Secondo la maggior parte degli osservatori i corpi intermedi, nel nostro caso le associazioni di rappresentanza degli interessi economici, hanno perso parte del peso e del ruolo che avevano avuto in passato. La tesi di fondo di questo modo di vedere è rappresentata dall’idea della diminuita centralità delle relazioni sindacali e dalla constatazione che la disintermediazione riguardi tutte le organizzazioni che in qualche modo operano nelle arene della rappresentanza.

 

La conseguenza sarebbe una ripresa di ruolo delle istituzioni pubbliche che sarebbero capaci di rivolgersi direttamente, in prima persona, tanto ai cittadini quanto ai lavoratori quanto agli imprenditori. A questa dinamica strutturale si aggiunge il fatto che le dinamiche dell’economia nei primi 25 anni del XXI secolo hanno avuto ripercussioni anche sulle associazioni datoriali e sui sindacati, mettendo in difficoltà la tenuta di non poche delle loro strutture.

Tuttavia, per comprendere la realtà dei corpi intermedi e la loro complessità occorre tenere conto di diverse altre dimensioni. Il sistema d’offerta che va dalla rappresentanza ai servizi alle funzioni pubbliche offre ai cittadini una molteplicità di ragioni di adesione. Al di là delle apparenze, le associazioni di rappresentanza – come nel nostro caso Confartigianato – svolgono ancora numerose funzioni di intermediazione:

  1. contrattazione nazionale, aziendale, territoriale;
  2. enti bilaterali (la vera novità di questo ultimo trentennio);
  3. servizi di assistenza individuale e di adempimento, vecchi e nuovi; 4) tutele e welfare locale a base territoriale/comunitaria (via bilateralità).

Vanno dunque valutati in positivo, in particolare per Confartigianato, cinque aspetti che caratterizzano la vita di una associazione:

  1. le adesioni volontarie, ancora molto consistenti, che danno vita a una intensa attività associativa interna creando aggregati sociali identitari piuttosto forti;
  2. una diffusione territoriale che forse non ha eguali in Europa e che continua a crescere nel tempo a dispetto della contrazione degli iscritti;
  3. il numero dei dipendenti e la loro professionalità, oltre al fatto che molte associazioni funzionano ancora come ascensori sociali per non pochi di coloro che militano al loro interno;
  4. l’ambiguità del criterio reputazionale che contrasta con una eccezionale fidelizzazione ai servizi e con i riscontri positivi dell’attività contrattuale;
  5. le verifiche interne di consenso (rinnovo delle tessere, partecipazione ai momenti congressuali, ecc.) che fanno di questi mondi – pur se a volte anchilosati e vecchi – una delle poche palestre di “democrazia associativa”.

Buona parte dell’attività associativa non ha grande visibilità e non è conosciuta ai più, ma non per questo è meno rilevante. Anche il grado di interlocuzione con le istituzioni a tutti i livelli, pur essendo soggetto alle contingenze politiche e agli stili di leadership, è molto più frequente di quanto si pensi, non fosse altro perché queste organizzazioni hanno un patrimonio di conoscenze tecniche sul lavoro e sulla vita delle imprese che nessun’altra istituzione oggi possiede. Capita così che, pur se non consultate ufficialmente, queste associazioni riescano spesso a indicare quali siano i temi da collocare in via prioritaria nell’agenda politica.

Sono certamente “istituzioni vecchie”, che hanno radici molto lontane, ma hanno saputo ridefinire nel tempo le ragioni della loro esistenza spostando il baricentro, oltre che sulla contrattazione, su un caleidoscopio di attività al servizio della loro base associativa. Come tutte le organizzazioni che operano nell’arena istituzionale, hanno anch’esse problemi di qualità della classe dirigente e manifestano una forte tendenza alla conservazione dei loro modi di essere. Però, per il fatto di essere grandi (per numero di iscritti), radicate (per diffusione sul territorio), solide (per numero di dipendenti e dal punto di vista dei bilanci), ciò consente loro di provare a rispondere in modo innovativo alle sfide poste dal nuovo secolo. In fondo rappresentare non significa “rispecchiare” in modo supino le domande della propria base associativa quanto invece, al contrario, “reinterpretare” quelle domande in proposte coerenti, praticabili, perché rielaborate alla luce dei vincoli posti dalla presenza di molteplici istituzioni e attori sociali.

