La crisi ucraina, ancora prima dell’invasione russa, si è riversata sul nostro paese, facendo esplodere il costo dell’energia sulle imprese e sulle famiglie.
La ragione deriva da due fattori precisi: l’attuale sistema di fissazione del prezzo del gas, che prescinde dall’equilibrio fra domanda e offerta sul mercato fisico, e l’ormai strisciante crisi della raffinazione nazionale che non garantisce più la piena autonomia dei rifornimenti di prodotti petroliferi.
Problemi strutturali in essere da decenni, le cui conseguenze sono emerse in occasione della crisi, penalizzando famiglie ed imprese.
Eppure, nonostante la necessità di interventi immediati ed efficaci in materia di strategia energetica, la classe dirigente ha finora preferito parlare d’altro.
Si spera, senza dirlo, che l’Ungheria mantenga il veto all’embargo petrolifero in modo da riuscire a disporre del gasolio e del jet-fuel provenienti dalla Russia e dalle raffinerie dell’Est Europa che raffinano greggio russo.
La Germania ha detto chiaramente che non è in grado di fermare i flussi di gas russo, pena il tracollo del sistema industriale.
In Italia è prevalsa la propaganda rassicurante di far credere che si potesse facilmente sostituire il gas ed il petrolio russo garantendo la continuità degli approvvigionamenti. I vari viaggi in Africa hanno forse rafforzato antichi legami di amicizia ma non hanno garantito nuovi rifornimenti di gas.
Nessuno ha avuto il coraggio di spiegare agli italiani che i contratti, come quello con la Russia, sono “take or pay”, ovvero contratti che obbligano a pagare il gas sia che lo ritiri sia che non lo ritiri. Se dovessimo interrompere, unilateralmente, i flussi di gas russo per sostituirlo con altro proveniente non si sa da dove, avremmo la situazione paradossale di dover pagare sia quello russo (in ogni caso) in aggiunta a quello cinque volte più caro proveniente da altre aree geografiche. Un dramma per le nostre bollette.
Realisticamente, potremmo acquistare in tempi abbastanza ridotti, il gas liquefatto (GNL o LNG) proveniente dagli USA o dal Qatar. Ovviamente, se saremo in grado di costruire e di fare accettare dalle popolazioni gli impianti di rigassificazione.
E qui c’è un punto che appare misterioso.
L’Italia ha delle grandi riserve di gas e petrolio In Adriatico, Basilicata e Sicilia. In passato, quando si effettuavano investimenti importanti, la produzione di gas nazionale superava i 21 miliardi di metri cubi all’anno. La produzione di petrolio in Basilicata potrebbe superare 100 mila barili al giorno ed arrivare a coprire circa il 15% del fabbisogno nazionale.
Purtroppo, negli ultimi due decenni, gli investimenti sono crollati e sono stati imposti vincoli burocratici che hanno bloccato la produzione di gas e petrolio nazionali.
A fronte della crisi che stiamo vivendo, riprendere la produzione nazionale appare come l’unica azione che ridurrebbe pesantemente e stabilmente la nostra dipendenza energetica. Di questo, inesplicabilmente, non solo si evita di parlare, ma non si prende alcuna azione concreta per rilanciare lo sviluppo delle nostre fonti energetiche.
Si è lanciato un piano straordinario che prevede 24 miliardi di euro per la costruzione di rigassificatori, che consentiranno l’importazione di GNL, un gas molto più costoso e più inquinante (con la tecnologia GNL, 30% del gas prodotto viene scaricato in atmosfera). Per la produzione del gas nazionale non è previsto un solo euro di investimento o di incentivi. È bene chiarirlo. Passare dal gas naturale via pipeline al GNL aumenta la fragilità del nostro sistema. Il GNL è soggetto a fortissime tensioni e speculazioni dei mercati internazionali e rischiamo di pagarne le conseguenze.
Similmente, in nome di un presunto mercato libero, il prezzo del gas al consumo viene fissato sulla base della quotazione del gas sulla borsa di Amsterdam (TTF). Si è potuto constatare che questo prezzo è poco correlato al mercato fisico del gas ed è pesantemente manovrato dalle attività speculative di pochissimi traders che operano nella piazza di Amsterdam. Questo prezzo è impazzito mesi prima dell’invasione russa quando l’offerta di gas era pienamente bilanciata alla domanda, grazie alla speculazione dei traders finanziari.
Occorrerebbe un’azione forte del governo e delle varie Autorità istituzionali per garantire la trasparenza sul prezzo d’acquisto del gas delle grandi compagnie nazionali, e far sì che il prezzo al consumo sia in linea con le reali dinamiche di mercato evitando di far pagare ai consumatori l’effetto della speculazione fatta da pochi traders.
C’è da augurarsi che la politica del governo poggi sulla convinzione che la crisi durerà poco e che presto torneremo a godere dei flussi di approvvigionamento a basso costo dalla Russia.
Se, però, la crisi dovesse durare ancora a lungo, oltre l’inizio del prossimo inverno, occorrerà un atteggiamento più responsabile e deciso per individuare e mettere in atto una strategia energetica che consenta di superare le attuali fragilità e di ridurre in modo significativo il costo dell’energia. Come si fece nel 1974 dopo la prima grande crisi petrolifera.
Se la questione dell’autonomia energetica nazionale è seria, allora occorre un piano strategico con priorità ferme e da perseguire a tappe forzate: idrocarburi nazionali (petrolio e gas), nucleare, rigassificatori, nuove tecnologie per i prodotti petroliferi (Gas to Liquid), fonti alternative al massimo possibile, risparmio energetico, geotermia senza emissioni in ambiente, idroelettrico.
Si tratta di un punto strategico decisivo, su cui le forze produttive non sempre hanno spinto in modo attivo. Molto spesso, le varie componenti del sistema produttivo del paese si sono limitate a chiedere forme di sostegno per gli alti costi che devono sostenere per i loro consumi energetici.
I piccoli e medi imprenditori devono essere consapevoli di essere le principali vittime della mancanza di strategia energetica nazionale.
L’energia è uno dei pilastri, insieme alla finanza, della globalizzazione. Un uragano in Florida o Texas provoca drammatici rialzi dei prezzi negli USA ma anche in Estremo Oriente. Un paese fragile come l’Italia è sottoposto alle conseguenze di qualunque perturbazione dovesse avvenire sui mercati internazionali.
Spesso dimentichiamo la lezione di Enrico Mattei, che, avendo in mano quattro pozzetti di petrolio in Val Padana e delle bolle di gas in Adriatico, riuscì a creare l’Eni ed a metanizzare l’intero paese, portando energia pulita ed a basso prezzo in ogni paesino dell’appennino. Oggi, disponiamo di maggior risorse naturali e tecnologiche, ma abbiamo dimenticato come valorizzarle e come farne un punto di forza per lo sviluppo del paese.
Salvatore Carollo
Autore di "C'era una volta il prezzo del petrolio" (Scheiwiller, 2008) e di "Understanding Oil Prices: A Guide to What Drives the Price of Oil in Today's Markets" (Wiley 2012). Ha sviluppato la sua carriera in Eni nel settore del trading di Oil & Gas ed è stato lecturer in Eni Corporate University. Salvatore Carollo scrive correntemente in riviste specializzate in materia energetica ed è spesso chiamato come speaker in conferenze internazionali. A fine 2015 è rientrato da Londra, dove ha passato gran parte della sua carriera.