Il nostro Paese si trova in un momento eccezionale della sua storia, di svolta politica, sociale ed economica. Di fronte ad un futuro incerto, tutto da costruire, come Fondazione Germozzi sottolineiamo ancora la necessità di porre al centro del dibattito pubblico la situazione della scuola per formulare con estrema urgenza scelte incisive e coraggiose.
Partendo dalle esperienze degli ultimi anni, possiamo affermare che la scuola italiana abbia affrontato la pandemia superando ogni accusa di immobilismo e, con una straordinaria reattività, abbia consentito la prosecuzione della didattica tramite il digitale.
Da quell’esperienza il mondo della scuola italiana, tradizionalmente conservatore, ha accelerato al suo interno il dibattito sull’utilizzo degli strumenti multimediali ed iniziato un confronto costruttivo sulla Didattica a Distanza. Questa stessa apertura non la si riscontra fuori dal contesto degli addetti ai lavori dove, al posto di una valutazione oggettiva sull’efficacia e sulle criticità della DAD, abbiamo assistito alla formulazione di un giudizio assoluto di condanna, quasi valoriale, figlia del momento contingente e di una generale disabitudine a ragionare in termini critici, ma incapace di cogliere la visione d’insieme e le prospettive di un moderno sistema di istruzione.
Ricordiamo che se non vi fossero stati la DAD e l’e-learning, con le varie piattaforme multimediali, avrebbe abbassato la saracinesca tutto il mondo della formazione e della istruzione. Ciò non è avvenuto e grazie all’uso del ‘digitale’ (anche se usato talvolta anche in maniera davvero rudimentale) le agenzie educative e gli operatori di settore, dall’educational alla formazione manageriale, hanno potuto proseguire la propria attività.
Due anni di pandemia hanno avuto l’effetto di accelerare quei processi digitali che venti anni di convegnistica e politiche pubbliche non erano riusciti minimamente a fare.
Per mettere a sistema i risultati di questa grande sperimentazione sull’uso del digitale e delle piattaforme multimediali nella scuola è necessario uscire dall’approccio oppositivo che impedisce una valutazione oggettiva, non consente di focalizzare e valorizzare gli aspetti positivi della DAD né di lavorare in modo costruttivo per arginarne le criticità
Per allontanarsi dalla visione ideologica, che spesso in Italia inquina i dibattiti, vogliamo premettere che la scuola deve sempre prediligere la didattica in presenza, sia per lo sviluppo degli apprendimenti e delle competenze che per il benessere psicosociale ed affettivo dei ragazzi.
Questo assunto non giustifica, tuttavia, la lotta ideologica verso la DAD che rappresenta, nelle sue evoluzioni, uno straordinario strumento di innovazione della scuola in linea con le trasformazioni della società, i profili motivazionali dei ragazzi, le novità sui modelli di apprendimento e sui modelli valutativi, la necessità di trasferire nuove competenze.
Se ci si fermasse ai drammatici dati dell’ultima inchiesta dell’INVALSI 2021 in merito all’impatto della DAD sulla scuola e sugli studenti, la decisione sarebbe inequivocabilmente quella di evitarne l’utilizzo futuro.
Il 10 per cento degli studenti esce da scuola impreparato ed accede alla maturità con competenze da terza media; con la DAD uno studente su due non raggiunge i livelli richiesti. Un crollo delle competenze, insieme con il crollo della socialità e un accentuarsi della divaricazione tra abbienti e meno abbienti.
Questo risultato, per altro, sarebbe stato fortemente prevedibile anche alla luce del quadro tracciato dai test INVALSI degli anni precedenti all’utilizzo della DAD, quando in modo sistematico è stato rilevato un continuo calo delle competenze ed una regressione rispetto agli altri Paesi europei. La lingua italiana e le materie cosiddette Stem non si apprendono nell’ultimo anno di scuola, casomai si approfondiscono e si affinano. I risultati degli INVALSI post covid, dunque, risentono in modo particolare della forte volatilità degli apprendimenti e testimonia la necessità di una rivisitazione profonda del sistema scolastico italiano
Più che concludere per un condanna dello strumento, questi risultati che ci sembrano evidenziare, piuttosto, come la DAD abbia scoperto le carenze strutturali e storiche della scuola e della società, dimostrando innanzitutto come l’Italia non sia ancora pronta allo sforzo digitale che la Didattica a Distanza richiede alle agenzie formative ed alle famiglie.
