Dopo decenni in cui le grandi città di pianura hanno fatto da calamita, attirando verso di sé masse crescenti di persone e di risorse dalle zone rurali alpine e appenniniche, nell’ambito di processi di inurbamento industriale, oggi le montagne italiane fanno sentire il loro richiamo, non solo rispetto ai turisti ma anche per nuove categorie di abitanti, tra loro molto diversificate.

Nell’ambito dei mega trend globali in atto – quali la digitalizzazione, le migrazioni, il cambiamento climatico e i segnali di una crescente spinta alla de-globalizzazione – nuovi fattori di attrattività emergono rispetto alle terre alte e alle aree interne del Paese, già messi in evidenza dalla Strategia Nazionale per le Aree Interne (SNAI) e su cui si comincia da qualche tempo a sviluppare una narrazione pubblica e mediatica positiva.

Tra questi, la diffusione dei valori legati alla sostenibilità ambientale, il desiderio di un rapporto diretto con la natura e con gli animali, la sofferenza per l’inquinamento, lo stress e il clima insopportabile delle metropoli; ma anche le opportunità di vita comunitaria offerte dai piccoli paesi, le possibilità lavorative e imprenditoriali presenti nei territori scarsamente popolati, a partire dai servizi alla persona e dal settore agro-pastorale, per non dire dell’effetto post pandemico e della diffusione di opportunità di lavoro da remoto, oltre che di abitare multi locale.

Secondo i dati di diverse ricerche realizzate in questi ultimi anni in Italia – tra cui l’indagine “Giovani Dentro”, condotta dall’associazione Riabitare l’Italia nel 2020/21 (QUI) e il progetto MICLIMI, promosso dagli Ambasciatori del Patto Europeo per il Clima nel 2023 (www.miclimi.it) – numeri crescenti di persone, spesso giovani, istruite, con progetti di vita e professionali innovativi, si stanno muovendo verso la montagna; tra di loro, anche molti migranti internazionali, che nelle Alpi e negli Appennini trovano occasioni di lavoro, nel turismo così come nelle economie rurali, ma anche di accoglienza e protezione, come nel caso dei rifugiati.

Questi stessi fattori attrattivi di frequente sono alla base della scelta di “restanza” – ovvero di radicamento attivo o di ritorno nel proprio territorio – che comincia a caratterizzare ragazze e ragazzi, dal Nord al Sud del Paese, a loro volta istruiti e coraggiosi, che scelgono di rimanere a vivere nel proprio luogo di origine, anche se in una valle lontana dai servizi commerciali e dalle aree urbanizzate; giovani che preferiscono la qualità della vita che trovano in questi luoghi a quella urbana, non rinunciando a rivendicare diritti di cittadinanza e opportunità di crescita personale e professionale anche in quei luoghi che, a lungo, sono risultati ai margini di uno sviluppo nazionale “metrofiliaco” e centralistico.

 

Il richiamo della montagna si fa sentire, dunque, al di là di alcune rappresentazioni semplicistiche offerte dai media o di certe idealizzazioni romantiche ancora diffuse circa la natura e la ruralità nel nostro Paese; è un richiamo che tuttavia non comporta un ripudio della città, una forma di isolamento o di auto esclusione sociale e territoriale delle persone dai flussi globali. Non è un riflusso, una “great resignation”.

 

Piuttosto, i dati ci dicono che la montagna attira anche e soprattutto quanti vogliono vivere “in-between”, a cavallo tra dimensioni territoriali diverse, sfruttando le opportunità che le terre alte offrono, senza rinunciare agli sbocchi professionali, alle occasioni culturali o di innovazione offerte da un rapporto “alla giusta distanza” proprio con le metropoli e con chi ci vive.

Quello che serve allora è adottare, a livello di pensiero sistemico come di policy making pubblico-privato, una logica “metromontana”, di connessione e scambio tra le terre alte e le grandi aree metropolitane di pianura o delle coste. La metromontagna rappresenta un grande spazio di ripensamento dello sviluppo territoriale italiano, in cui alla concentrazione e agglomerazione insostenibili delle persone e delle attività, si vada sostituendo la diffusione dell’abitare, l’allungamento delle reti lavorative, la qualità delle relazioni, l’ibridazione tra digitale e compresenza fisica, la valorizzazione dei servizi ecosistemici e la redistribuzione di diritti e risorse su scale diverse da quelle tipiche della vecchia società industriale.

In questa direzione si muove da alcuni anni il servizio “Vivere e Lavorare in Montagna” (QUI), promosso da Università di Torino (CPS), SocialFare impresa sociale e Città Metropolitana di Torino, con il coinvolgimento di un’ampia rete di soggetti pubblici e privati a livello metromontano.

 

Il servizio prevede uno sportello per accogliere e indirizzare quelli che definiamo come “aspiranti montanari”, ovvero persone – anzitutto residenti in città – delle più diverse provenienze ed età, accomunate dal desiderio e dalla progettualità di trasferirsi nelle terre alte delle Alpi, in modo definitivo ma anche temporaneo o con forme di abitare multi locale.

 

In sei anni di apertura, oltre 300 tra singoli, famiglie e gruppi si sono rivolti al servizio, che, dal 2022, ha integrato le proprie attività con l’offerta di una formazione gratuita di tipo residenziale, chiamata “Scuola di Montagna”: tre giorni intensivi di incontro, discussione guidata ed esplorazione delle valli alpine coinvolte, finalizzati a capire come e con chi mettere in campo la propria idea di vita e di lavoro nelle terre alte, scegliendo un approccio collaborativo e tramite la costruzione di micro alleanze trasversali (l’ultimo report sulle attività della Scuola si trova QUI).

Tante le biografie e le progettualità incontrate e accompagnate in questi anni: dal giovane maestro elementare che vuole aprire un asilo nel bosco, per il benessere dei bambini e delle loro famiglie, al medico in pensione che pensa di offrire consulenza gratuita ad altri anziani, andando a vivere in un piccolo paese in quota che si sta spopolando; e poi aspiranti agricoltori con studi di ingegneria, interessati all’innovazione nelle tecniche di coltivazione, a fronte del cambiamento climatico; o ancora chef stanchi della frenesia dei ristoranti in centro, con un progetto di micro ristorante a km zero…

Il richiamo della montagna non è mai stato così forte e concreto come in questi anni e le risorse umane e cognitive messe in campo rappresentano un capitale prezioso su cui investire: un’occasione imperdibile per il futuro di tutti noi.

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