Vi è oramai un consenso molto esteso sulle trasformazioni dovute al cosiddetto “progresso tecnico”, i cui effetti sono stati rilevantissimi in questi due decenni del XXI secolo. Esse sono riconducibili a due grandi driver di cambiamento:

  • le innovazioni tecnologiche che stanno rivoluzionando i vecchi modi di produzione, rendendo obsolete le tradizionali definizioni merceologiche;
  • l’ampliamento esponenziale dei mercati di merci e servizi, i quali, superato l’obiettivo del XX secolo della costruzione di grandi aree geografiche omogenee (il mercato unico europeo, il NAFTA, l’Oriente, ecc.), sono oggi diventati mercati globali.

Di qui la necessità di due grandi opzioni strategiche di lungo periodo: a) adeguare il “sistema di offerta” delle associazioni di rappresentanza alle trasformazioni indotte dal progresso tecnico; b) assumere come primo interlocutore negoziale, a tutti i livelli, le istituzioni pubbliche, tanto a livello centrale (governo) quanto a livello decentrato (regioni, province, comuni) e sovranazionale. Una prima conseguenza è costituita dal progressivo dissolvimento delle distinzioni tra sistema primario, secondario e terziario, come pure della separazione tra le diverse classi di addetti. Un po’ alla volta tutte le associazioni hanno cominciato a iscrivere le imprese e gli imprenditori a prescindere dalle loro specificità settoriali e dalle loro dimensioni, tanto che pur mantenendo le denominazioni originarie dell’industria, del commercio, dell’artigianato, oggi “tutti associano tutti”. I confini settoriali e merceologici diventano più confusi nella misura in cui il terziario invade gli altri settori attraverso l’accresciuta e trasversale importanza delle tecnologie digitali e della priorità assoluta ricoperta dai canali di vendita via internet, tanto all’ingrosso quanto al dettaglio.

Per tutte le ragioni fin qui descritte, la competizione tra associazioni diviene aperta: scavalca i settori produttivi, i confini merceologici e le segmentazioni tradizionali.

L’intreccio di queste molteplici tendenze appena descritte ha avuto come risultato che:

  • i bacini dei potenziali utenti sono tendenzialmente sovrapponibili;
  • il sistema della rappresentanza è diventato competitivo;
  • i criteri di identificazione con l’una o l’altra associazione sono sempre più sfumati, anche se permangono tracce delle antiche appartenenze; d) la competizione si gioca sempre più sulla qualità delle prestazioni offerte agli associati.

Almeno tre sfide possono essere indicate come prioritarie per continuare a mantenere i primati fin qui raggiunti, e tutte e tre hanno a che fare con la capacità di rappresentare/reinterpretare le novità del nuovo secolo. In primo luogo, è necessario adeguare le tecniche di proselitismo e di fidelizzazione alle domande dei giovani imprenditori cresciuti in un ambiente totalmente diverso da quello del secolo scorso. In secondo luogo, andrà ripensata la contrattazione nazionale e territoriale per renderla capace di rispondere a una diversificazione di condizioni lavorative e di risultati economici che va aumentando di giorno in giorno. In terzo luogo, vanno ridefiniti in modo sistematico gli ambiti di operatività degli enti bilaterali, con il duplice obiettivo di aumentarne l’efficienza e di integrare meglio, in modo sussidiario, le attività associative e quelle pubbliche, in particolare in ambito sanitario e formativo.

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Paolo Feltrin

Paolo Feltrin

Ha insegnato Scienza dell’amministrazione e Scienza politica nelle università di Firenze, Catania e Trieste. Si occupa di relazioni tra rappresentanza degli interessi, partiti e istituzioni, oltre che di sistemi elettorali e comportamenti di voto. È stato membro di vari organismi istituzionali, tra cui le Commissioni per il ridisegno dei collegi elettorali (2003–2020), il Comitato scientifico dell’Osservatorio sulla finanza pubblica del Senato e la Commissione di indagine sull’esclusione sociale. Autore di numerosi studi, ha pubblicato – tra gli altri – Imprese e rappresentanza (Carocci, 2014, con S. Zan) e Al bivio. Lavoro, sindacato e rappresentanza nell’Italia d’oggi (Donzelli, 2016, con M. Carrieri).

SPIRITO ARTIGIANO

Un progetto della Fondazione Manlio e Maria Letizia Germozzi onlus

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