Passione e artigianato è un binomio inscindibile. Benché sia complesso misurare il “valore economico” della passione, è sicuramente evidente come quest’ultima sia il reale motore delle imprese artigiane. Passione è sinonimo di idee, know-how e competenze che si tramandano di generazione in generazione. Nella relazione all’assemblea nazionale di Confartigianato, il presidente Marco Granelli (riconfermato alla guida dell’associazione proprio in questi giorni), si è concentrato sia sulla problematica del ricambio generazionale – per molte imprese artigiane – sia sulla necessità che i giovani abbraccino sempre di più la strada dell’imprenditorialità. Su questo versante, però, la popolazione italiana vanta nel proprio dna una componente di vantaggio rispetto alla media delle altre realtà europee. “Sono tanti gli individui o le famiglie che prediligono la strada dell’imprenditorialità, spesso artigiana, rispetto a quella del lavoro dipendente”, dice sulle colonne di Spirito Artigiano, Marco Fortis economista di lungo corso e vicepresidente della fondazione Edison.
Fortis, in questa istantanea che ha scattato oltre al piano economico, c’è sullo sfondo un valore sociale dell’impresa artigiana che lei identifica in una commistione ineludibile.
«È così. L’imprenditorialità è un tratto che appartiene, come valore sociale, alla nostra popolazione rispetto ad altre. Spesso le imprese artigiane, micro, piccole o medio-grandi che siano, nascono all’interno del nucleo familiare. Il prototipo dell’impresa artigiana classica gemma spesso da una dimensione familiare. Un fattore preziosissimo in termini di coesione sociale.»
In che termini si declina?
«La scelta di intraprendere una strada autonoma rispetto al lavoro dipendente è il frutto di una naturale propensione alla creatività. Componente, quest’ultima, essenziale proprio nel comparto artigiano. Dunque il fatto che le persone scelgano l’impresa è di per sé positivo. Ma l’impresa artigiana, nei territori in particolare, è un elemento di forte coesione oltre che di integrazione. Ed è uno dei motivi per i quali le piccole imprese – di cui l’Italia è costellata – rappresentano un elemento di stabilità per il Sistema Paese più in generale oltre che per il sistema economico in senso stretto. Tant’è che, nei Paesi nei quali il sistema di impresa è meno diffuso, il tasso di instabilità è più forte.»
La piccola dimensione dell’impresa come intreccia l’esigenza di garantire una sempre maggiore produttività al Paese in modo da reggere gli shock del mercato mantenendo alto il livello di competitività con gli altri player?
«Qui si innesta il grande dibattito sulla possibilità di garantire un alto livello di produttività con un sistema che di fatto poggia su micro e piccole realtà per lo più. La risposta è che il nostro Paese, ad esempio nel 2022 nel comparto manifatturiero, ha registrato livelli di produttività uguali a quelli della Germania. Per cui, la piccola impresa è in realtà una ricchezza. Tanto più che, le realtà di piccole dimensioni (fino ai venti addetti) sono spesso inserite all’interno di processi virtuosi e sono il “motore” delle grandi imprese.»
Torniamo al binomio di partenza. Passione e artigianato.
«La passione è una componente irrinunciabile per il settore, a maggior ragione perché viene declinata come base di competenze sostanzialmente uniche. Un testimone che viene ceduto tra le varie generazioni di imprenditori. E che soprattutto rappresenta il viatico per la diversificazione produttiva delle nostre imprese. Preziosa peculiarità del sistema produttivo artigianale italiano.»
A questo punto viene da chiedersi: l’artigianato è ancora un mestiere per giovani?
«Certo che lo è. Anzi, lo è a maggior ragione oggi. Stiamo attraversando indiscutibilmente un periodo complesso di transizione, ma non è detto che molti mestieri artigiani vedano la parola fine. È, prima di tutto, un fattore di tipo culturale.»
Cosa intende dire?
«È difficile “pilotare” alcune tendenze, ma in alcuni contesti si assiste a un cambio di paradigma applicato dai giovani proprio a mestieri o realtà che si pensavano desuete e in via di abbandono. L’innovazione nella tradizione, è una ricetta valida. Anch’essa, fortemente legata alla dimensione dell’artigianato.»
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Federico Di Bisceglie
Dopo gli studi classici approda alla redazione de il Resto del Carlino di Ferrara, appena diciottenne. Nel giornale locale, inizialmente, si occupa di quasi tutti i settori eccetto lo sport, salvo poi specializzarsi nella politica e nell’economia. Nel frattempo, collabora con altre realtà giornalistiche anche di portata nazionale: l’Avanti, l’Intraprendente e L’Opinione. Dal 2018 collabora con la rivista di politica, geopolitica ed economica, formiche.net. Collaborazione che tutt’ora porta avanti. Collabora con la Confartigianato Ferrara in qualità di responsabile della comunicazione.