Nei giorni scorsi si è discusso molto di Istruzione. Soprattuto del fatto che sia stata introdotta la parola ‘merito’ al dicastero competente. Qualcuno nota come il concetto di merito possa, forse, creare un ‘crash’ rispetto a tematiche quali inclusione e disuguaglianze. A vederla in maniera più chiara è Paolo Crepet, psichiatra, sociologo ed esperto di questioni educative. “Sono trent’anni che parlo di merito. E’ giusto introdurlo e valorizzarlo nelle scuole, sennò si rischia l’immobilismo”.

Crepet : inclusione, merito, disuguaglianze. A suo parere come stanno le cose?

«In Italia spesso prevalgono posizioni iper-conservatrici, nell’accezione più nefasta del termine. Il principio del merito è sacrosanto, sia per gli insegnanti che per i ragazzi. Per i primi perché li sospinge a migliorarsi nell’esercizio della loro funzione e per i secondi per acquisire la consapevolezza che la scuola – che forma davvero – è l’unico vero motore del Paese».

Forse alcune prese di posizione sono anche viziate da retaggi storici e pregiudizi culturali?

«Ma certo che sono viziate da un pregiudizio, peraltro figlio di una grande invidia che porta a questa animosità. Ma, a ben guardare, in tutto questo ragionamento c’è un errore di fondo che viene commess».

Cosa intende dire?

«L’errore di fondo è che a questi temi si approccia sempre in maniera ideologica e non nel merito, appunto. I titolari dei dicasteri non li si può valutare sulla base di quello che dicono ma li si dovrà valutare sulla base di quello che faranno. Insomma, purtroppo in Italia, nell’ambito delle discussioni e dei ragionamenti pubblici si tende sempre a ragionare per pre-giudizi e mai per post-giudizi. Inevitabilmente questo porta a valutazioni errate e superficiali, che spesso spostano il focus dal tema centrale: l’istruzione e il merito. Concetti che, evidentemente, devono procedere di pari passo».

Nel corso della sua carriera lei fece anche da consulente ad alcuni ministri. Ricorda qualche episodio particolare?

«Quando lavoravo al fianco di Luigi Berlinguer, i sindacati proclamarono uno sciopero generale solamente perché lui si azzardò a parlare di valutazione. Un’altra follia come quella che sta accadendo oggi. Ma d’altra parte non mi stupisce, dal momento che il 100% degli ammessi all’esame di maturità lo scorso anno sono stati promossi».

Non si rischia, privilegiando il merito, di esasperare la competitività?

«La scuola meritocratica è quella che serve al Paese. Per tanti motivi, ma per uno su tutti. Ben un terzo delle imprese italiane, al momento del cambio generazionale, è costretta a chiudere. E sa perché? Perché i figli non hanno le competenze per portarle avanti. Questo non è uno scenario normale. Anzi, è un fenomeno sul quale avviare una riflessione profonda, perché se si prosegue su questa linea senza invertire il trend il Paese continuerà a perdere posizioni sul terreno della competitività».