Abbiamo da sempre associato l’intelligenza alle nostre capacità logiche superiori di esseri umani, cioè all’abilità di maneggiare delle regole che ci consentano di rappresentare il mondo con precisione e anche di poter dedurre nuova conoscenza da una loro qualche combinazione. Posso descrivere un cane o un gatto stabilendo le loro dimensioni tipiche, il tipo di pelo, la forma delle pupille e così via. Più regole definisco, maggiore sarà il dettaglio della conoscenza acquisita. Il pensiero logico ha dominato i primi tentativi di Intelligenza Artificiale (IA) negli anni ‘50 e ‘60, sulla scorta dell’entusiasmo della nascita degli elaboratori elettronici, prima teorizzati da Alan Turing e poi realizzati nella pratica già negli anni ‘40 con ENIAC. L’assunto era: un calcolatore diventa intelligente se potenzio al massimo livello le sue capacità di calcolo di regole logiche, ciò che poi ha portato all’idea dei Sistemi Esperti. Com’è noto questo paradigma è fallito miseramente dando luogo al cosiddetto inverno dell’IA, durato fin verso la fine degli anni ‘80. Fino a quel momento, salvo qualche sussulto, il termine Intelligenza Artificiale era bandito nei dipartimenti di informatica.
I computer per poter essere intelligenti come gli umani devono poter sbagliare
Cosa è cambiato oggi di così importante da far riaccendere le speranze per una vera e propria ‘intelligenza delle macchine’, come la stiamo già sperimentando in questi ultimi mesi? Una cosa semplice ma anche sorprendente: i computer per essere intelligenti come gli esseri umani devono poter sbagliare! Nella capacità di fare errori si nasconde il segreto di poter apprendere per approssimazioni successive e non per regole logiche preimpostate. Si parla quindi di processo di apprendimento basato su esempi. È ormai quasi di dominio comune il termine tecnico ‘Machine Learning’ come sinonimo di IA. Le macchine imparano dall’esperienza quotidiana, esattamente come facciamo noi. Ma qual è la materia prima per poter imparare? Sono i dati che sono abbondantissimi con la nuova ondata dei ’Big Data’. Senza questa massa di dati le IA sarebbero completamente vuote, non avrebbero alcun modo di capire il mondo. Tornando all’esempio dei cani e dei gatti, invece di cercare di descriverli tramite regole puntuali, la strategia è di sottoporre all’IA un grande numero di immagini di entrambe le specie, di modo che la macchina si possa fare da sé un’idea delle differenze. In questo processo di ‘training’ è ammesso che di primo acchito l’immagine possa non essere riconosciuta, per quanto la risposta giusta sia fornita al sistema. La maniera di andare oltre l’errore è di sfruttare una sorta di plasticità del software, agendo sui pesi che caratterizzano il modello di Rete Neurale Artificiale, per adattarsi alla nuova conoscenza e fornire infine la risposta corretta. Insomma il vecchio e sempre efficace metodo del trial & error, imparare dai nostri errori di poveri mortali! Partendo da questo semplice esempio possiamo estendere il ragionamento a casi più complessi.
Le possibili applicazioni dell’IA ai mestieri artigiani e le nuove capacità ‘creative’ delle macchine
Con una procedura analoga potremmo far apprendere a queste IA anche dei processi più articolati, per esempio dei mestieri o parti di essi. Non fa sicuramente eccezione il mondo delle abilità manifatturiere e artigianali. Gli operatori di questo settore sono già abituati da tempo ad avere a che fare con vari strumenti che abilitano e talvolta amplificano il lavoro nelle catene di produzione, sia che si tratti di singoli artigiani, che di più complesse organizzazioni. Quello che sta succedendo oggi è che le macchine stanno acquisendo delle nuove capacità, in certi casi di tipo creativo. Sia in ambito di produzione di testi che di generazioni di immagini (si parla in generale di ‘Generative Artificial Intelligence’) siamo alla nuova ondata dei cosiddetti ‘Large Language Models’ (LLM) alla ChatGPT e dei ‘Diffusion Models’ (DM) che hanno come software di riferimento Midjourney. La novità in questo caso è che non solo sono in grado di apprendere dagli esempi, ma estraggono in qualche modo dalla struttura dei testi e delle immagini la loro logica interna e la conoscenza implicita, quella che noi stessi vi abbiamo riversato in decenni e secoli di paziente costruzione del sapere. Risulta chiaro in questo contesto, in cui i dati giocano un ruolo chiaramente strategico, quando sia importante il tema della ‘Data Governance’. I dati rappresentano oggi un imprescindibile asset aziendale, perché di fatto contengono esplicitamente e implicitamente tutto il know how che è stato generato in anni e anni di buone pratiche. In ogni caso, per quanto questi sistemi di IA Generativa siano molto potenti, non sono in grado di produrre effetti stabili e duraturi senza l’intervento umano. Si parla quindi di ‘co-evoluzione creativa’ con le macchine. Dobbiamo da oggi abituarci all’idea di avere come dei gemelli creativi che cresceranno con noi e cercheranno di darci una mano, anche nelle mansioni che prima non avremmo mai immaginato di dover condividere con loro.
Foto di Sanket Mishra da Pexels
Alessandro Chessa
PhD in Fisica Teorica e Research Associates presso la Boston University dove si è occupato di Econofisica. Nel 2008 ha fondato Linkalab, laboratorio computazionale per le applicazioni dei Sistemi e delle Reti Complesse