La filiera della Moda¹ rappresenta da sempre uno dei pilastri strategici e prioritari del sistema produttivo italiano. Con circa 550 mila addetti e 60 mila imprese produttive attive (tra industria ed artigianato), pari al 16% delle aziende manifatturiere nazionali e al 13% dell’occupazione del comparto, essa costituisce la seconda filiera manifatturiera del Paese per numero di addetti, dietro solo alla meccanica e metallurgia, e la terza per numero di imprese².

 

La grande forza del Made in Italy risiede nella capillarità del tessuto imprenditoriale e nella completezza delle sue filiere, che integrano competenze, creatività, know-how e qualità consolidati in decenni di eccellenza. Dall’abbigliamento alla maglieria, dalla calzatura alla pelletteria, fino a oreficeria e occhialeria, l’Italia conserva un ecosistema produttivo verticale, capace di gestire l’intero ciclo, dalle materie prime (pelli, tessuti, materiali, componenti metallici) ai processi intermedi (stampa, laseratura, finissaggio, ecc.), fino alla produzione del prodotto finito. Una condizione pressoché unica al mondo, che spiega perché il nostro Paese sia da sempre la prima destinazione industriale per i grandi brand internazionali desiderosi di sviluppare collezioni ai più alti livelli qualitativi.

Le minacce emergenti: illegalità, transizione tecnologica e nuovi concorrenti

Negli ultimi anni, tuttavia, nuove minacce rischiano di intaccare il valore e la reputazione del Made in Italy. Da un lato, la presenza di aree grigie e di illegalità in alcuni segmenti della filiera mina la fiducia dei brand e danneggia la reputazione del sistema produttivo nel suo complesso. Dall’altro, la transizione tecnologica e ambientale richiede un impegno crescente: se la sostenibilità è ormai una condizione necessaria per collaborare con i grandi marchi, l’innovazione tecnologica rappresenta oggi il vero fattore competitivo. L’introduzione di sistemi digitali, automazione e software integrati consente di ridurre i lead time, migliorare il controllo qualità e aumentare l’efficienza operativa, generando un livello di servizio superiore – elemento chiave nella selezione dei fornitori da parte dei brand. A parità di prezzo e qualità, vince chi sa garantire tempi certi, tracciabilità e affidabilità.

A ciò si aggiunga la competizione crescente di nuovi poli produttivi europei – Romania, Bulgaria, Spagna, Portogallo, Turchia – dove la qualità della manodopera è in rapido miglioramento. Pur non raggiungendo ancora gli standard italiani, questi Paesi offrono costi inferiori e maggiore prossimità logistica, diventando partner alternativi per il near-shoring dei brand.

Un mutamento narrativo: il rischio della perdita di un grande primato

Lo studio strategico condotto da The European House – Ambrosetti nell’ambito della quarta edizione di Venice Sustainable Fashion Forum (Venezia, Fondazione Cini, 23-24 ottobre 2025) ha misurato la frequenza narrativa di otto attributi chiave associati ai principali produttori del settore Moda: quattro tangibili (innovazione tecnologica, accessibilità/prezzo, diritti dei lavoratori, sostenibilità ambientale) e quattro intangibili (lusso/prestigio, qualità artigiana, heritage, design/creatività)³. Cosa emerge? Che i Paesi d’origine dei brand europei – in particolare Italia, Francia e Spagna – pur restando centrali per Lusso e tradizione, stanno progressivamente perdendo terreno nella narrazione globale. La Cina, un tempo sinonimo di produzione di massa e scarse condizioni lavorative, sta oggi ridefinendo la propria immagine puntando su innovazione, creatività e tecnologia. Parallelamente, Paesi come Turchia e Romania consolidano la loro reputazione in termini di qualità e artigianalità, proponendosi come nuovi premium partner per i grandi gruppi del Lusso. Sul fronte della Sostenibilità, infine, nessun Paese emerge ancora come leader riconosciuto, lasciando aperto uno spazio competitivo che l’Italia potrebbe occupare con un approccio sistemico.

L’incertezza del mercato del Lusso e la trasformazione dei consumi

Dopo un decennio di crescita costante, il mercato globale del Lusso ha attraversato due momenti di crisi: il crollo del 2020 dovuto alla pandemia e, successivamente, la frenata post- boom del 2023.

