C’è un paradosso affascinante e insieme inquietante che percorre oggi il mondo del lusso: più l’industria cerca di affermare la propria potenza creativa e comunicativa, più finisce per attingere all’universo dell’artigianato. Una sorta di plagio sottile, invisibile alle leggi ma evidente agli occhi di chi conosce la storia del lavoro ben fatto. L’industria della moda e del design, quella delle grandi maison e dei marchi planetari, prende in prestito — spesso senza dichiararlo apertamente — gesti, concetti, estetiche e valori che appartengono alla tradizione artigiana.

 

Eppure, ed è qui il cuore del discorso, questo stesso “furto” genera un effetto positivo inatteso: rafforza il percepito dell’artigianato, lo colloca in un orizzonte di desiderabilità, lo innalza a mito fondativo del lusso. L’artigiano rimane, nella percezione collettiva, colui che custodisce un sapere irripetibile. Anche se nel racconto dell’industria egli viene spesso ridotto al ruolo di esecutore di un disegno altrui — lo stilista, il direttore creativo, il brand — resta comunque il depositario di un’aura che nessuna catena di montaggio può imitare.

L’artigiano come imprenditore di sé stesso

Qui sta la differenza sostanziale. Per noi l’artigiano non è un operaio specializzato. Non è la “mano” che realizza l’idea di qualcun altro. L’artigiano è imprenditore di sé stesso: concepisce, disegna, inventa, realizza. È autore dell’opera, non soltanto esecutore. Ogni bottega artigiana è una piccola impresa creativa, un laboratorio di senso, un’officina dove progetto e realizzazione coincidono nella stessa persona.

Eppure, nel racconto delle grandi griffe, la centralità è altrove: nello stilista, nella maison, nel brand. All’artigiano viene chiesto di garantire qualità esecutiva, rigore, perfezione. L’arte diventa mestiere, il mestiere si fa tecnica, la tecnica si piega al marchio. In questa dinamica si consuma la differenza di status: ciò che per noi è creazione, per l’industria è produzione.

Copiare il gesto, non l’anima

Non c’è copyright che tuteli un concetto, non esiste brevetto che protegga un’idea di bellezza. E così l’industria “copia” il gesto artigiano, lo trasforma in storytelling, lo fa diventare cornice e scenografia del prodotto di lusso. I video patinati delle grandi maison mostrano mani che cuciono, che intrecciano, che scolpiscono. Raccontano la lentezza del gesto, la pazienza della lavorazione, il dettaglio che diventa eccellenza.

Ma il rischio è che si tratti di un’immagine estetizzata, più vicina alla pubblicità che alla vita reale delle botteghe. È un artigianato evocato, non vissuto. Un artigianato al servizio della marca, non come espressione autonoma di libertà creativa. In fondo, l’industria prende in prestito il linguaggio dell’artigianato, ma non la sua anima.

L’effetto paradosso: un vantaggio inatteso

Eppure, nonostante tutto, da questo plagio nasce un beneficio per noi. Quando l’industria copia l’artigianato, in realtà contribuisce a rafforzarne il mito. Fa capire al mondo che il vero lusso è legato alla manualità, al tempo dedicato, alla cura ossessiva del dettaglio. Più le maison cercano di raccontare questa origine, più l’artigianato viene riconosciuto come radice autentica del bello.

Il percepito si alza: artigianato come sinonimo di eccellenza, come archetipo del lusso. È vero, la bottega rischia di essere oscurata dal logo, ma resta al centro dell’immaginario. E questo, in un mondo dominato dalla velocità e dall’omologazione, è un punto di forza che non va sottovalutato.

Il plagio delle idee e dei sentimenti

Quando diciamo che l’industria “ruba” all’artigianato, non parliamo di contraffazione. Non ci sono falsi da bancarella o imitazioni dozzinali. Parliamo di qualcosa di più sottile e profondo: il plagio di idee, di concetti, di sentimenti. La filosofia della lentezza, la poetica della manualità, il valore del tempo e della precisione: tutto ciò che l’artigianato ha costruito in secoli di storia diventa oggi materiale narrativo per le grandi campagne globali.

Ecco perché il discorso è complesso. Non c’è una legge che possa tutelare il pensiero artigiano. Non c’è tribunale che possa condannare un marchio per aver trasformato in pubblicità ciò che per noi è vita quotidiana. Eppure resta il fatto: senza artigianato, l’industria del lusso perderebbe la propria legittimazione simbolica.

