
Quando provo a raggiungere Alessandro Siniscalchi al telefono, non è a Milano. È a Ginevra, città levigata e discreta, una delle capitali non dichiarate del lusso mondiale. E in fondo, questa distanza dice già molto: dal laboratorio di Viale Vittorio Veneto, nel cuore elegante di Milano, fino alle rive ordinate del Lago Lemano corre un filo sottile ma prezioso, fatto di ago, bottoni e savoir-faire. È il filo dell’artigianato italiano, quello vero che rimane un brand da preservare, che non ha bisogno di urlare per farsi riconoscere. Quando la sua voce arriva dall’altra parte della linea, gentile ma ferma, è la voce di chi ha costruito una vita attorno a un mestiere: fare camicie su misura. “Lusso è un valore che sembra elitario, ma per me non è questo”, dice. “Non è solo una parola elegante, ma una traiettoria precisa, che attraversa mani esperte, tempi lenti e materiali che parlano da soli. Una volta non facevamo parte del lusso. Poi, con l’altissima qualità e i costi inevitabilmente più alti, ci siamo entrati. Ma il punto non è quello: lusso per me è dare il massimo, ogni volta”.
La Maison Siniscalchi nasce nel 1948, quando Milano è una città che ricuce se stessa dopo la guerra e sogna il futuro. In quell’anno Vittorio Siniscalchi, figlio di Cesarina — ricamatrice per sartorie di pregio e per la celebre Casa Caramba — e padre di quell’Alessandro che ci risponde da Ginevra, apre un piccolo laboratorio in Via Montenapoleone. Ama il bello e il ben vestire, e soprattutto ha un’idea precisa: la camicia è molto più di un capo. È un modo di stare al mondo. Quel capo — erede della tunica e del camis persiano — è il simbolo per eccellenza di un’eleganza che si vede e non si vede. Si mostra solo nei dettagli: un polsino cucito con pazienza, un colletto perfettamente modellato. “Anche da pochi elementi — mi spiega l’erede della Maison — si capisce se una camicia è artigianale o no, se dietro c’è l’anima di un vero camiciaio”. Piano piano, la conversazione si scioglie. Dal lei iniziale si scivola in un tu naturale, quasi inevitabile, come quando si entra in bottega, ci si tiene inizialmente a distanza e poi ci si fida, e allora le distanze diminuiscono. “Mi chiedono spesso se si può velocizzare il lavoro, la produzione — racconta — ma la tecnica è la stessa di sempre e quella non si forza. Sono cambiati solo i macchinari. Non li usiamo per sostituire le mani, solo per andare avanti e indietro un po’ più comodamente”.
Negli anni Ottanta Alessandro entra in bottega e apprende tutto osservando il padre. “Persino le macchine con cui lavoriamo — racconta con un sorriso — le ho ereditate da lui, e funzionano ancora alla perfezione”. Poi aggiunge, con un pizzico di ironia, che sta inserendo nuovi macchinari “solo perché trovare i pezzi di ricambio per quelle storiche è diventato un incubo”. Non è solo un artigiano che custodisce un mestiere: Alessandro Siniscalchi è anche membro dell’Accademia dei Sartori, una delle istituzioni più antiche e prestigiose della sartoria italiana. Un riconoscimento che non arriva per caso, ma per rigore, maestria e rispetto assoluto per il mestiere. Un mestiere, si auspica, possa continuare a rapire il cuore anche alle prossime generazioni di artigiani del su misura.
Oggi la Maison continua a cucire camicie per una clientela che negli anni si è fatta sempre più cosmopolita: Ginevra, Montecarlo, New York, Lugano, Vienna. Il 70% dei clienti arriva dall’estero. Perché il lusso vero non è ovunque, si va a cercarlo. E quando lo si trova, ci si affida.
Se c’è una cosa che ho capito approcciandomi alla Maison, è che nel mondo globale e veloce, dove tutto è replicabile e standardizzato, la vera esclusività è diventata la personalizzazione. Il lusso, oggi, è l’esatto opposto della produzione di massa: è tempo dedicato, ascolto, costruzione di qualcosa che esiste solo per te. È scegliere un tessuto, discuterne la mano e la lucentezza, disegnare la curva perfetta di un polso. È l’arte di rendere unico ciò che, a prima vista, potrebbe sembrare uguale. La camicia Siniscalchi è come una stretta di mano: rivela chi sei senza bisogno di parole. Ogni punto, ogni cucitura, ogni bottone è tracciabile a un gesto umano.
Milano e Ginevra, oggi, non sono poi così lontane, penso. Le unisce, nel piccolo, un laboratorio che lavora come nel 1948: con lentezza, precisione, dedizione. “Noi — dice Alessandro — non vendiamo solo una camicia. Diamo un nome a un capo che diventa parte della vita di chi lo indossa, una seconda pelle che ti deve calzare alla perfezione dalla mattina alla sera. Questo è il vero lusso”.
(di Agnese Zappalà, per Spirito Artigiano)
Fondazione Germozzi
A Manlio Germozzi, fondatore di Confartigianato, e a sua figlia Maria Letizia, è dedicata la Fondazione Manlio e Maria Letizia Germozzi Onlus.
Costituita da Confartigianato per onorare la memoria del grande interprete del mondo della piccola impresa, la Fondazione ha come obiettivo principale quello di promuovere la cultura dell’impresa “a valore artigiano”.
