
«L’analisi dell’organizzazione del lavoro non può prescindere dal passato, ma il passato va guardato con lo sguardo della contemporaneità. Non come un semplice esercizio storico, ma come chiave di lettura dei modelli e delle strutture che ancora plasmano la vita quotidiana. La società industriale, nelle sue immagini più iconiche – da Tempi moderni di Charlie Chaplin alle fabbriche automobilistiche fordiane – mostra come l’organizzazione scientifica del lavoro abbia influenzato processi produttivi e sociali. La catena di montaggio, il fordismo, gli orari rigidamente scanditi, la scansione dei compiti: non erano solo strumenti di efficienza industriale, ma anche modelli di vita e di tempo che si sono insinuati nel tessuto sociale».
Questo modello non ha lasciato tracce solo nelle imprese, ma anche nella scuola, nella gestione delle attività quotidiane e nelle relazioni sociali. Se si osservano alcune aule moderne, si possono riconoscere schemi che ricordano la catena di montaggio: fogli e compiti distribuiti secondo tempi prestabiliti, insegnanti che scandiscono il ritmo della giornata e studenti che eseguono compiti sequenziali. È come se la fabbrica si fosse infiltrata nei sistemi educativi, dimostrando come le logiche industriali abbiano permeato anche ambiti apparentemente distanti dalla produzione.
Non solo fordismo. Il toyotismo ha esteso il concetto di organizzazione lean oltre le fabbriche, arrivando a orientare la vita quotidiana e il pensiero manageriale. Libri di self-help spiegano come applicare la logica toyotista per gestire le proprie abitudini, ottimizzare il tempo, controllare il consumo di risorse. Ciò dimostra quanto i modelli produttivi non siano mai circoscritti a un settore: diventano strumenti culturali, influenzano la società e determinano comportamenti individuali e collettivi.
«Oggi i modelli di riferimento nascono nelle aziende dominanti della loro epoca, e queste sono sempre più spesso piattaforme digitali. Amazon, Google, Facebook, piattaforme di incontro domanda-offerta di beni e servizi: qui si crea valore in modo diverso rispetto alle fabbriche del passato»
Il cuore del processo produttivo non è più la linea di montaggio, ma l’elaborazione dei dati, la gestione delle informazioni e la capacità di personalizzare servizi e prodotti. La piattaforma diventa il nuovo centro nevralgico: produce non solo merci, ma conoscenza, insight, prodotti generati dall’analisi dei dati degli utenti. La creazione di valore passa attraverso l’informazione più che attraverso la produzione fisica.
Per rappresentare questo cambiamento, le immagini tradizionali non bastano più. La piramide fordista, la rete dei distretti industriali: simboli chiari e immediati. Ma le piattaforme digitali richiedono un’immagine più sofisticata, come il nastro di Möbius, un oggetto matematico senza un dentro e un fuori definiti. Il nastro simboleggia l’incessante flusso di dati, attività e interazioni: lavoratori, clienti e piattaforme si influenzano reciprocamente in una continua circolarità, senza confini netti. È un’immagine che aiuta a comprendere le organizzazioni moderne, dinamiche, complesse, in cui i ruoli si sovrappongono e le relazioni non sono più lineari.
Uno degli aspetti più rilevanti riguarda la trasformazione della fiducia in reputazione. Nei distretti industriali tradizionali, la fiducia personale era il collante delle transazioni economiche.
«Oggi, la reputazione digitale – basata su recensioni e valutazioni di sconosciuti – affianca o sostituisce la fiducia relazionale»
Collf, badanti, professionisti indipendenti, artigiani: chi sa costruire un profilo digitale efficace ottiene visibilità e opportunità di lavoro superiori a quelle di chi possiede competenze tradizionali ma non sa raccontarle. Le piattaforme hanno trasformato la capacità di autopresentazione in una competenza essenziale, influenzando il successo professionale.
