Ha destato molta sorpresa in rete la notizia di qualche giorno fa sulla classifica dei migliori formaggi al mondo secondo il sito tasteatlas.com, un’enciclopedia web di prodotti alimentari e di ricette tradizionali di tutto il mondo.
La classifica, composta con i voti selezionati (non si poteva votare due volte, né votare in blocco i prodotti del proprio Paese) di 28.371 utenti della piattaforma è un trionfo italiano.
Non solo è italiano tutto il podio, ma lo sono ben 8 dei primi 10 e 18 dei primi 50. E compaiono in classifica anche prodotti ovviamente distinti, ma di fatto piuttosto simili, almeno per il consumatore straniero: al primo posto, indiscutibile, c’è il Re dei formaggi italiani, il Parmigiano Reggiano, ma non così lontano, al quarto, c’è il cugino Grana Padano; il gorgonzola piace molto sia dolce che piccante, la mozzarella è in classifica come fiordilatte, come bufala, come bocconcini (e come stracciatella); i pecorini impazzano.
Bene, significa che i consumatori attenti, che frequentano un sito specializzato e autorevole come tasteatlas.com, riconoscono la nostra qualità e, cosa altrettanto importante, la nostra varietà.
Ovviamente, un simile trionfo della nostra reputazione casearia non poteva non dare fastidio a chi da anni prova ad insidiarci il primato, in primis la Francia, che dalla classifica esce male.
Non è la prima volta, perché un anno fa sempre su tasteatlas.com la palma di migliore cucina al mondo spettò sempre all’Italia, con i francesi lontani noni (https://www.tasteatlas.com/best/cuisines). Francesi che questa volta, come cantava Paolo Conte, si sono incazzati, accusando tasteatlas.com di avere diffuso una classifica farlocca nientemeno che nel loro principale telegiornale nazionale (https://www.tasteatlas.com/the-largest-french-television-accused-tasteatlas-of-rigging-the-cheese-ranking-in-favor-of-italy) (https://www.thetimes.co.uk/article/italian-cheeses-the-best-in-the-world-that-stinks-say-french-gourmets-0gv93gcl8). In effetti i cugini d’oltralpe portano a casa un magro bottino, con meno della metà (8) dei loro formaggi in classifica rispetto ai nostri e a partire dal 13mo posto. Chissà cosa ne avrebbe pensato De Gaulle, che una volta esclamò “Come si può governare un paese che ha 246 varietà differenti di formaggio?”.
Per la cronaca, anche i nostri formaggi censiti sono circa il doppio dei transalpini, 487, e le DOP 48, contro le loro 45. Peggio ancora è andata comunque alla Svizzera, che piazza solo il Gruyère al 29 posto, ma con compassatezza tutta elvetica non ha protestato.
La vittoria della biodiversità produttiva e culturale
Cosa ci dice, al di là del patriottismo, questa classifica?
Che la biodiversità produttiva e culturale è un valore straordinario, che viene sempre più riconosciuto anche nel resto del mondo e genera non solo reputazione, ma valore anche economico.
Tutti i prodotti italiani in classifica hanno saputo mantenere un’identità forte e distintiva, ma anche modernizzarsi, varcare confini anche molto ristretti (stracciatella e burrata, il Provolone del Monaco), dialogare non solo con i consumatori, ma anche e soprattutto con gli chef internazionali e diventare un brand forte e riconosciuto. Anche imitato, certo, ma più è forte il marchio (che va ovviamente protetto) più le imitazioni aggiungono luce invece di sottrarla.
Da un punto di vista più tecnico, forse bisogna invece considerare che i prodotti italiani in classifica uniscono qualità a riconoscibilità a versatilità, mentre pensando soprattutto ai prodotti francesi che mancano, li si immagina più legati ad un’idea tradizionale dell’alimentazione e dei suoi riti (il carrello dei formaggi in cui i caprini francesi piccoli e accattivanti la facevano da padrone) che oggi si è un po’ persa.
Qualunque sia la ragione, godiamoci questa piccola soddisfazione. E buon appetito.
Paolo Manfredi
Milanese, 50 anni. È consulente per la Trasformazione digitale, ideatore e responsabile del progetto Artibici e responsabile del Progetto speciale PNRR di Confartigianato Imprese. Ha studiato Storia contemporanea. Scrive di innovazione, politica e ristoranti. È autore di “L’economia del su misura. Artigiani, innovazione, digitale” (2016), “Provincia non Periferia. Innovare le diversità italiane” (2016) e di “L’eccellenza non basta. L’economia paziente che serve all’Italia” (2023). Da settembre 2019 cura il blog “Grimpeur. Scalare la montagna dell’innovazione inclusiva” sulla pagina web di Nòva del Sole 24 Ore.