
Gli spunti offerti da Riccardo Giovani, Gianpiero Dalla Zuanna, Paolo Feltrin e Michele Tiraboschi, nel convegno su rappresentanza e contrattazione promosso da Confartigianato Imprese Veneto – e ora raccolti in questa monografia di Spirito Artigiano Magazine interamente dedicata al tema – mi riportano a quattro parole chiave. Quattro parole che si intrecciano e si rafforzano a vicenda: relazioni sindacali, relazione, prossimità, rappresentatività.
Il termine relazioni industriali nasce nel contesto dell’esperienza anglosassone per regolare il conflitto tra capitale e lavoro. L’aggettivo industriali, che traduce in modo lineare il termine industry, e che ha il significato più ampio di impresa, resta tuttora preferito a relazioni sindacali.
Industriali o sindacali che siano, ciò che attrae è l’utilizzo del termine relazione, mutuato dalla società civile e che non implica un rapporto di potere ma una comunicazione continuativa arricchita da scambi. Le relazioni sindacali non si formano nei seminari, pur importanti quali luogo di confronto, ma riguardano la creazione costante e sistematica di norme relative al rapporto di lavoro e alle controversie che ne possono derivare. La gestione è affidata in prevalenza a soggetti collettivi rappresentanti dei diversi interessi e attori in campo. È la contrattazione collettiva e l’output è il contratto collettivo. Verrebbe subito da chiederci se e come siano cambiate le relazioni sindacali, la contrattazione e i contratti nell’epoca che stiamo attraversando, ma in questa sede ritengo più coerente parlare di relazioni, prossimità e rappresentatività, termini meno frequenti ma utili per valorizzare ciò che consente e prepara un contratto e ciò che auspicabilmente lo segue.
La relazione ha tanti significati. È modalità per avviare un rapporto associativo, per ascoltare, per produrre riconoscimento reciproco, per dare valore aggiunto alla composizione tra interessi diversi, per ricavare indicazioni utili, vorrei dire necessarie, a chi deve agire la rappresentanza.
È una fase che precede l’atto contrattuale e che lo segue affinché il risultato “serva a qualcosa”, come auspica Paolo Feltrin. La contrattazione si alimenta della costante connessione con le realtà aziendali e le loro dinamiche, cercando di produrre sintesi di valore. Cerca di portare a risultato positivo gli interessi e le identità in gioco, facendosi carico delle aspettative e dei valori emergenti dei e nei soggetti destinatari. La relazione contrattuale è parte fondamentale della qualità del contratto, come sottolinea Riccardo Giovani. Diversamente, il contratto è un elaborato scritto, forse realizzato con l’utilizzo dell’intelligenza artificiale, azzerando consultazione, democrazia, confronto costruttivo, rapporto con i datori e con i destinatari. La buona relazione sindacale non ammette scorciatoie, tipiche delle finte associazioni. È ciò che vorrebbero alcune rappresentanze che, evitando di farsi misurare e di mostrare se agiscono con statuti a base democratica, si richiamano con singolare ipocrisia al mantra della qualità del prodotto contrattuale, spesso tacendo o ignorando il valore complessivo della retribuzione, fatto di tabelle, di prestazioni di welfare, di coperture assicurative, di orari effettivamente retribuiti, di rappresentanza vera che include l’esigibilità dei diritti del lavoratore.
I risultati delle negoziazioni contrattuali sono tanto più validi quanto più producono conseguenze utili e sostenibili. La rappresentanza vera, fatta di soci, sedi, relazioni e luoghi di relazione e consultazione, è in grado di valorizzare la ricchezza dei contenuti sui diversi versanti di cui si compone e di scaricarla a terra.
Al valore delle relazioni si aggiunge l’importanza della prossimità. Le associazioni, certamente quelle rappresentative, assicurano prossimità fisica quando necessario e prossimità digitale, che la completa e la integra, dentro un percorso associativo.
Non impedisce quindi l’immediatezza che viene agita all’interno del percorso di relazione. La prossimità, anche nei momenti apparentemente solo amministrativi, come possono essere la compilazione di una busta paga o la richiesta di prestazioni all’INPS o a un ente bilaterale, consente di comunicare contenuti e di dare senso all’appartenenza, spiegando che si sta dando applicazione a un’intesa negoziata grazie anche alla tua associazione.
La prossimità recupera valutazioni di impatto e suggerimenti necessari a concretizzare risposte ai bisogni, anche adottando soluzioni su misura. La consapevolezza del valore della prossimità porta con sé una rivisitazione profonda dei contenuti della rappresentanza e delle modalità della sua erogazione. Conferma l’utilità dell’intermediazione che offre vantaggio reale e potenziale; chi la evita perde, poco o tanto, ma perde.
