
Da esportatori di bellezza, maestria e sogni al rischio che tutto ciò possa svanire per colpa della miopia sulle politiche industriali che dura da almeno vent’anni. È difficile capire se l’Italia sia ancora un Paese generativo, capace di coltivare talenti imprenditoriali. Alla base di tutta questa situazione, c’è una postura culturale che è diventata strutturale. «Negli ultimi anni, più che sullo sviluppo e sulle imprese, si è puntato tutto sull’assistenzialismo». L’analisi di Riccardo Ursi[1], docente di diritto amministrativo all’Università di Palermo è impietosa ma assolutamente aderente alla realtà. Ursi, però, non si limita all’analisi dello status quo, ma formula alcune linee di possibili interventi per dare nuova centralità all’artigianato e alle Pmi più in generali. Soluzioni che, fra l’altro, implicherebbero un cambio di passo significativo della Pa.
Professore, la sua analisi è piuttosto impietosa. Gli italiani non sono più un popolo di imprenditori?
«Gli ultimi vent’anni sono stati devastanti. La direzione assunta, trasversalmente, è stata quella di un privilegiare l’assistenzialismo rispetto allo sviluppo industriale. Le imprese che nascono dal nulla, oggi più che mai, sono figlie dell’università. Le altre, in particolare artigiane, sono di tradizione familiare. Da decenni non c’è una vera politica industriale, che incentivi l’imprenditorialità in particolare per i ragazzi giovani. L’industria 4.0 funzionava, ma poi è stata di fatto smantellata. Tant’è che uno fra i problemi più grossi per l’artigianato è proprio il passaggio generazionale. A questo, si aggiunge una disparità territoriale».
Esiste ancora, insomma, l’Italia a due velocità?
«Purtroppo sì. Salvo qualche piccola eccezione, il Sud sconta ancora un deficit di competitività altissimo per una serie di ragioni. Anche per via di una pubblica amministrazione che rappresenta un ostacolo spesso insormontabile».
A tutte le latitudini, per la verità, gli imprenditori artigiani (e non) lamentano un rapporto piuttosto complicato con la Pubblica Amministrazione. Ci sono margini per un’inversione di tendenza?
«Agire sulla pubblica amministrazione per renderla più vicina alle imprese è una delle tre strade da seguire per tentare, più in generale, di dare un nuovo slancio al sistema produttivo del Paese, in particolare a quello delle Pmi. Occorre lavorare per una semplificazione spinta, che elimini i fardelli autorizzativi. A questo, dovrebbe fare il paio anche un intervento robusto per ridurre il costo del lavoro a carico delle piccole imprese a maggior ragione».
Quali sarebbero dal suo punto di vista gli altri due fronti su quali occorrerebbe agire?
«Il primo è quello della promozione dell’artigianato, legandolo in qualche modo alle destinazioni turistiche come elemento identitario e peculiare. Questo potrebbe non solo incentivare l’acquisto di prodotti artigianali, ma anche agganciare mercati esteri difficilmente raggiungibili per altri canali. Per cui, una compenetrazione dei settori potrebbe favorire largamente l’artigianato. Al contempo, è fondamentale che si lavori per una semplificazione nell’accesso al credito delle Pmi. A maggior ragione per investimenti sul versante dell’innovazione tecnologica».
L’artigianato è un settore che sempre di più sta lavorando sulle nuove tecnologie.
«A maggior ragione. Diversificando e innovando l’artigianato può avere davvero margini di crescita. Il contesto, a partire dal rapporto con la Pa però, deve cambiare. Sennò il rischio è quello di disperdere un grandissimo patrimonio di competenze».
[1] Il prof. Riccardo Ursi si è laureato con lode nel 1995 all’Università di Palermo, dove ha iniziato una carriera accademica nel diritto amministrativo. Dopo il dottorato conseguito nel 2002, è diventato ricercatore nel 2000 e poi professore associato. Ha organizzato numerosi convegni nazionali e internazionali, pubblicato diversi monografie e articoli su diritto amministrativo e società pubbliche. Ha ricoperto incarichi di coordinamento didattico e presidenze di corsi e consorzi universitari, svolgendo attività di docenza in diritto amministrativo e collaborazioni scientifiche continuative.
© 2025 Spirito Artigiano. Tutti i diritti riservati.

Federico Di Bisceglie
Dopo gli studi classici approda alla redazione de il Resto del Carlino di Ferrara, appena diciottenne. Nel giornale locale, inizialmente, si occupa di quasi tutti i settori eccetto lo sport, salvo poi specializzarsi nella politica e nell’economia. Nel frattempo, collabora con altre realtà giornalistiche anche di portata nazionale: l’Avanti, l’Intraprendente e L’Opinione. Dal 2018 collabora con la rivista di politica, geopolitica ed economica, formiche.net. Collaborazione che tutt’ora porta avanti. Collabora con la Confartigianato Ferrara in qualità di responsabile della comunicazione.