Scarsa è la consapevolezza della gravità della situazione economica europea. Le guerre di aggressione russa all’Ucraina e quella antisemita contro Israele, che hanno suscitato un ampliamento del conflitto a tutto il Grande Medio Oriente, fanno cadere nell’ombra la gravità dello sprofondamento dell’economia europea in un baratro il cui epicentro è – come sempre, del resto – la Germania. Dalla Guerra dei Trent’anni, ossia quella serie di spaventose carneficine che dilaniarono l’Europa centrale dal 1618 al 1648, la Germania – già ben prima del suo travagliato processo di unificazione – si trova al centro di ogni sommovimento economico continentale. È un gigante che si sta lentamente addormentando per i potenti veleni che le sono stati inoculati nel sistema sanguigno (le sue filiere produttive interrotte) e in quello nervoso (il suo ordinamento ordoliberista, che la “burocrazia celeste” dei tecnocrati – che nulla sanno se non del potere di condizionamento politico dall’alto – ha imposto a tutta l’UE, con una spruzzata di dirigismo francese e di neo-cameralismo USA).

 

I sistemi che hanno sovradeterminato la strategia di sopravvivenza tedesca, dopo la lacerazione del suo tessuto produttivo e della sua vitalità morale – lacerazione e divisione che la vittoria sovietica, dopo la seconda guerra mondiale, le aveva inflitto – si sono infranti.

 

Sì, vittoria sovietica; perché a giungere a Berlino per primo fu Stalin con le sue truppe, e l’idea di Stalin sul destino tedesco era – nella sostanza – quella di Morgenthau, che scriveva a Washington dall’Europa che: “La Germania deve essere ridotta a un campo di patate”. Lo stesso, del resto, volevano i francesi e gli scandinavi, ai quali non pareva vero che anche grazie alla ribellione gaullista – dal Marocco alla Francia di Vichy – e grazie al valore inestimabile dell’esercito e del popolo inglese, sarebbe stato possibile schiacciare l’eterno rivale dopo circa due secoli di guerre che avevano insanguinato l’Europa. Guerre che, con la “Guerra dei sette anni” del primo settecento, avevano cambiato il volto della stessa storia mondiale, cacciando a quei tempi la Francia dalle Due Americhe ed elevando la Gran Bretagna a dominatrice del mondo.

Gli odi europei avevano e hanno radici assai lontane… L’insediamento britannico-puritano dei coloni che si ribellarono poi, via via, all’Impero Inglese in Nord America, avrebbe dato vita a quell’isola gigantesca, posta tra due mari e due emisferi, che due secoli dopo avrebbe vinto ben due guerre mondiali europee: gli USA.

 

Oggi, con l’aggressione imperiale russa all’Ucraina e la guerra antisemita nel Grande Medio Oriente, quella dislocazione mondiale della potenza è arrivata a un punto di non ritorno perché davanti a essa è sorta, grazie alla finanza anglosferica dispiegata e al liberismo dilagante, una potenza che pare invincibile, per demografia e armamento.

 

L’isola tra i due mari e i due emisferi non sa e teme di non saper affrontare la Cina, perché ha costruito un dominio senza egemonia, a unipolarismo intermittente, che fa sbandare la potenza dell’intero sistema internazionale ed emergere piccole nazioni altrimenti senza storia in un mondo turbato dagli sbilanciamenti continui. E con quello sbandamento, gli USA – come un elefante in quel salotto che è il mondo – distruggono anche i potenziali alleati.

Oggi è l’imperialismo russo che gli USA vogliono definitivamente ridurre all’impotenza, perché senza tale impotenza sanno di non essere in grado di fermare l’avanzata inarrestabile del gigante demografico, militare ed economico cinese – dall’Indo-Pacifico all’Europa, passando dal Grande Medio Oriente con la neutralizzazione delle monarchie petrolifere e l’alleanza organica con l’Iran.

