La riparazione – che è anche rigenerazione – è uno degli aspetti che meglio caratterizzano la cultura artigiana. Il modo migliore per introdurne il tema e la rilevanza è un dialogo del meraviglioso film Hugo Cabret di Martin Scorsese, vincitore di 5 Oscar.

 

Ambientato nella Parigi di Fine secolo racconta la storia di Hugo, figlio orfano di un orologiaio che gli ha trasferito l’amore per i meccanismi. Hugo, nella scena climax del film, spiega alla sua fidanzata questo suo amore per i meccanismi funzionanti: «Ogni cosa ha uno scopo, perfino le macchine: gli orologi ti dicono l’ora, i treni ti portano nei posti, fanno quello che devono fare. Forse per questo i meccanismi rotti mi rendono triste; non possono più fare quello che dovrebbero. Forse è lo stesso con le persone: se perdi il tuo scopo, è come se fossi rotto … E questo il tuo scopo? Aggiustare le cose?»

Riparare è dunque qualcosa di più che ripristinare il funzionamento. Una parte della potenza della parola è probabilmente nel suffisso -ri, che esprime concetti come ripetizione (ripensare, riprovare, rivedere), ritorno (ritrovare, riscoprire, riacquistare, riprendersi) e intensità (risvegliare, rigenerare, rinforzare). Lo psicoanalista James Hillman va ancora più in profondità: «‘ri’, la sillaba più importante della psicologia: ri-cordare, ri-tornare, ri-vedere, ri-flettere … Ma di tutte queste parole che cominciano con ‘ri’, la più importante potrebbe essere ri-spetto, in cui c’è l’idea del ‘guardare di nuovo’. (…) Ri-spettare noi stessi invece di ispezionare noi stessi con senso di colpa. Aver riguardo per quello che è stato dimenticato o rimosso; aver ri-guardo perfino per i meccanismi della dimenticanza e della rimozione».

Usando un linguaggio più poetico, Marguerite Yourcenar ci svela altri suoi aspetti della riparazione nelle sue Memorie di Adriano: «Costruire significa collaborare con la terra, imprimere il segno dell’uomo su un paesaggio che ne resterà modificato per sempre […]. Ho ricostruito molto: e ricostruire significa collaborare con il tempo nel suo aspetto di passato, coglierne lo spirito e modificarlo, protenderlo, quasi, verso un più lungo avvenire; significa scoprire sotto le pietre il segreto delle sorgenti.»

 

 

Un uso addirittura artistico della riparazione ci viene dalla cultura giapponese: il kintsugi (letteralmente “riparare con l’oro”) è l’antica arte giapponese della riparazione che consiste nel saldare insieme i frammenti dell’oggetto usando una mistura di lacca urushi (derivata dalla resina di un albero) che viene poi coperta con oro (o più raramente argento) in polvere a granulometria molto fine e poi brunita con una pietra d’agata.

Lo scopo non è quello di nascondere il danno, ma di enfatizzarlo, incorporandolo nell’estetica dell’oggetto riparato che in tal modo diventa, dal punto di vista artistico, “migliore del nuovo” e più prezioso – sia per la presenza dell’oro che per la sua unicità.

E poi il mondo del software, dove i costi, la complessità e la frequenza di manutenzione sono l’elemento chiave per valutare piattaforme alternative. Anzi il mondo del software ha addirittura cambiato il paradigma: non più riparazione di qualcosa di rotto per riportarlo alla forma ideale, quanto un continuo adattamento della forma al contesto, una sorta di trasformazione permanente.

Infatti solo manutenendo (aggiustando) si capisce come il software (ma anche le cose) funzionano davvero, si svela la sua anima. E un oggetto “ben fatto” è molto più facile da riparare e manutenere. Nel mondo del software – invece – la manutenzione sta letteralmente scappando di mano e sta diventando una delle voci di costo più rilevanti; e poiché la manutenzione è completamente connaturata con lo sviluppo, si stanno diffondendo sempre di più software “ri-utilizzabili”.

La riparazione sembrerebbe, dunque, quasi più importante della creazione; cosa difficile a dirsi … e forse domanda di scarsa utilità.  Ma certamente la riparazione si pone l’obiettivo di mantenere quella che Robert Pirsig nel suo celebre Lo Zen e l’arte della manutenzione della motocicletta chiama la “personalità” dell’oggetto e cioè «la somma percepibile di tutto ciò che di essa si sa o si sente». Pertanto “è questa personalità l’oggetto vero della manutenzione della motocicletta».

In ogni caso la riparazione è spesso più complessa della produzione. In questo senso è un atto autenticamente artigiano. Come afferma Richard Sennett nel suo Insieme. Rituali, piaceri, politiche della collaborazione, «L’intervento di risanamento sollecita il riparatore a passare in rassegna mezzi diversi per raggiungere il medesimo scopo, mentre il costruttore originario ne aveva previsto uno solo … [è dunque una] persona che non insegue sogni, ma sa come aggiustare le situazioni date, e la capacità inventariale costituisce il suo capitale: ha presente una gamma di alternative»

E allora in questa attività così umana e sofisticata, che tipo di contributo può dare la tecnologia? Posto che queste domande non hanno mai risposte definitive, oggi una cosa è chiara: la diagnostica ha fatto passi da giganti e prima di ogni intervento – sia manutentivo che riparatorio – e sapere come e dove intervenire.

La medicina è forse la più antica attività riparatoria e nessun medico o chirurgo agirebbe senza prima aver visto gli esami specifici e aver ipotizzato una diagnosi e un decorso. Lo stesso vale per gli oggetti. Si sono sviluppati pertanto sistemi di realtà aumentata non solo per creare spazi immersivi 3D, ma anche per capire come è fatto uno specifico oggetto da riparare, le sue proprietà chimiche, la sua struttura, i materiali da cui è composto. Sul fronte diagnostico, è oggi possibile fare cose un tempo addirittura inconcepibili. Il filone delle tecnologie diagnostiche per il restauro degli artefatti è ad esempio molto ricco: radiografie digitali, analisi con gli ultravioletti, riflettografie, tomografie di neutroni…

Questi sistemi di rilevazione possono essere usati in modo puntuale (per analizzare una parte) o sistematico, per rappresentare l’oggetto nella sua interezza come un gemello digitale (ne abbiamo già parlato negli articoli precedenti) e poter simulare l’impatto della riparazione prima di attuarla.

Nel prossimo articolo – il 7° della serie – parleremo invece della formazione delle maestranze che, grazie al digitale e ai dati sta subendo una vera e propria rivoluzione.

 

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