Il dualismo che si è venuto a creare, con le affermazioni perentorie espresse anche al livello decisionale sulla necessità di non ricorrere più alla Didattica a Distanza, mette in pericolo i processi di innovazione e le sinergie che potrebbero generarsi nell’incontro tra il mondo della Scuola ed il mondo della Rete.
E’ indubbio che la scuola debba porre le sue fondamenta nella didattica in presenza. Anzi, è altrettanto indubbio che questa partecipazione sociale debba potenziarsi e diventare un vero e proprio progetto educativo, non limitandosi al rapporto d’aula tra studenti e tra il gruppo classe ed i docenti ma aprendosi ai Patti di Comunità Territoriali, già previsti nel Piano Scuola 2020/2021 e scarsamente applicati.
Tuttavia, la mancanza di attenzione verso uno strumento potentissimo per il potenziamento dell’apprendimento, come la didattica digitale, comporta un vulnus che penalizza la scuola italiana. Questo generale rifiuto, a nostro parere, affonda le sue radici nei problemi strutturali che zavorrano l’Italia da molti anni.
L‘ arretratezza digitale a livello nazionale e il divario tra i diversi territori, le scarse competenze informatiche in ampie fasce della popolazione, tra cui gli insegnanti, la mancanza di una alfabetizzazione sui modelli di apprendimento che consenta di utilizzare le potenzialità del mezzo digitale nel contesto didattico, l’assenza di una progettazione didattica ad hoc ed infine la necessità di dover agire sempre in modo emergenziale e la stanchezza che questo ha prodotto nel personale scolastico, capace di dimostrare una mobilitazione straordinaria che è comunque insufficiente per affrontare la situazione complessa e le criticità che affliggono da anni la società ed il mondo della scuola.
A queste criticità si sommano i divari socio economici territoriali (in particolare nord-sud ma anche città-periferie), la gestione di studenti con disabilità (affidata alle famiglie) e la povertà educativa (ante Covid, toccava circa 3mln e mezzo di bambini) che comporta la difficoltà di avere uno spazio dedicato allo studio, un contesto familiare poco adeguato per affiancare lo studente nel percorso didattico digitale, la carenza di device.
Ed è questo il nodo. Dobbiamo evitare la DAD perché non siamo pronti.
La capacità di usare una piattaforma multimediale come Google meet, Zoom, Classroom, o altre non significa ricorrere in modo efficace alla Didattica a Distanza, poiché non si deve confondere la didattica digitale con le conoscenze tecnologiche. Già ora con la didattica in presenza, infatti, molti insegnanti fanno ricorso a diversi strumenti multimediali a supporto della lezione frontale per stimolare l’apprendimento degli alunni.
Ricorrere alla DAD non significa traslare ‘tout court’ sul mezzo digitale il modello della didattica in presenza, ma vuol dire procedere ad una progettazione che tenga conto dei contenuti e degli obiettivi della didattica, e delle caratteristiche del mezzo, dei destinatari, dei modelli di apprendimento, delle procedure valutative.
Dobbiamo considerare, inoltre, come l’iper-esposizione multimediale stia profondamente cambiando il sistema cognitivo delle nuove generazioni, le attribuzioni simboliche ed i modelli di comportamento. I processi di conoscenza si scompongono e si ricompongono sulla base di nuovi fattori rispetto a prima e, di fronte a questi cambiamenti, la scuola deve preservare la sua missione formativa, educativa e di trasmissione culturale imparando a cavalcare questa rivoluzione.
Certo, la dimensione relazionale in presenza è alla base del processo educativo e formativo, ma l’esperienza di questi due anni di DAD ci porta anche a riflettere fino a che punto, nella attuale didattica in presenza sia effettiva la relazione tra insegnante e alunno, se davvero l’insegnante sia a conoscenza dello stile di apprendimento del ragazzo, della struttura e del livello motivazionale, delle cause che determinano le reazioni del singolo studente e della classe, del reale bagaglio di competenze acquisite. Se realmente la scuola sfrutti tutte le potenzialità che la didattica in presenza offre.