Vale la pena ripetere che la prossimità fa leva sull’appartenenza e consente di alimentare il circuito virtuoso che va dall’espressione del bisogno alla sua soddisfazione.
E l’appartenenza poggia sulla rappresentatività e, quindi, sulla rappresentanza effettiva. È prezioso il lavoro di Michele Tiraboschi, anche quale consigliere tecnico del CNEL, nell’individuare associazioni che non dimostrano chi rappresentano e che stipulano accordi evidentemente strumentali ad altri interessi. Centoventitré contratti collettivi nazionali, depositati al CNEL, si applicano a settori con meno di dieci dipendenti ciascuno. Quasi seicento contratti si applicano a lavoratori dipendenti di ambiti economici che non raggiungono cinquecento lavoratori ciascuno. Trecentocinquanta dei 1.017 contratti, sempre depositati al CNEL, sono stati sottoscritti da soggetti che hanno dichiarato di essere rappresentati al CNEL (che già di suo è di manica larga) senza minimamente esserlo. L’obbligo di ottenere una codifica del contratto da parte dell’INPS, anche se andrebbe disciplinato quanto l’obbligo del CNEL di registrare un nuovo contratto, per evitare che l’atto amministrativo diventi di fatto una certificazione di rappresentatività, ha consentito di far luce sulla realtà appena descritta. È una realtà nota da tempo e ora puntualmente individuata, che rappresenta un vulnus cui va posto rimedio quanto prima. È una realtà che offende e disattende il valore delle relazioni sindacali e l’importanza delle relazioni, oltre che minare il presupposto della rappresentatività. Rappresentatività porta con sé il valore dell’adesione associativa.
Il fare soci, cosa non facile ma decisamente possibile e con aspetti di positiva ripagata sociale, incontra continui cambiamenti, a partire dai contenuti degli interessi per continuare con il superamento dei confini tradizionali, sia di mestiere che di categoria e settore; fa i conti con l’andamento demografico nelle sfaccettature che ha mostrato il demografo Dalla Zuanna; con la crisi della partecipazione, la difficoltà di parlare più lingue associative, in relazione a fasce d’età e aspettative, e tanto altro. Si avvale, e occorre esserne più consapevoli, della reputazione dell’associazione. Di certo occorre adeguare approcci, lenti di osservazione, strumenti, argomenti, ma la visita al socio, da convincere o fidelizzare, e l’empatia con cui prendersi carico di problemi e aspettative rimangono mezzi del tutto attuali ed efficaci. I bisogni, vecchi e nuovi, continuano a premere e a manifestare la loro domanda quotidiana. Le relazioni sindacali e la contrattazione, a maggior ragione quella decentrata e — in un futuro che non vedo lontano — anche quella aziendale con formule adatte alla micro e piccola impresa, sono e restano una importante occasione per dare risposte utili. Il “lavoro di qualità”, obiettivo inserito tra i temi del convegno promosso da Confartigianato Imprese del Veneto d’intesa con Confartigianato Imprese, è e sarà anche il risultato di un confronto più largo, che si fa carico dei cambiamenti nel mercato del lavoro, promuovendo competenze adeguate e soluzioni conciliabili con le aspettative dei lavoratori. Il dibattito sul salario minimo ha mostrato che la rappresentanza sa traguardare l’interesse generale componendo interessi di parte. Il punto di forza, gli argomenti che hanno tenuto e convinto, sono stati ancora una volta la buona miscela tra rappresentatività, prossimità e capacità di relazione.
© Spirito Artigiano 2025. Tutti i diritti riservati.
Francesco Giacomin
Trevigiano, laurea in giurisprudenza. Il suo percorso in Confartigianato comincia nel 1976 in Treviso, dove è Segretario dell’associazione provinciale per poi assumere il ruolo di Segretario della Federazione Regionale e, nel 1994, di Segretario generale a livello nazionale. Dal 2002 affronta nuove esperienze assumendo incarichi manageriali e di amministratore nel mondo delle utilities, delle banche e nelle relative associazioni nazionali di rappresentanza. Nel frattempo, e per dieci anni, è docente a contratto nelle Università di Trieste e Roma Tre. Nel 2011 rientra in Confartigianato per assumere la direzione di Confartigianato della Marca Trevigiana, di Confartigianato del Veneto, di Confartigianato di Padova e, infine, di Confartigianato di Vicenza. Attualmente è consigliere in una cooperativa sociale di tipo B e in una società di promozione di relazioni economiche internazionali