Questa trasformazione influisce anche sulla formazione e sulle competenze richieste. Non basta più “saper fare”: è necessario saper comunicare ciò che si sa fare. Il mercato richiede soft skill, capacità di narrazione, adattabilità, gestione di informazioni digitali. I percorsi formativi frammentati, le micro-credenziali, sostituiscono percorsi tradizionali lunghi: la formazione si adatta alla velocità del cambiamento, con corsi brevi, certificazioni modulari, riconoscimenti rapidi, pensati per rispondere a esigenze specifiche del mercato e del lavoro.
Un esempio emblematico è Amazon Ring. La piattaforma osserva i dati di vendita dei prodotti venduti da terzi e individua quelli di successo. Produce il proprio dispositivo e lo vende – è questo il caso della video camera Amazon Ring – mentre i clienti lo acquistano e ne controllano l’uso attraverso lo smartphone. La piattaforma guadagna, i clienti controllano indirettamente i lavoratori addetti alla consegna, e il cerchio si chiude senza intervento diretto della supervisione aziendale. Questo modello evidenzia il nuovo ruolo del cliente: non più semplice destinatario, ma attore centrale nella produzione e nella valutazione del lavoro, in grado di influenzare direttamente processi e risultati.
«Questa centralità del cliente genera cambiamenti nelle alleanze sociali. Prima era possibile costruire relazioni tra consumatori e lavoratori, o tra produzione e consumo. Oggi, l’alleanza si crea tra consumatore e piattaforma: l’artigiano o il lavoratore rimangono dentro la piattaforma, ma il potere di determinare il valore è spostato verso chi utilizza il servizio. È un cambiamento radicale nelle dinamiche di mercato e nella distribuzione del potere»
Il mismatch di competenze diventa la sfida più urgente. La cosiddetta disoccupazione tecnologica non si misura solo con numeri assoluti, ma con la capacità di adattarsi a nuove competenze richieste da processi sempre più digitalizzati. Il boomerang recruiting, cioè il ritorno dei lavoratori che hanno acquisito esperienza altrove, segnala la necessità di flessibilità e capacità di apprendimento continuo, così come la crescente domanda di soft skill e competenze digitali trasversali.
L’intelligenza artificiale rappresenta l’ultimo anello di questa trasformazione, non come semplice tecnologia, ma come occasione per ripensare i processi produttivi e mettere l’umano al centro. Gli osservatori sull’AI partecipativa mostrano come l’introduzione delle tecnologie possa avvenire attraverso processi condivisi, dove lavoratori, dirigenti e comunità definiscono insieme l’uso e l’impatto della tecnologia. Si tratta di un approccio collaborativo e consapevole, che evita scelte unilaterali e favorisce l’innovazione responsabile.
In sintesi, il percorso che va dal fordismo e toyotismo ai distretti industriali e alle piattaforme digitali mostra un filo conduttore: l’organizzazione del lavoro non è mai neutra, riflette valori sociali, priorità economiche e modelli culturali. Comprendere questi processi significa prepararsi a un futuro in cui dati, reputazione digitale, soft skill, micro-credenziali, collaborazione partecipativa e centralità del cliente diventano strumenti essenziali per mantenere l’umano al centro anche nell’era digitale. L’evoluzione della società non è solo tecnologica: è culturale, sociale e organizzativa, e richiede consapevolezza, attenzione e capacità di adattamento da parte di tutti gli attori coinvolti.

Ivana Pais
Ivana Pais è docente ordinaria di Sociologia dei processi economici e del lavoro presso la Facoltà di Economia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e dirige il centro di ricerca TraiILab – Transformative Action Interdisciplinary Laboratory. Si occupa di organizzazione del lavoro, trasformazioni digitali e impatto delle tecnologie emergenti sulla società e sulle imprese, con particolare attenzione alle competenze, alla reputazione e ai modelli collaborativi di innovazione.