La DAD ha, di fatto, ribaltato la dinamica tra insegnante ed alunno, consentendo a quest’ultimo di manifestare il disagio e la demotivazione non attivando o interrompendo un collegamento. Sono comportamenti che spesso hanno prodotto una giusta sanzione ma che hanno anche portato a riflettere sulle motivazioni del rifiuto, stimolando l’insegnante ad introdurre nei contenuti e nello stile di docenza quegli elementi capaci di trasmettere interesse ed inclusività. La DAD, persino nella versione più semplice come l’abbiamo conosciuta durante la pandemia, ha aperto, dunque, una finestra anche sulla qualità delle relazioni tra studente ed insegnante e sullo stile di insegnamento. In molti casi ha evidenziato in pieno l’adozione di uno stile di insegnamento ancora prevalentemente ‘trasmissivo’ ..
Lo stile tipicamente trasmissivo, che ancora caratterizza molto spesso la didattica in presenza, è inadatto alla didattica ‘on line’ poiché esaspera l’isolamento emotivo e diminuisce la partecipazione attiva del docente, provocando una dispersione dell’attenzione e quell’ ’effetto capanna’ che ha colpito molti ragazzi durante l’esperienza DAD di questi due anni.
L’assenza di una vicinanza fisica, e dunque della comunicazione implicita, determina infatti un eccessivo carico cognitivo [1] per gli alunni, con un conseguente calo del livello di attenzione e di concentrazione, di coinvolgimento emotivo, di partecipazione, di motivazione e, quindi, di efficacia.
La necessità di integrare la Didattica a Distanza con l’esperienza di aula (e le altre iniziative come i Patti educativi di Comunità) è, per altro, ben esplicitato nell’attuale quadro normativo che introduce nella scuola italiana la Didattica Digitale Integrata (DID). Nel Piano Scuola 2020-2021, così come con il Decreto Ministeriale 89 del 7 agosto 2020, si chiede alle Istituzioni scolastiche di redigere un proprio piano didattico inserito nel Piano triennale dell’Offerta Formativa che preveda il ricorso sistematico e non emergenziale della didattica a distanza, ad integrazione e supporto della classica didattica in presenza.
Si esplicita molto bene la necessità di procedere ad una progettazione integrata che consideri sia la lezione frontale che il ricorso a mezzi digitali e multimediali e faccia riferimento a logiche diverse rispetto a quelle che governano la tradizionale didattica in presenza. Diverso il setting, diversi i processi di apprendimento, le logiche del mezzo usato, le motivazioni degli alunni, gli obiettivi ed i contenuti che determinano la scelta della didattica in presenza oppure a distanza, sincrona o asincrona, i metodi di valutazione.
Diverse e più ampie le competenze che si vogliono formare e quelle di chi deve progettare.
La strada è tracciata ma il mondo della scuola, abbandonato a se stesso da molti anni, senza risorse economiche e senza strumenti, è in grado di cavalcare questa rivoluzione, che l’avvicinerebbe alle realtà europee, facendo affidamento solo sulla buona volontà degli insegnanti e dei dirigenti scolastici?
La Didattica Digitale Integrata è una didattica mista che unisce la realtà fisica a quella virtuale, ed in base a ciò riesce a stimolare un apprendimento complesso, sollecitare nuovi interessi e ravvivare nel singolo e nel gruppo il livello di motivazione.
E’ a pieno titolo una nuova metodologia didattica che richiede, come abbiamo detto, un forte investimento progettuale e risponde a canoni diversi da quello della lezione in presenza.
La Didattica Digitale Integrata funziona se è progettata in modo tale da mantenere alti il coinvolgimento emotivo e la collaboratività, se è inclusiva e se, grazie alle peculiarità del mezzo, è flessibile ed in grado di rispondere alle esigenze formative del gruppo ma anche del singolo alunno.
Nella DAD i ragazzi devono diventare protagonisti nel processo didattico, costruire ed organizzare le proprie conoscenze, essere in grado di manipolare i contenuti proposti in modo autonomo, lavorare in gruppo e individualmente per rielaborare gli argomenti ed i concetti oggetto di studio.
L’ambiente di apprendimento digitale diventa allora un sistema dinamico e circolare, aperto alle ‘incursioni’ degli alunni, flessibile e pieno di strumenti e contenuti in grado di rispondere alle diverse personali esigenze che rispecchiano il processo formativo di ogni ragazzo , una vera e propria banca dati ricca di risorse informatiche come libri, video, test ed una ricca scelta di materiale didattico, tutte fonti selezionate sulla base degli obiettivi di apprendimento.
