
Il 5° Radar Artigiano, attraverso un viaggio nel concreto quotidiano delle imprese italiane, ha consentito di verificare se e in che misura, anche in quelle formalmente non artigiane sono presenti i connotati tipici dell’imprenditore artigiano indicati dalla normativa e una o più dimensioni proprie del valore artigiano. Inoltre, se soggettivamente gli imprenditori intervistati si sentano artigiani.
Operativamente è stata realizzata un’indagine su 200 imprese formalmente artigiane, cioè iscritte all’Albo dell’artigianato e 300 non artigiane. Sono state coinvolte imprese nate a partire dal 2009, con una dimensione entro i 50 addetti (ma oltre il 71% con al massimo 9 addetti) e che operano in una molteplicità di settori, dalla manifattura ai servizi alla logistica al commercio.
Un primo risultato rilevante è che nel 55,7% delle imprese non artigiane coinvolte nell’indagine l’imprenditore ha i requisiti fissati dalla normativa per essere definito artigiano, vale a dire: esercitare la piena responsabilità gestionale assumendo in toto oneri e rischi aziendali e svolgere il proprio lavoro, anche manuale, in prevalenza nei processi produttivi aziendali.
Le imprese con i requisiti formali per iscriversi all’Albo che non l’hanno fatto indicano quali ragioni il 37,1% perché non ne erano a conoscenza, il 31,1% poiché non vogliono vincoli alla propria crescita dimensionale o a eventuali trasformazioni della forma societaria, mentre la quota rimanente richiama motivazioni molto diverse, quali il fatto che non sentissero la necessità di tale scelta o perché consulenti o il commercialista lo hanno sconsigliato di farlo.
Emerge poi come tra le imprese formalmente non artigiane, è alta la quota che considera una o più delle tante dimensioni in cui si scompone il valore artigiano come costitutiva del proprio operato, dal rapporto con materie prime e fattori produttivi, ai contenuti dei processi produttivi e dei prodotti, al clima interno alle imprese sino al rapporto con le comunità o i consumatori e i mercati.
Infatti, l’87,3% delle imprese non artigiane dichiara che i propri prodotti e/o servizi sono l’esito di una logica aziendale improntata al bello e ben fatto, con prodotti funzionali e, al contempo, marcati da cura del dettaglio e qualità.
Poi, il 65% delle imprese non artigiane crea prodotti e servizi modulati su esigenze specifiche dei consumatori, il 73,3% cerca di trasmettere ai consumatori il senso di unicità e di autenticità dei propri prodotti e l’88,3% sottolinea la propria attenzione nella cura del cliente, con lo sforzo di creare un legame emotivo con i prodotti e con l’azienda. Unicità e personalizzazione sono dimensioni costitutive del valore artigiano che, visibilmente, sono condivise da quote molto significative delle altre imprese.
Altra dimensione rilevante del valore artigiano, condivisa dal 73,7% delle imprese non artigiane, consiste nella centralità che nei processi produttivi hanno competenze, abilità e saperi dell’imprenditore e dei lavoratori, il cosiddetto human touch.
E, poi, c’è l’attenzione alla sostenibilità intesa in senso ampio, con il 59% delle non artigiane convinte che la propria azione è improntata alla tutela delle risorse naturali e dell’ambiente, e il 49,7% ritiene di contribuire alla coesione delle comunità in cui opera.
E, sempre in relazione al nesso con i territori e contesti in cui operano, il 60,3% delle imprese non artigiane richiama la propria vocazione a preservare e valorizzare tradizioni e saperi, che indicano come fondamento delle proprie produzioni. È anche questo un tratto costitutivo del valore artigiano che, in questa fase, è condiviso da mondi produttivi che non sono formalmente parte dell’artigianato italiano.
Ulteriore significativa dimensione tipica del valore artigiano, condivisa dall’82,7% delle non artigiane è il contesto lavorativo segnato da una buona relazionalità, cioè un ambiente lavorativo friendly, con relazioni a misura di persona.
Infine, altra dimensione costitutiva del valore artigiano, fatta propria anche dal 46% delle non artigiane, consiste in una profonda capacità di innovazione di processo e di prodotto come leva competitiva globale. E, anche grazie a questa spinta vitale, che le imprese italiane vanno per il mondo, e il 34% di esse condivide con le imprese artigiane un essenziale ancoraggio territoriale, che gli consente di portare sui mercati globali le risorse, i saperi e i prodotti locali.
I risultati del Radar Artigiano, quindi confermano oltre ogni ragionevole dubbio che tante delle dimensioni decisive del valore artigiano oggi connotano l’agire di imprese che formalmente artigiane non sono.
C’è poi anche una dimensione soggettiva, di autopercezione di imprenditori e imprese e, a questo proposito, il 62% delle non artigiane coinvolte nell’indagine dichiara di sentirsi artigiana, per cultura e modalità operative.
Sentirsi artigiano e potersi proclamare esplicitamente interprete del valore artigiano consente alle imprese di esprimere valori percepiti come altamente positivi, tanto da costituire un motivo di orgoglio anche per le imprese non artigiane.
