Il significato che l’uomo attribuisce al lavoro è parte della storia delle civiltà e ne ricalca lo sviluppo nel tempo ed i caratteri distintivi. Nella Grecia e nell’antica Roma il lavoro è prerogativa degli schiavi, poiché associato alla fatica.
Diventa ‘qualcos’altro’, agli albori della società borghese, quando viene correlato alle sapienti abilità manuali specializzate che operavano principalmente nelle botteghe artigiane.
Di qui in poi il lavoro cessa di essere sinonimo di servitù e diventa parte della definizione di sé ed è alla base della libertà individuale. Si configura come elemento di autorealizzazione, di emancipazione e strumento che assicura senso di appartenenza e sicurezza nei secoli successivi allorché il lavoratore salariato assume progressivamente uno status sociale riconosciuto.
In questo fare, il lavoro, assume sempre più la valenza di fattore continuamente centrale nella vita dell’uomo ma dipendente da elementi di senso individuali quando grandi fenomeni come la globalizzazione, e più recentemente la pandemia, sbriciolano i riferimenti collettivi e lasciano il posto a entità frammentate, con stili diversi, tempi variabili e relazioni individuali.
Il significato del lavoro si moltiplica così per il significato che ogni persona gli attribuisce e muta a seconda delle priorità e delle fasi di vita.
Il paradigma professionale tende sempre più a coincidere con il paradigma personale, affermazione che è maggiormente valida se la si attribuisce alle nuove generazioni.
Come si legge nel primo quaderno della Fondazione Germozzi, “ (…) Anche i valori, gli stimoli, le motivazioni e i comportamenti dei nuovi lavoratori e giovani imprenditori sono del tutto diversi nelle nuove generazioni rispetto alle precedenti, così come sono diversi i modelli simbolici e pratici di riferimento, l’etica del lavoro, e le forme di identificazione con l’azienda e le organizzazioni del mondo del lavoro. Con tutto quello che tale trasformazione comporta riguardo alla incidenza sulla sfera professionale, personale e sociale. Lo stesso interesse tecnico e tecnologico delle nuove generazioni è sempre più spesso sostenuto da una volontà di conoscenza teorica che orienta i giovani a imparare, a conoscere, a fare e a decidere. Le nuove generazioni rifiutano i dogmi, per candidarsi, invece, a essere più liberamente interpreti delle singole realtà operative, tipologie produttive, dinamiche occupazionali [1] (…)”
Le nuove generazioni rifiutano i dogmi, per candidarsi, invece, a essere più liberamente interpreti delle singole realtà operative, tipologie produttive, dinamiche occupazionali
Il lavoro è sempre percepito come un elemento importante nell’equilibrio generale della vita di una persona, ma non è il più importante e, soprattutto, diventa correlato ad una molteplicità di aspetti che concorrono al benessere complessivo. Nella scelta assumono importanza aspetti come le condizioni di lavoro, le prospettive di sviluppo delle competenze, la retribuzione, il tempo libero e la conciliazione con la vita privata.
Lavorare per la PA? No grazie
Il lavoro è sempre percepito come un elemento importante nell’equilibrio generale della vita di una persona, ma non è il più importante e, soprattutto, diventa correlato ad una molteplicità di aspetti che concorrono al benessere complessivo. Nella scelta assumono importanza aspetti come le condizioni di lavoro, le prospettive di sviluppo delle competenze, la retribuzione, il tempo libero e la conciliazione con la vita privata.
Significativi sono stati i risultati del sondaggio “La PA vista dai giovani”, svolto nel 2021 da Proger Index Research [2] tra gli italiani nella fascia di età tra i 25 e 35 anni, cioè nel pieno della vita lavorativa attiva. Il 70% del campione dichiara di non voler lavorare nella PA, da sempre sinonimo di posto fisso e sicuro, poiché il percorso professionale non premia il merito e non offre buone prospettive di guadagno.
Attenti all’ambiente, crescita professionale, flessibilità. Centrale il benessere personale
Ma anche una carriera promettente sembra essere un elemento insufficiente se non è correlato ad un contesto accogliente, etico, attento alle responsabilità sociali e rispettoso dei tempi di vita, capace di rispondere alle priorità che emergono nel tempo.
Siamo di fronte ad un profondo cambiamento evidenziato anche nel Rapporto Giovani 2022 elaborato dall’Osservatorio Giovani dell’Istituto Giuseppe Toniolo [3], dove emerge come in Italia i giovani per oltre il 60% ricercano nel lavoro un reddito adeguato (68% dei giovani tra i 18-22 anni), ma anche un contesto di lavoro del quale condividono i valori (60%) con ricadute positive per la società e l’ambiente (60%).
Anche l’esperienza dello smart working ha contribuito ad evolvere il significato comunemente attribuito al lavoro, mostrando la possibilità di conciliare produzione e tempo libero ed evidenziando anche i limiti di un sistema produttivo e sociale basato su canoni superati e lontano dalle nuove competenze digitali e dalle aspettative dei giovani.
Il vissuto della pandemia e l’isolamento sociale, inoltre, hanno accelerato un fenomeno già in atto e che si è concretizzato nell’assunzione di una nuova centralità dei valori personali, della qualità delle relazioni, del fattore tempo e della necessità di perseguire il benessere nel modo più completo possibile.
Sono eventi che hanno investito in modo diretto il significato attribuito al lavoro e il suo ruolo nel paradigma esistenziale di ogni persona. Le nuove generazioni non accettano più il primo lavoro che trovano e non si accontentano di svolgerlo in modo demotivato, in un contesto che non rispetta le priorità della loro vita. Abituati ad un sistema che, per necessità o per scelta, ha sistematizzato la precarietà, non hanno più paura del cambiamento e lo utilizzano per cercare opportunità lavorative in linea con le proprie aspirazioni professionali e di vita.
