Al tempo delle grandi transizioni, declinare il concetto della sostenibilità per le pmi è un punto che riveste un’importanza prioritaria e strategica. In questo processo, che intreccia diversi piani della vita produttiva, il ruolo dell’artigianato – o meglio – dell’artigiano, è fondamentale. È la figura da cui in qualche modo passa la sostenibilità della lunga filiera produttiva che ci caratterizza. «Gli artigiani sono la prima frontiera della sostenibilità in Italia», dice nella sua intervista a Spirito Artigiano Paolo Bricco[1], inviato speciale de il Sole 24 e saggista di vaglia.
Bricco, è immaginabile oggi il Made in Italy senza sostenibilità?
«No, ed è proprio grazie agli artigiani che tutta la filiera del Made in Italy diventa sostenibile. Sono loro a rappresentare la frontiera della sostenibilità. Mi riferisco, principalmente, all’artigianato di alto livello che ci caratterizza e ci distingue nel mondo. Questi artigiani sono i principali “agenti” di sostenibilità, che rendono virtuoso l’intero processo. E, sempre di più, il concetto stesso di sostenibilità si è legato indissolubilmente all’artigianato manifatturiero piuttosto che all’industria».
Che evoluzione ha avuto il processo di sostenibilità all’interno delle imprese artigiane?
«C’è stata un’evoluzione che in qualche misura viaggia di pari passo con l’evoluzione che ha avuto negli anni il concetto di artigianato e impresa artigiana. È un modello che è cambiato radicalmente: adesso l’azienda artigiana è quasi una boutique che sempre di più esce dalle logiche della serializzazione. Ed è per questo che ora il concetto di sostenibilità assume una considerazione differente rispetto al passato».
Che cosa intende dire?
«Inizialmente, attorno agli anni ’90, la sostenibilità era per lo più percepita come un costo per le imprese artigiane in particolare per quelle di piccole dimensioni. Poi, ha iniziato a essere concepita come un investimento tanto più che si è giustamente notata una compatibilità tra la produttività e il modo in cui i prodotti venivano realizzati. Però, si è arrivati all’eccesso in questo senso. A una sorta di ‘bolla’ sulla sostenibilità. Ora, ci troviamo nella terza fase».
Nella fase della consapevolezza?
«In un certo senso sì. Siamo entrati nella fase nella quale la sostenibilità viene declinata in maniera pragmatica per ciò che serve davvero a creare un equilibrio tra i processi produttivi e la competitività aziendale (con un occhio alle emissioni). Il resto, la ‘fuffa’ di maniera, è stata progressivamente abbandonata. Ed è una fortuna».
In termini di formazione, le imprese artigiane sono pronte a farsi interpreti della sfida sostenibile anche alla luce dei provvedimenti nazionali e sovranazionali?
«Siamo pronti, le imprese sono all’assolutamente all’altezza e lo hanno dimostrato in più occasioni. E lo sono anche perché hanno sviluppato quell’approccio critico, assolutamente pragmatico di cui ho parlato».
In questo contesto, che ruolo devono rivestire a suo giudizio i corpi intermedi?
«Potenzialmente, hanno un ruolo fondamentale perché possono essere il luogo in cui si formano le nuove generazioni di artigiani che hanno già, tra le loro nozioni di base acquisite, la sostenibilità. Per i giovani è un concetto naturale, in qualche misura assimilato. Una precondizione. Per cui i corpi intermedi devono lavorare e fare leva su questo aspetto, uscendo da logiche conservative che spesso le caratterizzano. Le associazioni devono essere luoghi di innovazione, di costruzione del futuro».
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[1] (1973), giornalista e saggista, è inviato speciale del “Sole 24 Ore”. Si occupa di storia contemporanea e di storia economica. Ha scritto Olivetti prima e dopo Adriano (L’Ancora del Mediterraneo 2005), L’Olivetti dell’Ingegnere. 1978-1996 (il Mulino 2014), Marchionne lo straniero (Rizzoli 2018, nuova edizione BUR 2020) e Cassa Depositi e Prestiti (il Mulino 2020). Ha un dottorato di ricerca in Economia all’Università di Firenze. Dal 2007 al 2013 è stato membro del Consiglio direttivo dell’Archivio Storico Olivetti. Nel 2016 si è aggiudicato come saggista il Premio Biella Letteratura Industria e nel 2019, come giornalista, il Premiolino.
Federico Di Bisceglie
Dopo gli studi classici approda alla redazione de il Resto del Carlino di Ferrara, appena diciottenne. Nel giornale locale, inizialmente, si occupa di quasi tutti i settori eccetto lo sport, salvo poi specializzarsi nella politica e nell’economia. Nel frattempo, collabora con altre realtà giornalistiche anche di portata nazionale: l’Avanti, l’Intraprendente e L’Opinione. Dal 2018 collabora con la rivista di politica, geopolitica ed economica, formiche.net. Collaborazione che tutt’ora porta avanti. Collabora con la Confartigianato Ferrara in qualità di responsabile della comunicazione.