Nel panorama dell’innovazione tecnologica, uno degli argomenti più affascinanti e dibattuti negli ultimi anni è senza dubbio l’Intelligenza Artificiale (IA). Spesso rappresentata dai media come il tramite verso un futuro dominato da macchine senzienti potenzialmente in grado di sostituire gli essere umani, l’IA è in realtà oggigiorno profondamente radicata nella capacità di emulare specifici aspetti dell’intelligenza umana, piuttosto che replicarla nella sua interezza.
Ma cosa indica esattamente il termine intelligenza artificiale? Dare una risposta a tale domanda non è banale. Basti pensare che già solo provare a definire semplicemente cosa si intende per intelligenza darà luogo a differenti definizioni, ognuna indirizzata ad evidenziare una particolare declinazione del concetto stesso di intelligenza (es., intelligenza scientifica, intelligenza artistica, intelligenza emotiva, e cosi via). Nel corso degli anni dunque, diversi autori hanno provato a fornire una definizione di IA, ma ad oggi la comunità scientifica ancora non è giunta ad una unanimità su quella da considerarsi definitiva. E probabilmente mai lo farà a causa delle differenti e numerose sfaccettature di cui sopra, ulteriormente complicate dall’inserimenoto dell’aggettivo “artificiale”. Volendo però provare a fornire una definizione incentrata sulle capacità di un sistema dotato di intelligenza artificiale, quella probabilmente più condivisa è stata fornita da Marvin Minskey, uno dei padri fondatori dell’IA moderna, nel 1950: “un sistema si può dire dotato di intelligenza artificiale se in grado di svolgere autonomamente compiti che richiederebbero l’uso dell’intelligenza se svolti da parte di un essere umano”.
“Un sistema si può dire dotato di intelligenza artificiale se in grado di svolgere autonomamente compiti che richiederebbero l’uso dell’intelligenza se svolti da parte di un essere umano”
Sebbene parzialmente ricorsiva (definisce l’IA riferendosi al concetto di intelligenza), questa definizione è estremamente interessante per differenti motivi. Il primo è senza dubbio la sua capacità di mettere al centro (e quindi non sostituire) l’essere umano. Il secondo è l’autonomia, ossia la capacità di svolgere un compito senza l’intervento di un operatore. In sostanza, l’intelligenza artificiale è quindi un ramo dell’informatica che cerca di progettare sistemi capaci di eseguire attività che, se svolte da esseri umani, richiederebbero un certo grado di intelligenza. Questo può includere compiti come il riconoscimento vocale, la presa di decisioni o la traduzione tra diverse lingue. In tutti i casi, l’idea non è tanto quella di replicare in modo esatto l’intelligenza umana, ma piuttosto quella di emulare certe sue caratteristiche. È bene sottolineare che la conseguenza principale è che gli automatismi “banali” non costituiscono intelligenza artificiale. Ad esempio, una calcolatrice può elaborare operazioni matematiche a una velocità straordinaria, ma questo non la rende “intelligente” come un essere umano.
Questa distinzione si manifesta chiaramente nel campo del machine learning (ML), una specifica branca dell’IA dove i sistemi imparano attraverso l’osservazione di esempi. Nel machine learning, a differenza della programmazione tradizionale, non si danno istruzioni dettagliate al sistema su come svolgere un determinato compito. Invece, il sistema impara autonomamente come eseguirlo analizzando numerosi esempi. Prendiamo, per esempio, il riconoscimento di un cane rispetto a un gatto. Invece di programmare il sistema con regole precise, gli forniremmo molteplici esempi (sotto forma di immagini, descrizioni, video ecc.) di entrambi gli animali. Utilizzando questi esempi come riferimento, durante la sua fase di addestramento, il sistema imparerà a identificare le caratteristiche distintive che differenziano un cane da un gatto.