E’ una situazione che richiede alle organizzazioni produttive di porre in atto i dovuti cambiamenti per attrarre e mantenere i giovani, considerando anche la trasformazione che ha investito il concetto di flessibilità. Non più flessibilità solo organizzativa per regolare il rapporto tra il lavoratore e l’organizzazione, come si è sempre interpretata, ma vera e propria riformulazione della flessibilità in termini complessivi e costruita attorno all’individuo. Alle diverse fasi del percorso di vita di ciascuno, alle competenze ed allo sviluppo professionale, alle aspettative, alle priorità, non perdendo di vista che si rivolge ad una generazione che attribuisce alla flessibilità la sua cifra distintiva.
Il Paese dei NEET
La necessità di costruire un incontro produttivo tra giovani e mondo del lavoro la testimonia drammaticamente una ricerca Eurostat [4] del 2020, dove emerge che la quota dei giovani (15-39) sul totale degli occupati (15 e più) in Italia è la più bassa dell’UE, il 33% contro la media europea del 40%, e tale percentuale diminuisce ulteriormente se si considerano le professioni ad alta specializzazione (testimoniando un pericoloso impoverimento della qualità della forza lavoro disponibile). E’ un dato che non può essere correlato esclusivamente allo squilibrio demografico giacché la Germania, che ha una età media di popolazione simile alla nostra, ha una percentuale di giovani inseriti nel mondo del lavoro che sia attesta al 41%.
Pesa sul dato italiano la percentuale di coloro, tra 15 e i 34 anni, che non studiano e non lavorano, i NEET, che in Italia raggiungono il 25% sul totale della popolazione della stessa fascia di età, incidono fortemente l’emergenza educativa e la necessità di ricostruire l’offerta scolastica, la sostanziale assenza di politiche attive del lavoro, l’assenza di percorsi di orientamento efficaci e collegati alle realtà del mondo del lavoro , un sistema produttivo che deve formulare un’offerta appetibile per una generazione che ha avviato un percorso di ricostruzione di senso con al centro la persona.
Giovani in fuga dall’Italia
Contribuiscono in modo sostanziale al declino della forza lavoro attiva anche i giovani che hanno deciso di abbandonare il nostro Paese ancorato al passato e impermeabile ai cambiamenti. Il prestigioso Osservatorio Conti Pubblici Italiani [5] evidenziava a fine 2021 che il trend delle cancellazioni anagrafiche per l’estero, in aumento dal 2010, contava 900mila italiani trasferiti negli ultimi dieci anni . Molte di queste cancellazioni riguardavano l’emigrazione di giovani laureati, principalmente diretti verso Regno Unito, Germania e Francia, dove c’è più lavoro, sia per i giovani che per le altre fasce d’età, il rendimento dell’istruzione universitaria è maggiore, maggiore anche la gratificazione in generale dei titoli di studio e veloce la progressione retributiva.
La generazione alla quale è affidato il futuro dell’Italia produttiva ha fatto propria la flessibilità e l’orientamento al cambiamento e privilegia un percorso che consenta di accedere a un lavoro di qualità̀ e rispettoso delle scelte di vita. E’ un contesto nel quale possono assumere un ruolo importante le imprese a “Valore artigiano”, costruite a partire dalle persone e da sempre attente alle relazioni, improntate alla flessibilità e pronte a percepire i cambiamenti sociali.
La risposta nelle imprese a ‘Valore artigiano’
La generazione alla quale è affidato il futuro dell’Italia produttiva ha fatto propria la flessibilità e l’orientamento al cambiamento e privilegia un percorso che consenta di accedere a un lavoro di qualità e rispettoso delle scelte di vita. E’ un contesto nel quale possono assumere un ruolo importante le imprese a “Valore artigiano”, costruite a partire dalle persone e da sempre attente alle relazioni, improntate alla flessibilità e pronte a percepire i cambiamenti sociali.
Foto di Tima Miroshnichenko da Pexels
[1] https://www.confartigianato.it/wp-content/uploads/2022/01/QFG_Vol1.pdf
[2] https://index-research.it/?fbclid=IwAR1qzeRokXmY6xaaAUIzoQOCQYvQqxFtB6gcu-KNTZPwQfSjYy_GPdWlweo
[3] https://www.istitutotoniolo.it/progetti-e-borse-di-studio/osservatorio-giovani/
[4] https://ec.europa.eu/eurostat/statistics-explained/index.php?title=Statistics_on_young_people_neither_in_employment_nor_in_education_or_training
[5] Osservatorio sui Conti Pubblici Italiani | Università Cattolica del Sacro Cuore (unicatt.it)
Giovanni Boccia
Lucano, 54 anni. Laureato in Sociologia. Si occupa e si è occupato di istruzione e formazione (a diversi livelli: dalla istruzione pubblica alla formazione manageriale, passando per quella continua e professionale) da oltre 30 anni. Ha coordinato, sin dai primi anni ’90, i primi progetti europei Horizon - su scala nazionale - per l'inclusione sociale e giovanile. E’ Responsabile della Formazione Interna della Confartigianato Imprese e, attualmente, anche Direttore della Fondazione Germozzi. Cura, per la stessa Fondazione, il coordinamento editoriale dei ‘QFG’ : i Quaderni della Fondazione Germozzi (ricerche, studi e analisi di natura economica e sociale). Per la stessa Fondazione progetta e organizza eventi di natura convegnistica e di ‘riflessione’ pubblica