Lo sguardo degli altri, la prospettiva esterna su persone, avvenimenti, processi sociali ed economici, ha un grande potere nel chiarire aspetti che, visti troppo da vicino, potrebbero apparire offuscati oppure non risaltare in quanto considerati scontati.
Questa considerazione vale anche per l’intelligenza e il valore artigiano, che troppi nel nostro Paese continuano a dare per scontati, finanche considerandoli un freno alla nostra competitività globale.
Una missione in Argentina, un paese con ben il 50% della popolazione di origini italiane (spesso con in tasca anche il nostro passaporto) e una straordinaria dotazione di materie prime, ha contribuito oltre ogni retorica a illuminare l’attenzione verso l’artigianato e l’impresa diffusa al di fuori dei nostri confini.
Un aneddoto dice molto: nella regione di Catamarca, territorio ai confini del Cile con vocazione agricola e mineraria e una popolazione delle dimensioni del Trentino in un’estensione pari a un terzo dell’Italia, scopriamo nello stesso giorno che molta della produzione di pomodori va sprecata per difficoltà climatiche e logistiche, mentre le imprese conserviere locali devono importare il concentrato persino dalla Cina.
Cosa manca in mezzo? Un sistema di competenze, capacità produttiva e lettura delle opportunità del mercato che “unisca i puntini” e trasformi la materia prima da commodity in prodotto a valore aggiunto grazie alla chiusura della catena del valore, ossia al combinato disposto di macchine (di cui l’Italia è leader mondiale) e competenze per utilizzarle al meglio e valorizzare il risultato.
Questo mix di soluzioni, tecnologie, competenze e modelli di business in grado di aggiungere valore ai prodotti e servizi è la caratteristica principale del nostro made in Italy, e modalità eccellente di organizzazione della produzione ancora prima che catalogo dei prodotti.
Non serve ricordare che questa organizzazione si fonda innanzitutto sulle competenze, la creatività e la flessibilità degli artigiani e delle micro e piccole imprese diffuse. Si comprende appunto meglio laddove, magari di fronte a una straordinaria ricchezza di materie prime, questo impasto manca, rendendo l’economia delle commodity più fragile di fronte ai cambiamenti del mercato e soprattutto di fronte ai grandi attori dell’industria, della finanza e della geopolitica che ne dispongono, poco interessati alle ricadute territoriali dello sfruttamento delle risorse.
In questo, l’economia degli artigiani e delle PMI e della creazione del valore aggiunto è un’economia più equa e sana, equa nella distribuzione delle risorse e sana nel preservare le comunità locali come un presidio fondamentale di creazione del valore economico.
Per questa ragione il movimento artigiano è guardato con così grande attenzione anche al di là dell’Oceano: perché incarna un’idea di creazione del valore rispettosa della società e della cultura locale, anzi particolarmente attenta alla sua preservazione e al suo rafforzamento come presupposto fondamentale per lo sviluppo economico.
Ovviamente preservare non vuol dire museizzare e l’artigianato a cui si guarda è quello capace di crescere attraverso una sempre maggiore capacità di innovazione e sostenibilità. Per questo c’è grande interesse non solo verso le imprese artigiane, ma anche verso il modello di Confartigianato come una realtà unica di accompagnamento delle imprese diffuse alla crescita attraverso il mix di competenze e valori comuni, che rendono i servizi che l’associazione offre ai propri associati diversi da tutto quanto è disponibile sul mercato. È un modello che non ha eguali in quel paese e che è stato oggetto di grande attenzione, di molte domande, di una forte richiesta di replicabilità.
Questo viaggio breve e lontano, che speriamo porterà anche a concrete opportunità di lavoro per le nostre imprese, ha rafforzato la sensazione materiale che il mondo dell’intelligenza artigiana possa veramente rappresentare un modello di sviluppo originale e di straordinario interesse anche in luoghi fisicamente lontani.
Un presidio di umanità nel mare tempestoso della società dell’economia furiosa, che crediamo dovrebbe rendere tutte le componenti del nostro sistema orgogliose della propria peculiarità e sempre più convinte della bontà di un progetto comune.
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Paolo Manfredi
Milanese, 50 anni. È consulente per la Trasformazione digitale, ideatore e responsabile del progetto Artibici e responsabile del Progetto speciale PNRR di Confartigianato Imprese. Ha studiato Storia contemporanea. Scrive di innovazione, politica e ristoranti. È autore di “L’economia del su misura. Artigiani, innovazione, digitale” (2016), “Provincia non Periferia. Innovare le diversità italiane” (2016) e di “L’eccellenza non basta. L’economia paziente che serve all’Italia” (2023). Da settembre 2019 cura il blog “Grimpeur. Scalare la montagna dell’innovazione inclusiva” sulla pagina web di Nòva del Sole 24 Ore.