
Le sue parole sanno di antichità e provincia. Di un tempo andato che ancora resiste solo lontano dai grandi centri in cui tutto tende all’omologazione. Appassionato d’arte, di chiese sperdute in giro per lo Stivale, tendenzialmente a qualche centinaia di chilometri dalla Capitale. Di candele vere che tengono viva la fiammella delle fede nelle comunità della periferia. La, dove “ancora sopravvive l’artigianato, che è una parte fondamentale e imprescindibile del dna italiano”. Camillo Langone[1] parla sulle colonne di Spirito Artigiano scandendo le parole con una cadenza quasi teatrale. Quando gli chiediamo quale sia il rapporto fra l’artigianato, l’arte e la cultura la sua risposta è netta: “La radice comune sta anche nel nome. L’artigianato è cultura e spesso l’artigianato è arte. Ma bisogna difendere questo patrimonio, salvaguardarlo”.
Langone quali sono, secondo lei, le componenti che insidiano l’artigianato?
«Il mondo di oggi è contro l’artigianato. Contro quello che rappresenta e soprattutto che ha rappresentato. Sugli artigiani, che in qualche modo sono le sentinelle delle comunità, dei piccoli borghi dell’Italia profonda, grava tutto il peso – ad esempio – della burocrazia legislativa. Italiana ed europea. Per questo dico che l’artigianato deve essere preservato nella sua dimensione, oltre che prettamente produttiva in qualche modo sociale e spirituale. »
Se da una parte sicuramente grava sul comparto artigiano questo peso talvolta insostenibile, è altrettanto vero che il più famoso brand al mondo – il Made in Italy – si regge per la gran parte sulla produzione artigiana.
«È la grande forza dell’artigianato italiano, che rappresenta una componente essenziale del sapere nazionale. Della capacità di produrre, di fare cultura e talvolta arte. Ma l’artigianato è fatto per mondi piccoli, per nicchie. Purtroppo il mondo di oggi è fatto per la quantità piuttosto che per la qualità. E questa tendenza mal si concilia con lo spirito da cui muove l’artigianato e il suo valore più profondo. »
Quali sono gli strumenti per invertire questa tendenza?
«Individuare una soluzione per invertire una tendenza diffusa e pervasiva è tutt’altro che semplice. Anche perché esiste un problema nel problema, ossia la “definizione” di ciò che è un prodotto artigiano. Questo lo si vede molto bene nel comparto della produzione vinicola. È complesso stabilire un confine. Al di là di criteri qualitativi e soprattutto quantitativi. Benché la produzione vinicola sia una straordinaria forma di artigianato.»
E il rapporto con l’arte qual è?
«È un legame fortissimo, che richiama alla semantica che riporta alla radice della parola stessa. Arte-Artigianato. Gli artisti, talvolta, sono anche artigiani. E un prodotto plasmato da mani artigiane può diventare un’opera d’are. Sicuramente sono due piani fortemente interconnessi. Intimamente collegati, inscindibili. »
Quanto è sensibile la società alla profondità che si cela dietro la bottega e il mestiere artigiano declinato anche in senso artistico?
«Pressoché inesistente. È per questo che occorrerebbe fare una robusta operazione di sensibilizzazione sull’importanza dell’artigianato per l’Italia. Le botteghe artigiane sparse per l’Italia profonda, rappresentano dei veri e proprio presidi contro l’omologazione. Sono elementi insostituibili che tengono in equilibrio la biodiversità che caratterizza il nostro Paese. Insomma, contro tutto e tutti, gli artigiani restano un baluardo di civiltà. Non c’è Italia senza gli artigiani.»
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[1] Camillo Langone (Parma, 1965) è uno scrittore, giornalista e critico culturale italiano. Collabora con varie testate nazionali, tra cui Il Foglio, dove cura la rubrica “Preghiera” e scrive di arte, letteratura, tradizioni e religione. Il suo stile è riconoscibile per il tono provocatorio, spesso anticonformista, e per la difesa di un’Italia “profonda” legata alla spiritualità, all’artigianato e ai piccoli centri. Ha pubblicato diversi libri, tra cui raccolte di preghiere, guide letterarie e saggi sull’arte e sulla cultura cattolica. Langone è noto anche per il suo impegno nella promozione di un’estetica radicata nella tradizione e nella manualità artistica.

Federico Di Bisceglie
Dopo gli studi classici approda alla redazione de il Resto del Carlino di Ferrara, appena diciottenne. Nel giornale locale, inizialmente, si occupa di quasi tutti i settori eccetto lo sport, salvo poi specializzarsi nella politica e nell’economia. Nel frattempo, collabora con altre realtà giornalistiche anche di portata nazionale: l’Avanti, l’Intraprendente e L’Opinione. Dal 2018 collabora con la rivista di politica, geopolitica ed economica, formiche.net. Collaborazione che tutt’ora porta avanti. Collabora con la Confartigianato Ferrara in qualità di responsabile della comunicazione.