Un sillogismo necessario

Qui si apre il parallelismo con un’altra dinamica che ben conosciamo: l’italian sounding. Quel fenomeno per cui nel mondo proliferano prodotti che “suonano” italiani senza esserlo, che evocano il Made in Italy senza averne la sostanza. Parmesao, chianti “da supermercato” in America, salami con tricolore stampato in Australia. Copie, scorciatoie, simulacri.

Anche l’italian sounding, come l’industria che imita l’artigianato, sembra un danno. E lo è, in parte. Ma alla lunga ha un effetto collaterale positivo: alza la percezione del valore del Made in Italy. Se tutti vogliono sembrare italiani, significa che l’Italia rappresenta un benchmark, un desiderio, un sogno. Così come l’industria del lusso rafforza il mito della bottega artigiana, anche l’italian sounding rafforza la centralità del Made in Italy.

Il consumatore globale, quando può scegliere, cerca l’originale. Sia che si parli di vino, moda, cibo o design, alla fine il mercato riconosce l’autenticità. Così, sia nel lusso che nel Made in Italy, il plagio diventa un boomerang: spinge il cliente a ricercare la fonte vera. E la fonte vera è sempre il Valore Artigiano.

L’artigianato come orizzonte del futuro

Se vogliamo ribaltare il paradosso, dobbiamo avere il coraggio di dire che l’artigianato non ha bisogno di legittimazioni dall’alto. Non è la moda che conferisce valore alla bottega, ma la bottega che offre linfa vitale alla moda. L’industria copia, ma la sorgente è altrove. L’autenticità non si compra né si simula: è una radice che solo chi lavora con le mani e con la mente insieme può custodire.

In questo senso, l’artigianato non è passato ma futuro. È il luogo dove l’innovazione può incontrare la tradizione senza annullarla. È la fucina dove tecnologia e manualità non si escludono, ma si arricchiscono a vicenda. È la dimostrazione che il lusso non nasce dal prezzo, ma dal valore.

L’ apparente paradosso: un plagio che ci fa crescere

Sì, l’industria ci copia. E continuerà a farlo. Non c’è copyright sul gesto, non c’è brevetto sull’idea di bellezza. Ma proprio per questo, l’artigianato deve cogliere la sfida e trasformare questa appropriazione in opportunità. Se il mondo riconosce che il vero lusso è la manualità artigiana, allora spetta a noi raccontarla con orgoglio, senza complessi di inferiorità.

Lo stesso vale per il Made in Italy: se proliferano copie e contraffazioni, significa che il nostro marchio identitario è talmente forte da voler essere imitato ovunque. Ma alla fine, chi cerca il vero lusso e chi cerca il vero Made in Italy finirà per scegliere l’originale. Perché il mercato, alla lunga, premia sempre l’autenticità.

Forse l’industria ci ruba i concept, come l’italian sounding ruba i nostri nomi. Ma il cuore resta nostro. E in quel cuore c’è il Valore Artigiano, l’Italia che crea, innova e resiste.

Ecco il punto: l’imitazione non è mai destino, è soltanto una tappa. Il destino è l’autenticità. È nelle mani di chi lavora il legno, intreccia la fibra, fonde il metallo, modella la terra. È nello sguardo di chi mette in ogni dettaglio la propria dignità e la propria libertà creativa.

Il mondo può copiare i gesti, ma non può riprodurre l’anima. E l’anima, quella che rende l’Italia riconosciuta e amata in ogni angolo del pianeta, continuerà a parlare con la voce degli artigiani. Perché nel lusso come nella vita, l’originale vince sempre.


Marco Granelli

Marco Granelli

Presidente di Confartigianato Imprese, la Confederazione che rappresenta 700.000 artigiani, micro e piccole imprese. Imprenditore nel settore delle costruzioni, Granelli è da lungo tempo impegnato nell’attività associativa: dal 2012 al 2020 è stato Vice Presidente Vicario di Confartigianato e dal 2009 ha guidato Confartigianato Emilia Romagna dopo essere stato, dal 2004, alla presidenza di Confartigianato Imprese Parma

SPIRITO ARTIGIANO

Un progetto della Fondazione Manlio e Maria Letizia Germozzi onlus

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