Questa contrazione, tuttavia, non va interpretata come un segnale strutturale di debolezza. Storicamente, la produzione manifatturiera mondiale è sempre cresciuta nel tempo a un ritmo medio del 3% annuo, salvo eccezioni legate a crisi o eventi straordinari. Anche nel settore della Moda si osserva oggi un progressivo ritorno ai volumi produttivi pre- pandemici, nonostante il contesto geopolitico rimanga incerto.

Ciò che realmente cambia è il comportamento del consumatore, oggi più fluido, consapevole e orientato all’esperienza. Dopo la pandemia, i consumatori hanno privilegiato beni esperienziali rispetto a quelli personali, contribuendo a una momentanea contrazione dei consumi di Moda. Ma le prospettive di medio periodo restano positive: secondo stime⁴ recenti, nei prossimi dieci anni oltre 31 trilioni di dollari saranno trasferiti a livello globale da circa 1,2 milioni di individui ad alto patrimonio (≥ 5 milioni  di  dollari)  alle  nuove  generazioni  di  Millennials  e  Gen  Z. Si tratta di una delle più grandi transizioni di ricchezza della storia moderna. Queste generazioni, cresciute nell’era digitale e segnate da un diffuso senso di incertezza, manifestano un comportamento di consumo definito doom spending: una propensione ad acquistare beni di Moda e di Lusso come espressione identitaria e risposta emotiva all’ansia per il futuro. Un atteggiamento che, pur irrazionale sul piano economico, rappresenta un motore di domanda inedito per il settore.

Conclusione – Per un nuovo patto di filiera del Made in Italy

Di fronte a questi mutamenti, il futuro della Moda di fascia alta e del Lusso di matrice italiana dipenderà fortemente dalla capacità di rinnovare la propria narrazione e il proprio modello competitivo. Il Made in Italy non ha perso il suo valore intrinseco, ma rischia di perdere rilevanza simbolica e attrattiva se non saprà evolversi nella percezione globale. Servono dunque azioni coordinate tra imprese, istituzioni e brand, per investire in:

  • innovazione tecnologica, per accrescere produttività e trasparenza;
  • formazione e ricambio generazionale, per preservare i mestieri artigiani;
  • comunicazione internazionale, per riaffermare il Made in Italy come ecosistema contemporaneo e non solo come icona del passato.

Solo un nuovo patto di filiera – capace di integrare industria, artigianato, sostenibilità e storytelling – potrà garantire che l’Italia resti la capitale mondiale della qualità e della bellezza manifatturiera, anche nelle nuove geografie del Lusso e nelle economie delle generazioni future.

(Nella foto di Ivan Demenego, tratta da I Ritratti del Lavoro di Confartigianato, l’imprenditrice artigiana Chiara Sironi nel suo atelier di Lecco)


1 Il settore Moda è inteso in senso ampio, includendo le filiere Tessile (ATECO 13), Abbigliamento (ATECO 14), Pelle (ATECO 15), Gioielleria (ATECO 32.12 e 32.13) e Occhialeria (ATECO 32.50.5).
2 Elaborazione di TEH-Ambrosetti su dati AIDA, Istat, 2025.
3 Venice Sustainable Fashion Forum, The European House-Ambrosetti, 2025;
4 Family wealth transfer 2024, Altrata, 2024

Flavio Sciuccati

Flavio Sciuccati

Flavio Sciuccati è Senior Partner di The European House – Ambrosetti, dove dal 2013 è anche membro del Comitato Soci e del Consiglio di Amministrazione. Guida la practice Industria, Organizzazione e Sviluppo e la Business Unit Global Fashion & Luxury, che presidia l’intera filiera del settore a livello internazionale. Entrato in Ambrosetti nel 2004, ha seguito numerosi progetti strategici e operativi per grandi imprese e PMI del manifatturiero italiano. Dopo un inizio di carriera dedicato alle tecniche produttive giapponesi del modello Toyota, ha fondato Assist Consulting, focalizzandosi sul mondo Tessile, Moda e Lusso. Profondo conoscitore e sostenitore del Made in Italy, collabora con imprese e istituzioni per promuoverne la competitività. È stato docente alla Bocconi e alla SDA Bocconi, ed è autore di varie pubblicazioni, tra cui “Riprogettare il Sistema di Produzione” (Il Sole 24 Ore, 1994).

SPIRITO ARTIGIANO

Un progetto della Fondazione Manlio e Maria Letizia Germozzi onlus

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