La strategia perseguita dagli USA nel tempo post-gorbacioviano fu interrotta e “stracciata” dal capitalismo europeo franco-italico, alleato alla Cina in funzione antitedesca e anti-USA insieme. Ma ciò era stato il frutto della rivolta nazionale russa – nazionale prima che nazionalistica – dei putiniani, rivolta contro alleati predatori che avevano impedito a Eltsin di svendere la patria russa al capitalismo anglosferico, calpestando valori e coscienze storiche che neppure lo stalinismo aveva potuto corrompere con la sua tremenda perfidia.

Quella strategia è documentata dalla storia del Valdai Club, che un giorno o l’altro qualche agente dei servizi segreti reali o presunti si impegnerà a scrivere. Da allora sia la Russia sia gli USA persero il controllo dello stesso andamento dell’intera potenza mondiale, che rimase senza nocchiero o nocchieri cooperanti.

Pensate: la Cina entrò nel WTO nel 2001 e fu riconosciuta dall’UE come sistema di mercato; la Russia fu fatta attendere, dopo essere stata spogliata di quanto fu possibile senza suscitare troppe rivincite tra gli oligarchi che persero la partita della spartizione. Attese sino al 2011 e la possibilità che vi fu – e che fu ricercata – di far sì che aderisse all’UE e alla NATO fu ricacciata dalle contraddizioni inter-capitalistiche nel libro dei sogni, per essere poi sostituita da una guerra di sanzioni e di accerchiamento, a cui rispose la storica reazione stragista russa.

Si tratta di un arco di tempo estremamente significativo per la storia mondiale e su cui dobbiamo ancora far luce.

La reazione stragista affonda le sue radici nei tempi proto-zaristi dei primi secoli, continua con le stragi zariste e poi staliniane e putiniane nel Caucaso, culmina con i delitti di massa contro i polacchi e gli ucraini nella prima e nella seconda guerra mondiale.

 

La guerra di aggressione russa all’Ucraina altro non è che l’ennesima reazione russa all’accerchiamento, che si veste di stragismo.

 

La stessa cosa è accaduta anche nel Grande Medio Oriente in Siria, nei territori curdi dell’Irak e della Turchia e soprattutto in Irak, dove anche gli USA hanno perso la testa (il fatidico 2003), isolandosi dagli alleati storici europei francesi e tedeschi, distruggendo le armate e le polizie segrete irachene, invece di arruolarle e farsene amici combattenti. L’Afghanistan altro non è stato, con il ritiro USA, che il risultato di tale follia, condensatasi poi in un grumo di ritirata non strategica.

Oggi, nell’UE, la tragedia continua con la crisi economica ciclica del tardo capitalismo. Ma le stesse regole pro-cicliche e non anticicliche dell’UE si ampliano a dismisura, sino a far morire d’inedia per scarsità di investimenti e di tagli strutturali gli autori del dramma: alla Germania si vuol far fare la fine della Russia di Eltsin, deprivandola di ogni risorsa e cacciandola dalla concorrenza mondiale. E a contribuire a far ciò è sempre una presidenza UE di matrice tedesca…

Prodigi della lotta politica nazionale che ancora determina i giochi a Bruxelles e a Strasburgo…

L’arma usata, però, non è più solo quella “modello Morgenthau”, ma quella della sovrapproduzione cinese riversata sui mercati europei, da un lato, e, dall’altro, della chiusura dei mercati cinesi alle produzioni tedesche e dei suoi fornitori primari, tra cui spicca l’Italia.

La conseguenza? Eccola: la lenta morte per inedia di un intero continente, di cui pare non accorgersene nessuno, se non gli operai, i dipendenti delle imprese che chiudono, i malati che non hanno i denari per pagarsi le cure nella sanità pubblica europea, ormai distrutta, gli artigiani e le imprese familiari che sono la vitalità profonda di ogni sistema economico e che – ne sono sicuro – saranno i primi e per molto tempo i soli a reagire per la libertà che ne incarna la funzione storica.

È giunta l’ora delle decisioni grandi e coraggiose.

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