La parola sostenibilità, come l’aggettivo sostenibile, hanno una comune etimologia derivante dal latino sustinere, composta da sub cioè sotto e tenere, così da significare un controllo che afferma la possibilità che un oggetto, una persona, un pensiero possono essere attuati in un equilibrio tra causa ed effetto in un orizzonte di lungo tempo. Il termine è spesso stato usato nell’ambito della natura e del suo sfruttamento ma, oggi il tema della sostenibilità va declinato in sostenibilità naturale, sociale ed economica ed è nei programmi di tutti i governi. Le tre visioni sono collegate fra di loro e vanno chiarite per evitare una confusione nell’uso delle parole.
Sostenibilità economica sta per l’idea di un percorso di crescita legato al concetto di equità con il perseguimento del bene comune. Il tema del bene comune è un’aspirazione, oggi diremmo utopica, che è stato posto con forza da quando l’uomo ha coscienza della vita comunitario ; se gli interessi personali non trovano composizione nel bene comune una società è destinata a sciogliersi diventa cioè non sostenibile.
La sostenibilità ambientale è espressa dal rapporto tra beni naturali prodotti ed esistenti ed il loro consumo nei processi economici di produzione e consumo; tale rapporto dovrebbe consentire una stabilità tra risorse naturali, consumi e produzioni in modo che il contesto naturale non venga pericolosamente sottomesso ad obiettivi di guadagno oggi preminenti.
La sostenibilità sociale si declina con i termini di equità e di democrazia, riportando nei sistemi sociali il senso di solidarietà e di relazionalità che sono alla base di una società sostenibile. Tutte le dichiarazioni sui diritti dell’uomo a partire dalla Magna Charta Libertatum del 1215 sono incentrate sul diritto all’uguaglianza, ad un benessere che possa dare dignità alla persona, diritto all’assistenza sanitaria ed alla scuola, ed ad un lavoro che consenta la dignità.
Ma oggi la sostenibilità come è stata definita nelle sue parti in tempo di guerra come può essere declinata nelle sue priorità e come tale in quale misura ed in quale modo è perseguibile ?
Tutte e tre le combinazioni di sostenibilità in questo scontro non solo bellico ma anche finanziario e geopolitico sono messe a rischio di realizzabilità e la ricerca di un equilibrio sostenibile dai vari governi sembra sempre più una chimera per la mancanza di idee creative ed innovative che possano rompere l’accerchiamento in cui ci troviamo
Il perseguimento della sostenibilità economica sulla base del bene comune era già saltato prima della guerra per l’insostenibile disuguaglianza sociale ed a maggiore ragione oggi anche nell’ambito della cosiddetta alleanza atlantica che favorisce alcuni paesi – Olanda , GB, Usa , Germania… – a scapito degli altri come il nostro che ha il tasso di inflazione più alto d’Europa , in questo modo viene meno il concetto di bene comune europeo eppure nessuno lo denuncia. L’incapacità di proporre strade percorribili per le mortali bollette energetiche diventa un suicidio, forse si potrebbe negoziare con l’Europa, vista la differenza fra stati, che eventuali deviazioni di bilancio per ridurre la pressione sulle aziende e sulla gente non siano considerate temporaneamente come scostamento di bilancio, questo può essere negoziato.
La sostenibilità ambientale è un dramma per le politiche poco lungimiranti che per troppo tempo hanno guidato i nostri politici, come si può perseguire questa sostenibilità oggi a scapito delle altre? La coperta è troppo stretta e non copre più nemmeno le chiacchiere di una classe politica che in campagna elettorale sembra avere smarrito le priorità decisionali.
La sostenibilità sociale in un sistema di ristrettezze diventa di difficile realizzazione in una confusione unica tra reddito di cittadinanza e posti di lavoro; parlare di democrazia oggi sembra sempre più solo un’utopia offensiva per le classi deboli.
In tempo di guerra tutto si ribalta e richiede la definizione di priorità da seguire mettendo in secondo piano quelle meno vitali, è evidente il dramma che abbiamo di fronte ed il percorso decisionale da fare, ma è altrettanto evidente la pochezza inadeguata di una politica eterea; bisogna decidere per evitare il caos!
Fabrizio Pezzani
(Parma, 1948) Nel 1973 si laurea in economia e commercio. Intraprende fin da subito la carriera accademica e nel 1985 è visiting professor alla Harvard Business School. Lavora come docente presso alcuni atenei del Bel Paese, insegnando ragioneria generale e applicata e programmazione e controllo nelle amministrazioni pubbliche. Nel 1995 inizia a collaborare con l'Università Bocconi di Milano, prima come direttore della divisione Amministrazioni pubbliche e sanità, e poi, come direttore del corso in economia delle amministrazioni pubbliche e istituzioni internazionali. Dal 2017 insegna come professore senior. Attualmente è membro della commissione sui princìpi contabili delle amministrazioni pubbliche presso il ministero dell'Interno e di altri comitati di elevato interesse scientifico