“È il momento di trovare il coraggio per maggiori investimenti produttivi. Per esempio, perché non pensare alla creazione di una holding finanziaria/industriale, con investimenti pubblici e privati, per dare un futuro di sviluppo alle molte PMI che eccellono nei loro settori, ma che, essendo spesso a gestione familiare, potrebbero affrontare difficoltà? Ciò accade soprattutto quando la generazione successiva a quella attuale non si sente preparata o interessata a proseguire l’attività. Ecco allora che, per non disperdere questo patrimonio industriale o svenderlo a realtà straniere, diventa importante l’intervento di una holding come quella descritta.”
Come sempre, gli articoli di Alfredo Mariotti – e questa citazione è tratta dal suo ultimo contributo, apparso su Il Sussidiario.net il 12 dicembre 2024 – sono ricchi di idee e suggerimenti. Essi derivano da una vita dedicata allo studio e alla gestione delle industrie, dalle PMI ai grandi gruppi manifatturieri, con particolare attenzione al settore delle macchine utensili. Quest’ultimo rappresenta l’architrave decisivo della struttura industriale del passato, del presente e del futuro: ogni innovazione in questo campo non potrà che rafforzare il tessuto industriale, favorendo la creazione del plusvalore capitalistico e, con esso, della ricchezza materiale e intellettuale della società.
In tempi di crisi come quelli attuali, indicazioni come quelle di Mariotti sono preziose. Esse riecheggiano quanto affermano i Presidenti di Confindustria, Confartigianato e delle altre associazioni di categoria del mondo manifatturiero: un appello urgente per un pensiero capace di fornire leve concrete per il risorgimento del nostro patrimonio industriale.
Per raggiungere questo obiettivo, è necessario gettare le basi di una nuova politica industriale, adeguata ai tempi di inflazione da carenza di offerta, crisi pandemiche, conflitti geopolitici e regolazioni non coordinate imposte dall’alto, tipiche della burocrazia UE e delle banche centrali. Queste ultime spesso privilegiano politiche monetariste invece di incentivare la domanda e la produzione. È urgente invertire questa rotta, e tutte le forze politiche devono comprenderlo.
Fondamentale è la distinzione di Alfred Marshall, maestro dell’economia industriale insieme a Joseph Schumpeter, tra industria e impresa. Tutte le imprese agiscono nel mondo reale, circondate dalla “foresta” che rappresenta l’insieme degli elementi produttivi. Questa foresta è composta da alberi grandi e piccoli, cespugli e germogli: una biodiversità industriale che garantisce la crescita e il sostentamento dell’intero sistema. I grandi alberi – le grandi imprese – non solo riparano e proteggono, ma nutrono l’intera foresta. Quando questi grandi alberi vengono meno, il rischio è che tutta la foresta si trasformi in una somma di piccoli giardini, incapaci di sostenere il tessuto economico nel suo complesso.
Nella storia moderna, il capitale finanziario ha spesso svolto il ruolo di sostegno alle grandi imprese, non solo attraverso la riproduzione di denaro fine a sé stessa, ma anche attraverso la creazione di nuove realtà produttive. Le banche miste, private o pubbliche, sono state fondamentali nello sviluppo industriale, come dimostrano esempi storici dalla Germania del XIX secolo al New Deal negli Stati Uniti.
Recentemente, il premio Nobel assegnato a Elinor Ostrom per la sua teoria sui “commons goods” ha aperto nuove prospettive, proponendo forme d’impresa basate su beni comuni e modelli proprietari innovativi. Anche la Caritas in Veritate di Papa Benedetto XVI ha posto queste idee al centro di una riflessione che, purtroppo, non è stata adeguatamente sviluppata, neppure in ambito cattolico.
Seguire l’esempio di Mariotti significa riflettere sulla necessità di una politica industriale polisettoriale, pluriforme e universalistica, capace di far superare all’Italia le attuali difficoltà del suo tessuto produttivo, mettendo da parte incomprensioni e divisioni politiche sterili.”
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Giulio Sapelli
Giulio Sapelli, già Professore ordinario all’Università degli Studi di Milano ed editorialista, unisce economia, storia, filosofia, sociologia e cultura umanista in una sintesi originale e profonda. Ha insegnato in Europa e nelle Università delle due Americhe, in Australia e Nuova Zelanda. I suoi lavori sono stati tradotti in tutto il mondo.
E’ Presidente della Fondazione Germozzi ed è impegnato a valorizzare il concetto di Valore artigiano, che è forza di popolo, di persone e di imprese legate da uno spirito unico, il quale esprime la vocazione originaria incline alla creatività e all’amore per la bellezza.