C’è già chi prevede danni economici clamorosi. L’esercizio delle previsioni catastrofiche, del resto, è molto in voga sia al di qua che al di là dell’Oceano. L’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca – a seguito di una campagna elettorale piuttosto muscolare, nel solco di un consolidato e non nuovo metodo politico – sta preoccupando una parte del mondo produttivo. Ovviamente, a spaventare maggiormente, sono i dazi – solo annunciati per il momento – dal tycoon statunitense. Tuttavia, è impossibile scindere il piano economico da quello politico in questo frangente come spiega sulle colonne di Spirito Artigiano, Mattia Diletti docente al dipartimento di Comunicazione e Ricerca sociale all’Università La Sapienza e profondo conoscitore delle dinamiche statunitensi.

 

Professore, quali sono i profili di complessità in ordine all’ipotesi di introduzione di dazi?

«Partirei da una prima considerazione di contesto. A differenza di quanto accaduto – ad esempio – sulla questione migratoria, sui dazi il neo presidente Trump ha deciso di “differire” di un paio di mesi gli impegni annunciati. Se ne sentirà parlare dal primo di aprile».

Questo segnale come va colto?

«Come sintomo di quanto questo tema non sia squisitamente economico, quanto più eminentemente politico. È più che altro una leva politica, quella dei dazi, che potrà essere usata nei rapporti tra gli Usa e gli altri stati. Dunque c’è un doppio livello: un primo livello che riguarda i rapporti fra gli Usa e i singoli stati membri dell’Unione Europea e, in senso più ampio, l’Unione Europea stessa».

Nel contesto europeo, attualmente ci sono due incognite pesanti: le elezioni in Germania e la situazione francese. Come impatteranno?

«Sicuramente il fattore Germania impatterà non poco sulle scelte politico-economiche della nuova amministrazione statunitense. Quanto più la Germania si presenterà debole sullo scenario europeo dopo le elezioni, tanto più aumenta il rischio che le strategie economiche di Trump possano essere muscolari».

Quali saranno, secondo lei, i settori che potenzialmente potrebbero essere più a rischio qualora prendesse corpo l’ipotesi dell’introduzione dei dazi?

«Anche questa è un’incognita. Però, in linea di massima in particolare nel sistema delle Pmi potrebbero essere le attività produttive legate alla Meccanica, all’Agroalimentare e alla Moda. Anche se non si sa ancora con precisione se Trump deciderà di applicare una politica di dazi tout court oppure se le restrizioni riguarderanno singoli comparti produttivi. In ogni caso, sarebbe un danno essendo la nostra economia – in particolare quella che si regge sul valore aggiunto prodotto dalle Pmi artigiane – a filiera lunga. Ed è per questo che ritengo fondamentale che le imprese artigiane ragionino sempre di più in ottica di sistema».

Cosa intende dire?

«La direzione sui dazi era stata intrapresa anche dai democratici negli Stati Uniti, per cui bisogna iniziare a cambiare punto di vista e strategia. Occorre che le imprese entrino nell’ottica che il mercato statunitense potrà avere una contrazione sulle esportazioni. Per cui, occorre sistematicamente aggredire nuove fette di mercato. La prospettiva deve essere espansiva. Una diversificazione è quanto mai necessaria. Benché non sia un processo immediato e tanto meno semplice, potrebbe essere estremamente stimolante per il sistema delle Piccole e Medie imprese artigiana. Che, peraltro, hanno da sempre dimostrato di essere all’altezza delle sfide».

 

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