Definirsi artigiano per imprenditori e imprese consente di evocare in modo sintetico e impressivo nell’immaginario collettivo qualità, personalizzazione, competenze, saperi, abilità, produzioni e prodotti più sostenibili, attenzione alla buona occupazione e a lavori motivanti e pregni di senso.
Quel che è rilevante è che oggi il valore artigiano va molto oltre il perimetro fissato dalla Legge Quadro n° 443/1985, che sin dalla sua fase di avvio ha svolto una straordinaria funzione di riconoscimento del ruolo delle piccole imprese e di quelle artigiane nel modello italiano di sviluppo, ma che oggi visibilmente non riflette più in modo compiuto il sistema produttivo italiano.
E, a questo proposito, la ricerca ha consentito di rilevare la distribuzione dei punti di vista di artigiani e non artigiani rispetto all’eventuale riforma della normativa stessa.
Tra le imprese non iscritte all’Albo, il 39,3% è favorevole a una revisione della normativa, il 27% reputa ancora valida l’attuale Legge e il 33,7% non ha opinioni definite in merito. Considerate le imprese non iscritte all’Albo, tra quelle che si sentono artigiane il 47,3% è favorevole alla modifica della denominazione rispetto a quella fissata dalla Legge Quadro del 1985, il 25,3% contrario e 27,4% incerto.
Invece, tra le imprese iscritte all’Albo, il 42,5% considera ancora valida la definizione della Legge Quadro del 1985 perché offre riferimenti chiari e precisi in un contesto di grande incertezza. Il 35,5% reputa superata l’attuale definizione di impresa artigiana perché non rispecchierebbe più il valore dell’artigianato, la realtà economica e le logiche produttive odierne. Il 22% non ha un’opinione precisa in merito.
Dalla ricerca, quindi, fuoriesce uno spettro ampio e articolato di opinioni con una prevalenza significativa dei favorevoli alla riforma soprattutto tra le imprese non artigiane, in particolare tra quelle che dichiarano di sentirsi artigiane che, più di tutte vorrebbero una modifica dei criteri definitori dell’impresa e dell’imprenditore artigiano.
Tra le imprese artigiane, invece, i contrari prevalgono rispetto ai favorevoli alla riforma, presumibilmente perché temono che ogni ampliamento del perimetro del loro mondo finirebbe per minacciare la sua identità distintiva, percepita come uno straordinario valore.
La verità è che la realtà sociale ha una sua intrinseca propulsione che rompe steccati e che nel tempo sfida le rappresentazioni consolidate e le norme.
L’evoluzione del sistema di imprese italiano, nelle sue molteplici componenti, impone di ripensare i cardini della regolazione che sembra avere esaurito la sua funzione, con un gap crescente tra le definizioni della norma e la materialità delle imprese
Così, ad esempio, va emergendo la necessità di ripensare i connotati del profilo dell’imprenditore artigiano poiché nell’era del digitale potrebbe non essere più così distintivo il riferimento al coinvolgimento anche manuale nei processi produttivi aziendali. E anche la fissazione di vincoli dimensionali rigidi potrebbe essere, come rilevato dai risultati della ricerca, un vincolo meno accettabile per tante imprese che si sentono artigiane e sono convinte di operare come tali.
La riforma della Legge Quadro, quindi, risponderebbe ad esigenze emergenti dall’evoluzione concreta dei processi produttivi di impresa e della relazionalità tra quest’ultima, i soggetti e i contesti con cui entra in relazione.
Ridefinire i confini dell’universo artigiano non sarebbe altro che una presa d’atto che il modo di perimetrare tale universo, altamente efficace negli anni Ottanta, oggi non riflette più la materialità del sistema di imprese, e impedisce a tante aziende di beneficiare di quella distintività, tanto apprezzata, che solo l’artigianalità riconosciuta attribuisce a un’impresa.
L’ampia quota di imprese non artigiane che dichiara di sentirsi artigiana è una sorta di certificazione ulteriore di quanto emerso nelle precedenti edizioni del Radar Artigiano: il valore artigiano incarna un modo di fare impresa che, oltre a smentire le profezie di fine imminente dell’artigianato, in realtà lo proietta nel futuro. Non a caso il lavoro artigiano presenta una molteplicità di caratteri che coincidono con quelli che i giovani attribuiscono al buon lavoro, quello che sarebbe portatore di senso e nuove identità.
La radicalità delle trasformazioni del quarantennio che ci separano dalla promulgazione delle Legge Quadro, con l’insorgere di innovazioni straordinarie e difficoltà inedite che pesano sui conti economici e la sostenibilità stessa delle imprese, ha comunque confermato che lo sviluppo italiano ancora una volta dovrà contare sullo slancio generato dalla resilienza dell’impresa artigiana e, più in generale, della piccola e piccolissima impresa.

Sara Lena e Francesco Maietta
Sara Lena
Ricercatrice Area Consumi, Mercati e Welfare – Censis, si occupa di analisi sui comportamenti di consumo, sulle dinamiche dei mercati e sul welfare, partecipando a indagini e pubblicazioni dell’Istituto.
Francesco Maietta
Responsabile Area Politiche Sociali – Censis, coordina ricerche e analisi sul welfare, sulle politiche sociali e sui mutamenti demografici, contribuendo a rapporti e pubblicazioni dell’Istituto.