In tale contesto il docente diventa un facilitatore dell’apprendimento, è un ‘coach’ che esercita un ruolo di aggregazione, di stimolo all’apprendimento e di guida verso gli obiettivi definiti.[2]
La DID, dunque, consente una integrazione tra la didattica in presenza e la didattica a distanza senza una sostanziale soluzione di continuità, una sinergia basata sulla valorizzazione delle caratteristiche di entrambe, ma questa metodologia deve essere progettata a monte e rispondere ad un approccio circolare che alterni momenti di sistematizzazione delle conoscenze e formazione di concetti astratti a momenti di studio individuale, esperienze di lavoro di gruppo e di laboratorio individuale e situazioni di confronto intergruppo volti a facilitare il dialogo, l’osservazione, la riflessione ed anche l’esternalizzazione.
Ed infine preveda momenti dedicati alla verifica dei risultati dell’apprendimento, che devono, però, sfociare in un feedback articolato, volto a stimolare una riflessione sul percorso effettuato, fare il punto della situazione sull’apprendimento e delineare un piano di azione successivo.
Anche il momento della valutazione, applicato ad un modello di DID, deve avvicinarsi a quanto già previsto dal Legislatore quando afferma che ‘La valutazione ha per oggetto il processo formativo e i risultati di apprendimento delle alunne e degli alunni, delle studentesse e degli studenti delle istituzioni scolastiche del sistema nazionale di istruzione e formazione, ha finalità formativa ed educativa e concorre al miglioramento degli apprendimenti e al successo formativo degli stessi, documenta lo sviluppo dell’identità personale e promuove la autovalutazione di ciascuno in relazione alle acquisizioni di conoscenze, abilità e competenze’ [3]
Anche i questo caso, l’accusa alla DAD di non consentire una valutazione degli apprendimenti equa ed efficace nasconde tutta l’impreparazione ad affrontare un cambiamento che richiede una rivisitazione profonda delle competenze e delle metodologie didattiche.
Riprendiamo il concetto espresso nel Decreto Legislativo citato, e mutuiamo anche quanto da tempo è applicato nel mondo della formazione aziendale e della valutazione e sviluppo del personale nei contesti di lavoro, per affermare che il momento valutativo deve diventare parte del processo di apprendimento e formativo e non può risolversi in una ‘valutazione sommativa’.
Più che una valutazione dell’apprendimento, la valutazione formativa è una valutazione per l’apprendimento, pone l’attenzione alla persona nella sua interezza, ai comportamenti, alle relazioni, alle motivazioni, ad aspetti generalmente informali.
Una moderna didattica strutturata secondo il modello della DID deve ricorrere, dunque, ad ‘valutazione continua’ che comprenda i due aspetti valutativi sopra esposti, quello sommativo, per misurare il risultato finale dell’apprendimento e quello cosiddetto ‘formativo’, per valutare lo studente nella sua globalità, tracciare il percorso di apprendimento seguito, stimolare lo studente ad un impegno continuativo e fornirgli un feedback sistematico sui progressi e sulle necessità di miglioramento.
Le riflessioni tracciate in modo sommario in questo scritto occupano già da tempo il dibattito tra gli addetti ai lavori
Per altro, nello straordinario mondo della scuola si trovano già singole realtà che, con grande coraggio e perspicacia, stanno applicando un nuovo modello di didattica in grado di abbracciare la modernità e valorizzare la tradizione.
Il tutto nella più totale solitudine e grazie alla buona volontà dei dirigenti scolastici e del corpo docente.
I drammatici problemi che affliggono in Italia il mondo della scuola, l’abbandono scolastico, il buco di competenze rilevato sistematicamente dai rapporti INVALSI anche precedenti al Covid[4], il divario tra Nord e Sud, la necessità di un aggiornamento dei programmi e delle competenze nel corpo docente, una rivisitazione delle metodologie didattiche in linea con le moderne tecnologie e con le trasformazioni della società, richiedono con urgenza un intervento sistematico e profondo a livello di sistema.
E’ un obiettivo che non si può assolutamente procrastinare e che in questo particolare momento di scelte coraggiose, deve essere collocato dai decisori tra le priorità del Paese.
[1] E’ l’impegno che si produce nella memoria di lavoro per elaborare ed immagazzinare le informazioni durante un processo di apprendimento – cfr. Sweller, 1991
[2] Wilson, 1996 – Perkins, 1991
[3] Decreto Legislativo n. 62 del 13 aprile 2017
[4] La crisi della scuola svelata dai test INVALSI, IlSole24ore.com, 11 Luglio 2019
Foto di David Mark da Pixabay
La redazione
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