Alla base del machine learning ci sono dunque una serie di algoritmi e processi di apprendimento che permettono ai computer di svolgere compiti specifici. Alcuni di questi compiti, come il riconoscimento di immagini o il processamento del linguaggio naturale, sono estremamente complessi e richiedono l’elaborazione di una mole enorme di dati. Eppure, nonostante queste capacità straordinarie, un sistema di IA non “pensa” o “sente” come un essere umano. Piuttosto, analizza i dati secondo le direttive che gli sono state fornite e risponde di conseguenza.
Una delle espressioni più avanzate del ML sono i modelli linguistici di grandi dimensioni (dall’inglese Large Language Models). Questi sistemi, come l’ormai celeberrimo ChatGPT, sono capaci di analizzare, comprendere e produrre testi in una vasta gamma di lingue e stili. Funzionano analizzando miliardi di parole e frasi, apprendendo così non solo le regole grammaticali delle lingue, ma anche una miriade di informazioni su una vasta gamma di argomenti. E, sebbene possano produrre contenuti che sembrano incredibilmente “umani”, è fondamentale ricordare che operano senza una vera consapevolezza o comprensione: sono strumenti, non esseri pensanti.
“Il nesso tra l’IA e l’artigianato può non sembrare immediatamente evidente, ma esiste ed è profondo”
Questi modelli sono basati sulle reti neurali artificiali, un formalismo matematico fortemente ispirato alle reti neurali biologiche (e in particolare al cervello dei mammiferi) in cui un elevatissimo numero di elementi “intelligenti” atomici cooperano per apprendere e poi svolgere un compito specifico. Il nesso tra l’IA e l’artigianato può non sembrare immediatamente evidente, ma esiste ed è profondo. E le reti neurali artificiali ne rappresentano l’esempio principe. Infatti, creare un sistema di ML basato su reti neurali artificiali non è un’impresa semplice o lineare. Non si tratta infatti di seguire una ricetta o di applicare una serie di regole fisse. Piuttosto, è un processo di sperimentazione, di “intaglio” e “progettazione” della migliore configurazione, di affinamento e di continua iterazione, molto simile al lavoro dell’artigiano che modella la sua creazione. In questo senso, gli esperti di IA sono gli artigiani del XXI secolo. La loro “materia prima” sono i dati e gli algoritmi, e la loro maestria risiede nella capacità di plasmare questi elementi in artefatti (seppur digitali) funzionanti ed efficienti.
Questo approccio “artigianale” all’IA sottolinea l’idea che, nonostante le sue radici profondamente tecnologiche, la creazione di sistemi di intelligenza artificiale è ancora un’arte. Come in ogni forma d’arte, ci sono principi guida e tecniche da seguire, ma la vera maestria emerge nella capacità di vedere oltre, di innovare e di creare qualcosa di unico e di valore. In conclusione, l’intelligenza artificiale, pur essendo una delle frontiere più avanzate della tecnologia, conserva un legame profondo con l’approccio artigianale, con la passione, la dedizione e l’abilità che hanno caratterizzato le opere d’arte per secoli. Mentre ci avventuriamo in questo nuovo mondo dell’IA, è fondamentale ricordare che dietro ogni algoritmo, ogni modello e ogni sistema, c’è il tocco umano, l’arte e la visione di coloro che lo hanno creato.
Foto di Ash @ModernAfflatus
Stefano Marrone
Professore Associato presso l'Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli. Ricercatore nell'ambito dell'applicazione di metodi formali alla modellazione e all'analisi di sistemi critici attraverso approcci multiformali, compositivi e basati su modelli. Ingegnere del software con esperienza industriale in sistemi informatici distribuiti e critici: verifica e validazione del software e test (sia strutturali che funzionali). Ingegnere della sicurezza per sistemi di metropolitana senza conducente.
Specializzazioni: Modellazione di sistemi critici complessi mediante metodi formali (Reti di Petri, Reti Bayesiane, Alberi delle Guasti, ...). Ingegneria basata su modelli. Test del software. Analisi RAMS dei sistemi critici.