Il sistema di istruzione e formazione italiano presenta numerose carenze che ricadono sulla qualità del capitale umano, sulla propensione ad innovare e sulla dinamica della produttività, e l’analisi di alcuni dati conferma dei vistosi ritardi rispetto all’Europa.

L’Italia è al quarto posto tra i ventisette paesi dell’Unione europea per rapporto tra spesa pubblica e PIL, ma si colloca al ventiquattresimo posto per  spesa pubblica per istruzione e formazione, facendo meglio solo di Bulgaria, Romania e Irlanda. Nel 2020 la spesa pubblica italiana per istruzione rappresenta il 4,3% del PIL, di 0,7 punti inferiore alla media Ue del 5% e inferiore a quella dei maggiori paesi europei.

La quota di adulti con, al più, la licenza media nel 2021 è uguale al 37,9%, con una maggiore diffusione  tra gli uomini (40,5%) rispetto alle donne (35,4%). Più di un giovane tra 18 e 24 anni (12,7%) abbandona precocemente gli studi.

La difficile transizione scuola lavoro 

Anche la transizione tra scuola e mercato del lavoro presenta forti criticità: ad un elevato mismatch tra domanda ed offerta si associa una ampia quota di giovani che sono al di fuori di percorsi di formazione e lavoro. A gennaio 2023 risulta difficile da reperire  quasi la metà (45,6%) delle entrate previste dalle imprese, una quota che aumenta di ben 7,0 punti percentuali in un anno. In parallelo il 23,1% dei giovani tra 15 e i 29 anni non lavora e non studia (Not in Education, Employment or Training, Neet), una quota che colloca l’Italia al primo posto in Ue. Nel Mezzogiorno l’incidenza dei Neet è di 9,7 punti superiore alla media nazionale e il fenomeno è più diffuso tra le donne. Come evidenziato nel report presentato questa settimana dall’Ufficio Studi alla Convention 2023 di Donne Impresa Confartigianato vi sono 914 mila giovani under 35 che non studiano, non cercano lavoro e non sono disponibili a lavorare, di cui 651 mila, pari al 71,2% sono donne.

Tra gli indipendenti le donne laureate battono gli uomini 2-0

In relazione alla più alta qualificazione del capitale umano, in Italia i giovani di 30-34 anni con un titolo di studio terziario sono il 26,8%, un valore che rimane ancora lontano dal target del 40% definito dalla strategia di Europa 2020.

Su questo fronte si registra la crescita degli imprenditori e lavoratori autonomi laureati che nel 2021 salgono al 27,5% del totale degli occupati indipendenti, registrando in dieci anni un aumento di 6,8 punti percentuali. Nelle imprese le posizioni coperte da lavoratori indipendenti con istruzione terziaria si riferiscono per l’81,5% al possesso di laurea magistrale e diploma accademico di II livello, per il 16,0% al possesso di diploma di istruzione terziaria, laurea di I livello e diploma accademico di I livello e per il 2,5% al possesso di un dottorato di ricerca. Una maggiore diffusione di laureati tra i soggetti economici d’impresa amplia le chiavi di lettura del contesto in cui opera l’azienda, favorisce le relazioni con dipendenti con high skills e l’uso di tecniche di management che valorizzano gli asset immateriali dell’impresa, oltre a supportare la gestione di investimenti ad alto contenuto tecnologico. L’analisi di genere condotta nel report di Confartigianato evidenzia che la quota di donne indipendenti laureate arriva al 41,1%, risultando pressoché doppia rispetto al 21,4% degli uomini. In chiave dinamica, la quota di imprenditrici e lavoratrici autonome laureate in dieci anni sale di 10,9 punti percentuali rispetto ai 4,5 punti in più degli uomini. In generale, la quota di indipendenti laureati è più elevata nelle imprese più giovani.

Il divario con l’Europa persiste anche per l’incidenza degli indipendenti laureati, risultando pari a quasi dieci punti percentuali (-9,7 punti rispetto all’Ue); il più ampio ritardo rilevato per gli uomini (-11,4 punti rispetto alla media Ue) si dimezza (-5,1 punti) per le donne. Sulla base di questi andamenti, in Italia il peso delle donne tra gli imprenditori, professionisti e lavoratori autonomi laureati è del 46,1%, 5,4 punti percentuali oltre la media Ue a 27 (40,7%).

Nei servizi professionali il 99,3% degli indipendenti laureati lavora in imprese con meno di 50 addetti

Considerando l’insieme del lavoro indipendente laureato si osserva una maggiore concentrazione nell’area dei servizi professionali e una diffusione di laureati del 25,7% nelle micro e piccole imprese, con una tendenza all’aumento al crescere della dimensione di impresa, ma il 99,3% degli indipendenti laureati lavora in imprese con meno di 50 addetti. Va peraltro evidenziato che, sulla base della serie storica disponibile, nel 2019, ultimo anno prima dello scoppio della pandemia, si registra un aumento degli indipendenti laureati del +2,6% nella manifattura, del +2,3% nelle costruzioni e del +2,0% nel commercio, trasporto e magazzinaggio, alloggio e ristorazione, a fronte di un calo dello 0,9% nell’area dei servizi professionali.

Anche nelle attività professionali, scientifiche e tecniche, caratterizzate dalla più elevata incidenza di laureati, in Italia si registra un più marcato addensamento di occupati in micro e piccole imprese, pari all’84,2% degli addetti del settore, una quota di 15,4 punti superiore alla media europea.

L’Italia al 12° posto in UE per laureate in discipline scientifiche e tecnologiche. Facciamo meglio della Germania

Infine, per la seconda economia manifatturiera europea, rappresenta un asset strategico il capitale umano qualificato in percorsi scolastici STEM (Science, Technology, Engineering and Mathematics), che comprendono le aree di disciplinari di Scienze naturali, Fisica, Matematica, Statistica, Informatica, Ingegneria dell’informazione, Ingegneria industriale, Architettura e Ingegneria civile. Per queste tipologie di lauree vi è una minore presenza strutturale delle donne: la quota di laureati STEM in Italia è pari al 16,9%, con il 19,9% per gli uomini e il 13,6% delle donne, un divario diffuso in tutta Europa. Peraltro, mentre la quota di laureati STEM uomini in Italia è inferiore di 4,0 punti percentuali rispetto alla media Ue di 20,9%, quella per le donne pressoché annulla il divario, riducendolo a 0,3 punti rispetto al 13,9% della media Ue. Di conseguenza l’Italia per quota di donne laureate aree disciplinari scientifiche e tecnologiche – che supera il 12,5% della Germania ed il 12,3% della Spagna –si colloca al dodicesimo posto nell’Ue a 27, con una posizionamento migliore rispetto al sedicesimo posto registrato dagli uomini laureati STEM.