposizione dei docenti, in linea con le moderne tecnologie dell’istruzione e dell’apprendimento, introducendo percorsi di aggiornamento e modelli di gestione capaci di motivare. È impellente anche rivedere il sistema di istruzione nel suo insieme, sia quello secondario di primo e secondo grado, aggiornando i percorsi scolastici, le materie, i modelli di apprendimento, sia quello universitario e post-universitario. 

 

Per fare questo, però, è fondamentale ed urgente lavorare su un percepito sociale distorto, ristabilendo a tutti i livelli il concetto che la persona preparata e competente, che studia, si informa e si forma, capace di confrontarsi a pari livello con le realtà dei Paesi esteri, svolge un ruolo centrale per il Paese.

 

Ridare dignità alla Istruzione significa anche rivedere le offerte formative superando la dannosa classificazione, presente nella scuola secondaria di secondo grado e post diploma, tra percorsi di livello inferiore e di livello superiore, affermando che tutte le offerte educative devono condurre alla formazione di ‘competenze complesse’, applicative, intellettuali ed emozionali allo stesso tempo.  

Tenere insieme intelletto e azione (ciò che è, tra l’altro, vero e reale in qualsiasi attività della esistenza umana) nei processi di istruzione significa anche uscire dalla odiosa dicotomia scuola-lavoro. È del tutto evidente che una scuola moderna non può limitarsi a sviluppare un approccio puramente concettuale, come altrettanto non può essere intesa semplicemente un ‘avviamento al lavoro’. 

La scuola è apprendimento e conoscenza funzionali allo sviluppo della persona che giunge a scoprire i suoi talenti, all’educazione del cittadino, alla socialità, alla comprensione dei testi e dei contesti, cioè alla capacità di leggere e vivere correttamente le dinamiche, i processi, e le situazioni, anche mutevoli. Tuttavia, con particolare riguardo ai percorsi secondari di secondo grado, una scuola secondaria che non si ponga il problema di prospettare il ‘dopo’ perde una parte fondamentale della sua funzione. Il dopo è capacità di lavorare, che significa conoscere le tecniche ed anche comprendere le situazioni, essere orientati e capaci di imparare, intraprendere strade nuove per innovare, saper interagire e collaborare, rispondere con resilienza alle difficoltà ed ai continui cambiamenti di contesto. 

Poiché la scuola è fatta di realtà e di futuro, essa non può prescindere dal lavoro che rappresenta il primo asset nel quale i giovani possono investire per impostare la loro vita da adulti autonomi.   Il mondo del lavoro è una dimensione composita che si declina in molteplici realtà ma, al cui interno, le imprese assumono un ruolo centrale. Imprese che desiderano incontrare ragazzi capaci di comprendere i contesti nei quali sono inseriti, di interagire correttamente, di avere una formazione specifica di base subito spendibile ma, soprattutto, capaci di imparare e apprendere velocemente tecniche e competenze specifiche.  Non formati immediatamente al lavoro, poiché è impossibile in un sistema in continuo mutamento che rende subito obsoleta qualsiasi rigida classificazione, ma principalmente formati ad apprendere, ad inserirsi velocemente nel contesto di lavoro ed essere un valore aggiunto nei processi ai quali partecipano.  Solo un approccio complesso e completo consentirà ai giovani di apprendere dall’esperienza dei colleghi senior (pensiamo ai Maestri Artigiani delle nostre Imprese e all’alto valore formativo che posseggono: training on the job lo chiamano i ‘formatori’) e sviluppare da essa una nuova e personale modalità di lavoro capace di garantire una vitale spinta innovativa. 

È necessario prendere atto che il tempo dell’attesa e dell’analisi conoscitiva è terminato ed è urgente procedere a passi spediti verso la declinazione di un nuovo modello di Istruzione, a partire dalla coscienza della assoluta priorità e centralità che esso ricopre in ogni aspetto della vita del Paese. 

 

Foto di Wokandapix da Pixabay