“Il capo non deve soltanto far bene; deve cercare (e il suo gruppo conta per questo su di lui) di fare meglio degli altri. Come adempie il capo a questi obblighi? Il primo e principale strumento di potere consiste nella sua generosità. La generosità è un attributo essenziale di potere presso la maggioranza dei popoli… Essa sostiene anche una parte di quelle culture… Sebbene il capo non sembri godere di una situazione privilegiata dal punto di vista materiale, quando un individuo o una famiglia esprime un desiderio o manifesta una necessità, si rivolge al capo per essere soddisfatto… La generosità è la qualità essenziale che si richiede a un nuovo capo. È la corda, continuamente toccata, il cui suono armonioso o discordante determina la portata del consenso…” (Claude Lévi-Strauss, Tristi Tropici, Il Saggiatore, Milano, 1960, p. 253).

 

In questi tempi di crisi economica e di guerra mondiale sempre più imminente, mi sono venute in mente queste parole di Lévi-Strauss, che avevo letto negli anni giovanili e che ho sempre portato con me da quando ho cominciato a capire qualcosa di economia e di sociologia, ossia di antropologia: in definitiva, di come funziona la società… e della società quelle organizzazioni meravigliose e a prima vista inspiegabili (secondo i dettami dell’economia neoclassica dominante) che sono le piccole imprese e, in particolare, le imprese artigiane: imprese fondate sulla società naturale della famiglia e sulle relazioni tra persone, grazie a cui si controllano le reti delle macchine e i flussi della moneta.

Oggi diecimila soldati nordcoreani sono schierati a poche centinaia di chilometri dalla Vistola, ossia da Varsavia, che è il cuore delle relazioni dell’Europa con la Russia perché è il cuore del sistema vitale tedesco-polacco-russo. In questo orizzonte di guerra mondiale possibile e di crisi da sanzioni economiche e da guerre di aggressione imperialistica, le imprese artigiane continuano a produrre, a vivere, a garantire il funzionamento del sistema nervoso e sanguigno di tutta la società.

Le grandi imprese troppo spesso non riescono a farlo, fondate come sono sui ruoli anziché sulle persone, ossia su procedure centralizzate e filiere tecnologiche accentrate. A ogni shock esogeno dei sistemi di collegamento, che vengono interrotti, si spengono come candele; oppure devono produrre la stessa luce con mille artifici, che ne distruggono i bilanci per gli alti costi e ne minano l’ethos per la cacciata dei lavoratori, che si ritirano nelle pieghe dell’indifferenza e del risentimento verso l’organizzazione di cui sino a poco tempo prima garantivano – con il loro lavoro – la sopravvivenza.

Le imprese artigiane continuano, invece, a vivere e a inventarsi continuamente nuove vite: una vita di resilienze continue e di nuove realizzazioni.

Il perché di tutto ciò risiede nella storia, non delle imprese o dell’economia astrattamente intese, ma della vita dei popoli del mondo intero, a cui gli artigiani fieramente appartengono.

La generosità creativa salverà il mondo… e l’impresa artigiana.

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