Gli umani, fra i tanti confronti possibili, sembrano differenziarsi dal regno animale anche per la loro capacità di trasmettere le proprie idee con mezzi inventati come la scrittura e con strumenti, costruiti ad hoc, per creare manufatti di ogni tipo, per lavoro, svago, divertimento, creazioni artistiche e, ahimè, per farsi la guerra.
Negli ultimi due secoli e mezzo ci sono tappe che marcano con forza il raffinarsi e innovarsi degli strumenti creati da scienziati e tecnici d’ogni area. Se consideriamo l’era più propriamente “elettronica”, dagli anni ’70 in poi, i protagonisti delle grandi svolte tecnologiche di consumo, prodotti e servizi di massa, sono i personal computer nel 1977, anno affollato dalle uscite sul mercato di pc da parte di marche che diventeranno famose.
Poi arriverà il telefono cellulare portatile a preconizzare un’umanità iper connessa, dove ogni individuo può comunicare con qualunque altro in qualunque luogo si trovi. Arriva con la prima telefonata in mobilità da parte di Martin Cooper della Motorola, da una strada centrale di New York, alla Bell, concorrente sbalordito e battuto, da un apparato pesante 1,5 chili (3 aprile 1973).
Poi arriva il World Wide Web col suo primo sito, del gigante Tim Berners-Lee (6 agosto 1991), e si ricominciò ad usare l’espressione “nulla sarà più come prima”, utilizzata dopo la fissione dell’atomo e lo sbarco sulla luna.
I “nulla-sarà-più-come-prima” si susseguono a ritmo sempre più serrato: la stampa in 3D diventa reale (brevetto di Chuck Hull, 1986); la libreria online che si trasforma nel magazzino e negozio di ogni bene più grande e monopolista del mondo (Amazon, 1995); il motore di ricerca che straccerà tutti i concorrenti in un attimo (Google, nel 1997 il lancio definitivo); l’enciclopedia universale scritta dagli abitanti della Rete in 332 lingue diverse (Wikipedia, 2001); il club-bacheca dove 2,963 miliardi di abitanti del Pianeta si ritrovano con parenti e amici, in cerchie sempre più larghe, a volte votate a una nobile causa, altre a faide verbali violente e oscene (Facebook, 2004); il messaggero rapido che diventa strumento di governanti, giornalisti, star dello sport e delle arti (Twitter 2006); il portale dove tutti possono caricare i loro video (YouTube, 2006); il cellulare che diventa smartphone, cioè computer, video-fotocamera e localizzatore (iPhone, 9 gennaio 2007); la nuova televisione che non è più non-stop da un broadcaster, ma è video-on-demand (Netflix, 2007); la prima criptovaluta, che si basa sul sistema della Blockchain (Bitcoin 2009). Questi sono tutti gli odierni oligarchi della rete, i “Tech Giant”. Molti di loro fanno parte del club dei trilionari: hanno raggiunto la capitalizzazione di un trilione di dollari (alcuni i 3 trilioni, superando il valore del PIL del Regno Unito).
Intanto, negli ultimi vent’anni, i giganti tecnologici e della ricerca, silenziosi ed accorti, investono e si preparano a un nuovo, spettacolare, straordinario “nulla-sarà-più-come-prima”. Arriva l’intelligenza artificiale (IA), che ha diversi padri, primo fra tutti, il genio matematico inglese Alan Turing, il cui test (teorizzato ma mai eseguito da lui, suicida nel 1954) rimane un caposaldo nelle teorie sull’IA (vedi il film “The Imitation Game”, 2014).
Quasi tutti non se ne accorgono, ma la usano. C’è da tempo nei motori di ricerca, nei dialoghi con gli “assistenti digitali” (Alexa, Siri, Google Assistant), nei social network, nei “sistemi di raccomandazione” che ci propongono nuove serie tv, nuovi acquisti online. Poi i media cominciano a parlarne con titoli in prima pagina. “Deep Blue batte con l’intelligenza artificiale il campione mondiale di scacchi Garry Kasparov” (1997). Tutto vero, ma non proprio tutto. I programmatori di Deep Blue, manipolarono il software dietro le quinte, nel corso delle partite, durante la lunga storia delle battaglie del campione contro l’IA. Poi Polaris (2008), la cui IA arrancò contro i campioni di poker, gestendo male quella faccenda molto umana che è il bluff. Intanto la fama dell’IA cresce giorno dopo giorno, confronto dopo confronto con la mente dell’Homo sapiens sapiens. Google DeepMind sviluppa AlphaGo la cui IA straccia il campione europeo di dama cinese Go (2016).
Altri titoli strillati incalzano sull’avvento dei robot, formidabili in pace (per esempio nelle fabbriche e nella medicina e sanità) e terribili in guerra. Arriva ogni possibile studio che racconta distopicamente come saremo tutti disoccupati. Pochi spegano che il sistema nervoso e il cervello dei robot si chiama intelligenza artificiale.
Siamo al 27 aprile 2016. L’azienda OpenAI della Silicon Valley, luogo dalla consolidata fama di grandi svolte nell’innovazione digitale, rilascia la versione pubblica di “OpenGym”. OpenAI era stata fondata da uno degli uomini più ricchi del mondo, il ben noto e vulcanico Elon Musk e da un informatico giovane e meno sognatore, Sam Altman.
E ancora una volta, nulla fu più come prima. Ma questa è un’altra storia, la prossima (1 – continua).
Foto di Anna Tarazevich
Edoardo Fleischner
Giornalista e Docente di Scrittura crossmediale e di Comunicazione digitale presso la facoltà di Sociologia dell’università Statale di Milano e di Format televisivi e crossmediali all’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli