Adattarsi al cambiamento, cogliere le sfide dell’innovazione. Tenere alta la qualità della catena del valore. Costruttori di futuro, nel preservare l’innovazione. Più o meno questi gli ingredienti per la ricetta dell’artigianato non solo che piace, ma che funziona e che è capace di “restare sul mercato”. Le sfide, in questo senso, non mancano. E coinvolgono non solo il mondo produttivo in senso stretto, ma anche quello della rappresentanza. Ed è su questo che ci siamo soffermati nell’intervista di Spirito Artigiano con Carlo Stagnaro, economista, docente universitario e direttore della ricerca dell’Istituto Bruno Leoni.

 

Stagnaro, che sfide si profilano all’orizzonte per le imprese artigiane in un contesto economico globale che presenta diversi elementi di incertezza?

«L’Italia, come tutti i Paesi europei, ha uno spazio nell’economia globale nella misura in cui riesce a collocarsi nella parte alta delle catene del valore. Questo è un discorso che vale tanto per l’industria quanto per l’artigianato. E, in particolare in quest’ultimo settore, la spinta a tenere alto il valore deve essere preservata e incoraggiata, anche variando, laddove è necessario, i processi produttivi».

Non propriamente un passaggio banale. Come renderlo sostenibile in particolare per le aziende di piccole e medie dimensioni che rappresentano la quasi totalità del nostro sistema produttivo?

«È prima di tutto un cambio di paradigma concettuale. Non possiamo credere che, se il nostro modo di produrre ha funzionato fino a oggi, possa andare bene fino a domani. Sul piano dimensionale, il fatto che la stragrande maggioranza delle imprese artigiane sia di piccole o medie dimensioni presenta degli elementi a favore e alcuni a sfavore».

Quali sono le leve sulle quali puntare?

«Le piccole imprese artigiane sono senz’altro più flessibili e capaci di adattarsi alle fluttuazioni, oltre che alle esigenze del mercato. D’altra parte, spesso presentano difficoltà sotto il profilo finanziario. Talvolta, poi, risulta complesso cambiare metodo produttivo. Ed è qui che, a mio modo di vedere, entra in gioco la rappresentanza e diventa centrale la funzione del corpo intermedio».

È necessaria una sensibilizzazione verso nuove forme produttive?

«Più che altro è essenziale che i corpi intermedi interpretino le esigenze del mercato e, pur tenendo conto delle istanze della propria base associativa, non facciano battaglie per la conservazione dello status quo, ma piuttosto che lavorino per dare nuovi strumenti alle imprese artigiane, in modo da renderle sempre più competitive».

La legislazione spesso non agevola il fare impresa, in particolare per le realtà di piccola entità ma magari di grande valore. Come uscire da questo impasse?

«Questa è un’altra grande sfida per il mondo della rappresentanza. La piccola dimensione è spesso legata a un’iperspecializzazione, che rende il nostro Paese un grande player in termini di eccellenze produttive. Spesso, tuttavia, la legislazione contiene dei disincentivi, più o meno impliciti, al fare impresa. Questa tendenza, sotto il profilo ordinamentale, va invertita. Il lavoro, quindi, deve essere orientato a eliminare gli ostacoli alla crescita e a favorire la capacità delle imprese – anche di piccole dimensioni – di attrarre capitali. D’altra parte, le aziende devono essere in generale più disponibili e aperte al mercato e ai capitali, anche per avere una fonte di finanziamento alternativa a quella tradizionale rappresentata dagli istituti di credito».

L’artigianato può essere una via percorribile anche dalle giovani generazioni?

«Certo. Penso che sia un settore potenzialmente molto attrattivo per i ragazzi. Sono tante, sotto questo punto di vista, le storie di successo. E lo vediamo in particolare quando assistiamo a passaggi generazionali gestiti in maniera efficace. Un buon pasticcere di paese può diventare un’azienda di successo, esportatrice di prodotti Made in Italy, se è in grado di soddisfare le richieste del mercato su larga scala senza rinunciare alla qualità».

Come coniugare intelligenza artigiana e intelligenza artificiale?

«L’idea che l’intelligenza artificiale possa sostituire l’uomo è una falsità. E nell’artigianato è particolarmente evidente questa circostanza: l’IA non può ‘fare’ tutto ciò che è frutto della creatività, componente, lo ribadisco, essenziale per l’artigianato. L’intelligenza artificiale, però, può essere uno strumento formidabile al servizio dell’intelligenza artigiana. Può amplificare la capacità di fare e produrre cose, ridurre i costi o massimizzare i profitti. Ma in tutto questo, deve essere guidata dall’uomo, e dunque dall’artigiano, che conserva una centralità assoluta».

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