“Oggi nessuno racconta ai giovani quanto sia importante un mestiere nel quale metti in gioco tutto te stesso, la tua creatività, il tuo essere. La figura dell’Artigiano è questa, e da essa ne sono venute fuori tante altre. Leonardo da Vinci era un artigiano. Lui diceva: ‘La conoscenza è figlia dell’esperienza’. Aveva capito che il fare occupa la tua mente, mette in moto il meccanismo della creatività e ti rende una persona curiosa; il fare ti migliora, ti fa andare avanti e ti fa anche capire che la vita è dura, ma che è bella. Il mestiere dell’artigiano è un mestiere complicato, ma affascinante.”
Mi hanno molto colpito queste parole di Vincenzo Schettini, il quale, il 10 luglio di quest’anno, ha entusiasmato la grande platea dell’evento di Confartigianato svoltosi a Rimini e intitolato – significativamente – “L’Artigianato che ci piace!”.
E ho voluto aggiungervi una riflessione che faccio spesso in questi ultimi tempi, da quando, con gli amici della Fondazione Germozzi e di Spirito Artigiano, vogliamo contribuire alla stessa missione evocata da Schettini con sempre nuove forme di comunicazione e di approfondimento conoscitivo.
Mi è venuto in mente che ciò che ci piace è il fatto che chi lavora da artigiano sa di far parte, di essere protagonista, di un grande fenomeno che non è solo personale. Infatti, mentre il lavoro artigiano realizza ciò che vi è di migliore nella persona, la persona che ne è protagonista partecipa, nel contempo, a un grande moto di trasformazione dell’esistente che la rende partecipe del destino di un mondo che si contribuisce a migliorare: da artigiani, appunto.
Avete mai viaggiato in aereo quando il cielo sotto di voi è una compatta distesa di nuvole, varie e possenti, e poi, tutto d’un tratto, leggere e sottili? Quella coltre vi impedisce di vedere la terra che scorre veloce sotto di voi. Quello che è accaduto in questi ultimi vent’anni nel mondo è una sorta di viaggio in un aereo sopra le nubi. Le nubi erano, e sono, la finanza, con tutti i suoi nembi che d’improvviso si trasformano in uragani tempestosi. Si scaricano a terra, naturalmente, ma voi la terra continuate a non vederla e non vi accorgete delle trasformazioni che su di essa e in essa hanno luogo. Meglio viaggiare a piedi per scoprire ciò che accade. Del resto, è a terra che si costruiscono gli aerei e non in cielo. A questo penso via via che leggo libri e articoli scientifici sulla trasformazione in corso nell’industria mondiale.
E dico “industria” e non “impresa”. Perché? Perché l’industria è la foresta che cresce tumultuosa con grandi e piccoli alberi, infiniti cespugli e giardinieri vecchi e giovani che la curano e la intercalano con giardini e orti. È un insieme di fattori sì tecnologici, sì naturali come le materie prime, ma anche costituito dalle scuole dove si studiano le arti e le scienze che dovranno poi servire a coltivare e curare la foresta. L’industria è un’astrazione culturale piuttosto che un elemento materiale e concreto. Quest’ultimo è costituito dalle imprese, che sono gli alberi, i cespugli, gli orti e i giardini della foresta.
Ebbene, in questi ultimi venti anni l’industria e le imprese insieme sono enormemente cambiate. In primo luogo, i progressi scientifici sono diventati più rapidamente progressi tecnologici e questi ultimi, una volta tradotti in progetti, sono stati più rapidamente trasformati in linee di rifornimento, in guisa di grandi piattaforme distributrici di strumenti, macchine e software per la produzione di altre macchine e non solo di beni di consumo. Le imprese si sono trasformate in costellazioni interdipendenti connesse dall’ITC, in grado di aumentare a livelli inusitati la produzione per unità presente sui mercati, qualunque sia la sua dimensione. Questo ha scatenato un trasferimento globale di tecnologie e conoscenze formali di straordinario vigore. Le industrie automobilistica e avionica, insieme a quella farmaceutica e biotecnologica, sono state alla testa di questo processo.
Questi risultati fantastici sono stati possibili perché non è stato più necessario accentrare tutte le reti in singoli stabilimenti, sviluppando capacità di integrare tecnologie e conoscenze disperse in territori diversi in tutte le parti del mondo: catene di produzione a monte che consentono la produzione a valle di merci sempre più composite, grazie ai rifornimenti che giungono da tutto il globo secondo scelte di eccellenza. La foresta è divenuta fittissima, con prati e giardini grandissimi, che sono i luoghi in cui si creano le idee e ci si prepara a diffonderle per tutti i “rami”, ossia per tutte le imprese della foresta. La finanza, infatti, ha sradicato milioni di alberi ma non ha potuto sradicare la nuova industria e le imprese artigiane che ne sono il frutto più innovativo e originario. Questo è stato il miracolo di questi anni. La riproduzione allargata del capitalismo, con la produzione di merci per la produzione di merci (che è l’essenza del trasferimento tecnologico guidato dalla cultura imprenditoriale), è stata una colossale fortuna, perché si sono aggiunte via via terre e foreste dove le piante hanno potuto crescere al riparo dagli uragani finanziari e curate con piccoli scrosci di pioggia (le banche locali e cooperative e soprattutto l’autofinanziamento d’impresa, che ha avuto un ruolo importantissimo a cui non si fa mai cenno).
Alla base di tutto ciò vi è stato un grandissimo sviluppo delle conoscenze tecnologiche e scientifiche diffuse, che si sono innervate sia nelle specializzazioni operaie sia nelle competenze degli imprenditori, più di quanto non si creda (parliamo troppo di management e sempre troppo poco di imprenditorialità).
Nella foresta tutto serve: la pozza d’acqua limpida come il grande albero, la piccola siepe e il ramo di glicine. Basta saper camminare e vedere, e non sradicare. Ciò è avvenuto, nonostante gli uragani finanziari: abbiamo continuato a seminare e a far crescere. Possiamo ben sperare. La società industriale reagisce e continua a vivere.
La giovinezza è la forza vitale che può far crescere questa meravigliosa foresta.
Gli artigiani sono i giardinieri che la custodiscono e la rinnovano.
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Giulio Sapelli
Giulio Sapelli, già Professore ordinario all’Università degli Studi di Milano ed editorialista, unisce economia, storia, filosofia, sociologia e cultura umanista in una sintesi originale e profonda. Ha insegnato in Europa e nelle Università delle due Americhe, in Australia e Nuova Zelanda. I suoi lavori sono stati tradotti in tutto il mondo.
E’ Presidente della Fondazione Germozzi ed è impegnato a valorizzare il concetto di Valore artigiano, che è forza di popolo, di persone e di imprese legate da uno spirito unico, il quale esprime la vocazione originaria incline alla creatività e all’amore per la bellezza.