“La demografia non può essere ridotta a un tema puramente economico. Si tratta più che altro della perdita di un fattore culturale: è andata scemando la prospettiva teleologica della vita. Questo è il vero dramma”. Giulio Sapelli, presidente della fondazione Germozzi ed economista di vaglia irrompe con l’originalità e la profondità che contraddistinguono un pensiero che, comunque, non si rassegna. L’occasione è l’approdo sui territori – e nella fattispecie a Ferrara, ieri al teatro Abbado – di Spirito Artigiano (la piattaforma di Confartigianato) e del quaderno della fondazione che Sapelli presiede dedicato proprio alla demografia.
Il saggio in questione è firmato da Alessandro Rosina, docente di Demografia e Statistica sociale all’Università Cattolica di Milano. La presentazione del volume – dalla quale è scaturito un lungo dibattito grazie ai contributi del direttore generale del Censis Massimiliano Valerii, del docente e saggista Mauro Magatti e della rettrice di Unife Laura Ramaciotti (oltre che di Sapelli) – si articola su due livelli. Il primo è l’inquadramento del problema, per l’Italia ma anche rispetto ad altre realtà europee, e il secondo si concretizza nella formulazione di alcuni suggerimenti per tentare di invertire la rotta. Specie alla luce dei riverberi sul mondo delle imprese. Preoccupazione, quest’ultima, largamente ribadita dai vertici regionali e nazionali di Confartigianato nel corso della serata.
Nel 2050 il rapporto tra pensionati e lavoratori sale a 1 a 1
Il dato macroscopico è che “siamo il Paese con meno giovani in Europa”, dettaglia Rosina. Non solo. “Secondo i dati dell’Ocse – spiega l’autore del quaderno – l’Italia rischia di essere il primo Paese che, nel 2050, rischia di trovarsi con un rapporto 1 a 1 tra pensionati e lavoratori”. Va da se che “uno scenario di questo tipo è considerato incompatibile con qualsiasi prospettiva di sviluppo, oltre che insostenibile rispetto al sistema sociale”. Ci muoviamo, insomma, in controtendenza rispetto a molte realtà europee (Francia, Germania e, ancor di più la Svezia), nelle quali l’inversione del trend demografico è già una realtà consolidata.
Non c’è rassegnazione, però, nelle parole di Rosina. Anche perché, trovandosi di fronte a una platea di imprenditori, il pessimismo non è contemplato. Ed ecco le tre linee guida, o meglio metodologiche, che occorrerebbe seguire per far risalire la colonnina di mercurio dell’inverno demografico. La prima è quella di “prendere piena consapevolezza del ruolo della demografia nelle sfide che ha di fronte il paese”, in prima istanza di fronte al tema della competitività evitando squilibri irreversibili. La seconda sta “nell’approccio da adottare, che deve porre al centro dell’attenzione i meccanismi di un adeguato rinnovo generazionale”. Giovani, occupazione femminile e immigrazione di “qualità”. Da ultimo, “è necessario agire contestualmente su tutte le leve in modo interdipendente: quelle che operano sulle cause ma anche quelle che intervengono sulle conseguenze”.
“Non è l’invecchiamento della popolazione, ma il fatto che non si facciano più figli”
Il baricentro dell’argomentazione di Sapelli tocca tanti temi, se vogliamo anche più trascendenti, che lambiscono tra gli altri anche la “scristianizzazione dell’Europa”. L’angolo di prospettiva è, appunto, quello della visione teleologica della vita. Dunque “serve una rivoluzione spirituale, culturale”. Perché, al netto del fatto che il problema “non è l’invecchiamento della popolazione, ma il fatto che non si facciano più figli”, “occorre superare il nichilismo della nostra società: pensare a una riforma morale”. Più del pallottoliere, il presidente della fondazione Germozzi esplora una dimensione più profonda che contempla anche i “percorsi educativi dei giovani”, un ritorno alla “cultura del sacrificio”. Sì, perché “in una società di soli diritti, di figli non se ne fanno”. Game, set, match.
Tra Magatti e Sapelli si rincorrono sguardi d’intesa. D’altra parte anche il docente della Cattolica parte dal presupposto che “senza spirito non c’è futuro per un Paese”. Il piglio è quello del fustigatore propositivo. E la prima denuncia è a un tipico costume italico: “Noi Italiani abbiamo galleggiato nell’oceano della globalizzazione, ma non abbiamo ancora capito che dobbiamo darci una mossa: investire. Sennò, non è immaginabile un futuro”. E l’investimento è anche la “scelta di fare figli”. Sì, perché “la realtà è più importante dell’ideologica”. Troppo spesso, proprio sulla demografia, hanno prevalso gli steccati ideologici piuttosto che il concreto tentativo di invertire la rotta.
La crisi di identità italiana
Alla radice della crisi demografica, secondo Magatti, si innesta una profonda “crisi d’identità”. “Se un popolo non ha una ragione per stare assieme, si disgrega. Questa ragione è la conoscenza di chi siamo realmente. Se non sappiamo dire ai nostri giovani chi siamo, che Paese è l’Italia, loro sono perfino legittimati a non voler rimanere qui”. La dimensione identitaria, tuttavia, deve muoversi di pari passo con quella “dello spirito”. Perché “è lo spirito a dare la spinta alla crescita”. Spirito Artigiano, non a caso.
La sfida: uscire dalla sindrone della generazione perduta
Se la tentazione è quella di “scoraggiarsi” di fronte ai numeri sul calo demografico, la sfida è di “uscire dalla sindrome della generazione perduta”. Sebbene i numeri siano i più drammatici “da quando esistono le statistiche sulla demografia”. Il direttore del Censis non si destreggia solo tra numeri e percentuali, ma si addentra in un ragionamento più politico. “Dal 2015 – osserva Valerii – la popolazione italiana ha iniziato a ridursi. Ne deriva che il Paese si stia rimpicciolendo. Il riflesso più immediato è la perdita di peso politico nello scenario internazionale”. Tanti sono gli interrogativi sul perché, nel nostro Paese, non si facciano figli. La risposta, al di là del ribadire l’assenza della visione teleologica, è che “c’è una minore propensione, rispetto al passato – risponde Valerii – di assumersi responsabilità e di correre rischi. Quel rischio che è intrinseco, invece, nell’attività dell’imprenditore e che ha reso grande il nostro Paese e la nostra manifattura”. Un patrimonio inestimabile, a rischio scomparsa.
Federico Di Bisceglie
Dopo gli studi classici approda alla redazione de il Resto del Carlino di Ferrara, appena diciottenne. Nel giornale locale, inizialmente, si occupa di quasi tutti i settori eccetto lo sport, salvo poi specializzarsi nella politica e nell’economia. Nel frattempo, collabora con altre realtà giornalistiche anche di portata nazionale: l’Avanti, l’Intraprendente e L’Opinione. Dal 2018 collabora con la rivista di politica, geopolitica ed economica, formiche.net. Collaborazione che tutt’ora porta avanti. Collabora con la Confartigianato Ferrara in qualità di responsabile della comunicazione.