
Dove tutto è possibile. Il grande schermo. Dietro le quinte, chi da vita alla magia, è sempre un artigiano. Roma, Cinecittà. Tra luci dei riflettori e polvere di legno, il cinema prende forma. Rossella Catanese*, professoressa di teorie e tecniche del linguaggio filmico e Narrazioni Audiovisive (le sue pubblicazioni riguardano la storia del cinema, gli archivi filmici, il cinema sperimentale e il restauro dei film) all’Università degli Studi della Tuscia, ci guida tra laboratori e set, tra visionarietà e gesti concreti. Ogni scenografia, costume, oggetto di scena è il frutto di mani esperte che trasformano l’idea in immagine. Il digitale non cancella, amplifica: stampa 3D, fotogrammetria, modellazione virtuale diventano estensione dell’artigianato. Ogni film una bottega, ogni sequenza un piccolo miracolo di techné. E in questo intreccio tra creatività e sapere manuale si forgia il futuro delle nuove generazioni di maestranze.
Dal suo punto di vista qual è il rapporto tra artigianato e cinema?
«Il cinema, in quanto forma d’arte della modernità industriale, non esisterebbe senza il substrato di saperi tecnico-pratici che ne permettono la realizzazione concreta. L’idea registica, per sua natura intangibile, richiede infatti di essere tradotta in una dimensione sensibile e fotografabile attraverso un processo di manifattura che è, in ogni sua fase, profondamente artigianale. Che si tratti di costruire una scenografia o di confezionare un costume, si attiva un sapere fatto di gesti, materiali e tecniche specializzate (techné) che trasforma il concetto in un “manufatto” audiovisivo.
In particolare, in Italia la formazione delle maestranze avveniva in un contesto storico e culturale che ha sempre valorizzato le capacità artistiche; la famosa “Hollywood sul Tevere” degli anni de La dolce vita, cioè la presenza a Roma di produttori, registi e star americani, aveva ragioni di natura commerciale (come la legge Andreotti del 1949 che finanziava produzioni e co-produzioni italiane e offriva sgravi fiscali più interessanti rispetto al contesto statunitense), ma è stata di certo determinante anche la bravura e la caratura artistica delle figure professionali di Cinecittà, che conquistarono tutti.»
Come è evoluta questa connessione negli anni?
«Questa connessione ha attraversato una significativa evoluzione dialettica, segnata da tre fasi principali. Inizialmente, nella fase pre-industriale e del sistema degli studi, l’artigianato era perfettamente integrato in un modello produttivo di tipo quasi-fordista, dove maestranze specializzate operavano in botteghe interne agli studios. Poi, con il declino di quel sistema e l’avvento della figura del regista-autore, si è assistito a una ri-artigianalizzazione del processo creativo, dove le competenze tecniche si sono messe al servizio di visioni estetiche più personali e diversificate. Vi consiglio un bel film che racconta il ruolo determinante di due artigiani italiani prestati al cinema americano negli anni del muto: Good Morning Babilonia (1987) dei fratelli Paolo e Vittorio Taviani. L’ingresso nell’era digitale, infine, ha inizialmente generato il timore di una sostituzione dell’artigianato tradizionale, ma ha poi rivelato la sua vera natura di potente strumento di trasformazione. Oggi assistiamo a una trasfigurazione del rapporto, visto che il digitale non soppianta il sapere manuale, ma lo integra e lo potenzia, spostando il campo d’azione in un continuum ibrido tra il materiale e l’immateriale.»
Di quali professionalità artigiane abbisogna un settore come quello cinematografico?
«L’ecosistema produttivo cinematografico necessita di una certa varietà di professionalità artigiane: da un lato, permangono le figure dell’artigianato tradizionale applicato, quali lo scenografo, il falegname, l’ebanista, il sarto e il costumista, il decoratore e lo scultore di props, cioè oggetti di scena. Questi professionisti sono depositari di un sapere manuale profondamente radicato nella manipolazione di materie prime fisiche. Dall’altro lato, negli ultimi anni si è affermata con forza la categoria del digital craft, che comprende il modellatore 3D, il texture artist e altre figure relative allo specifico digitale. Sebbene operino in un ambiente computazionale, questi tecnici applicano al dato digitale la stessa logica di cura, pazienza e conoscenza dei materiali che caratterizza l’artigianato tradizionale.»
Quali sono le leve per avvicinare i giovani al comparto?
«Una maggiore visibilità del lavoro delle maestranze è fondamentale; occorre superare una narrazione mediatica centrata esclusivamente sulla figura del regista per dare risalto al contributo determinante di tutte le professionalità tecniche, dato che il cinema è sempre un lavoro collettivo, un’impresa di squadra. A questo dovrebbe accompagnarsi una chiara valorizzazione socio-economica, che garantisca percorsi di carriera definiti e un adeguato riconoscimento retributivo, presentando questi mestieri come scelte professionali solide e gratificanti. In Italia, potrebbe essere strategico inquadrare queste competenze nel solco della più ampia tradizione di eccellenza del Made in Italy, evidenziando le connessioni con l’alta sartoria, il design e il restauro.»
In che modo agire efficacemente sulla formazione delle maestranze artigiane?
«Per una formazione efficace è indispensabile un modello che coniughi il sapere teorico con la pratica sul campo, anche attraverso tirocini curriculari di qualità basati sul modello bottega-apprendista, che rimane un pilastro irrinunciabile. Parallelamente, è cruciale il potenziamento dell’infrastruttura laboratoriale presso le istituzioni formative. Tutto ciò richiede, infine, un solido networking istituzionale che crei tavoli di lavoro permanenti tra i ministeri competenti, gli enti di formazione, le associazioni di categoria artigiane e i rappresentanti dell’industria cinematografica, per allineare costantemente la domanda e l’offerta di competenze.»
Come la tecnologia interagisce in questo rapporto?
«La tecnologia contemporanea, basata sugli ambienti digitali, funge da amplificatore delle capacità dell’artigiano: strumenti come la stampa 3D o la fotogrammetria estendono le sue possibilità esecutive, permettendo livelli di precisione, complessità e controllo prima inaccessibili. L’esito più avanzato di questa interazione è la ridefinizione dei confini stessi della pratica: la figura dell’artigiano ibrido, che padroneggia sia gli strumenti tradizionali che quelli digitali, è ormai una realtà. La tecnologia, in definitiva, non elimina la necessità della “mano” dell’artigiano, ma ne trasforma radicalmente l’espressione, richiedendo una duplice competenza che spazia dalla materia fisica al dato algoritmico.»
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(*Rossella Catanese – Docente e ricercatrice all’Università della Tuscia, specializzata in restauro cinematografico, archivi filmici e avanguardie. Autrice di monografie e curatele internazionali, già assegnista in progetti PRIN ed europei, con esperienze didattiche a NYU Florence e negli USA. Premio Limina 2022 e Duchamp Research Grant 2023).
Federico Di Bisceglie
Dopo gli studi classici approda alla redazione de il Resto del Carlino di Ferrara, appena diciottenne. Nel giornale locale, inizialmente, si occupa di quasi tutti i settori eccetto lo sport, salvo poi specializzarsi nella politica e nell’economia. Nel frattempo, collabora con altre realtà giornalistiche anche di portata nazionale: l’Avanti, l’Intraprendente e L’Opinione. Dal 2018 collabora con la rivista di politica, geopolitica ed economica, formiche.net. Collaborazione che tutt’ora porta avanti. Collabora con la Confartigianato Ferrara in qualità di responsabile della comunicazione.
