“L’ordine mondiale cooperativo che avevamo immaginato 25 anni fa non si è trasformato in realtà. Invece, siamo entrati in una nuova era di dura competizione geostrategica”.

Con queste parole la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha aperto il suo discorso davanti al gotha della finanza e della politica mondiale riunito al World Economic Forum a Davos. Von der Leyen ha pronunciato il suo discorso il 21 gennaio scorso, il giorno dopo l’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca. “Le principali economie mondiali stanno gareggiando per l’accesso alle materie prime, alle nuove tecnologie e alle rotte commerciali globali. Dall’intelligenza artificiale alla tecnologia pulita, dalla quantistica allo spazio, dall’Artico al Mar Cinese Meridionale: la gara è iniziata”, ha detto la presidente prevedendo che nei mesi a venire vedremo “un uso frequente di strumenti economici, come sanzioni, controlli sulle esportazioni e tariffe, che mirano a salvaguardare la sicurezza economica e nazionale”.

Questo è lo scenario in cui si dovranno muovere le imprese europee e italiane, la cui forte vocazione all’export sarà messa a dura prova. Tutto si complica. Mantenere la competitività con Stati Uniti e Cina è l’imperativo. Ma lo era anche prima che Donald Trump vincesse le elezioni negli Stati Uniti e imprimesse una svolta nelle relazioni transatlantiche. Già nel settembre scorso l’ex premier Mario Draghi, nel presentare il suo Rapporto sulla competitività europea, aveva sferzato l’Unione: «È una sfida esistenziale» e «l’unico modo per diventare più produttivi è che l’Europa cambi radicalmente», aveva detto. Costi alti dell’energia (esplosi dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia), eccesso di burocrazia, iper-regolamentazione. Questo rallenta l’Unione che, se vuole continuare ad avere un ruolo geopolitico accanto a Stati Uniti e Cina, deve riconquistare la propria competitività nei settori strategici dell’hi tech e delle tecnologie verdi oltre che nella difesa. Tutti i leader Ue dicono che è «urgente» intervenire, poi nella pratica non riescono a mettersi d’accordo soprattutto su come finanziare le nuove priorità politiche dell’Unione, a partire dal rilancio dell’industria per arrivare alla difesa. Draghi ha stimato che serviranno circa 800 miliardi di euro all’anno tra investimenti privati e pubblici. Da un lato la via è completare l’unione del mercato dei capitali e l’unione bancaria per liberare i risparmi privati europei ed evitare che finiscano investiti negli Stati Uniti. Dall’altra è necessario che i Paesi Ue siano messi nella condizione di aumentare gli investimenti pubblici, ma sull’ipotesi di nuovo debito comune Germania e Olanda restano fermamente contrarie mentre aperture si vedono sul tema della difesa in alcuni Paesi tradizionalmente frugali come l’Estonia e la Danimarca, che temono la vicinanza geografica della Russia.

Intanto la Commissione europea ha presentato la «Bussola per la competitività», che prende le mosse dai Rapporti di Draghi e Letta. Von der Leyen l’ha chiamata la «stella polare» che «guiderà il lavoro per i prossimi cinque anni». Vi sono elencate le azioni prioritarie per restituire dinamismo all’economia europea. Le misure, divise in tre pilastri principali, mirano a colmare il divario nell’innovazione, a promuovere la decarbonizzazione e a ridurre le dipendenze strategiche. Il documento non menziona però il tema dei temi: come finanziare il rilancio, che è la pietra della discordia tra gli Stati membri. Tuttavia per von der Leyen, come ha spiegato alla platea di Davos, «non ci manca il capitale. Ci manca un mercato dei capitali efficiente che trasformi i risparmi in investimenti, in particolare per le tecnologie in fase iniziale che hanno un potenziale rivoluzionario». Dunque ha promesso di creare «un’Unione europea dei risparmi e degli investimenti — definizione presa dal Rapporto Letta, ndr — con nuovi prodotti di risparmio e investimento europei, nuovi incentivi per il capitale di rischio e una nuova spinta per garantire un flusso continuo di investimenti in tutta la nostra Unione. Mobiliteremo più capitale per far prosperare l’innovazione e l’assunzione di rischi made in Europe». Più complicato è il settore della difesa perché per gli Stati membri aumentare gli investimenti significa aumentare il debito pubblico e per i Paesi ad alto debito, come ad esempio l’Italia, il sentiero previsto dal Patto di stabilità è molto stretto.

C’è invece consenso sulla necessità di semplificazione burocratica. Il premier polacco Tusk in plenaria a Strasburgo a gennaio ha chiesto un piano di vera e propria «de-regolamentazione». La Bussola al momento parla di «semplificare e modernizzare le norme, in particolare per le start-up e le imprese innovative». La Commissione ha lavorato alla proposta Omnibus per la semplificazione: un intervento per semplificare la regolamentazione Ue, riducendo gli oneri per imprese e Pmi. L’obiettivo è tagliare del 25% gli oneri amministrativi per le imprese e del 35% per le Pmi. Tra le novità, nella Bussola c’è anche una nuova definizione di «small mid-caps» che consentirà a 31 mila aziende di beneficiare di regole semplificate. È inoltre attesa per il prossimo anno la proposta da parte della Commissione del 28esimo regime giuridico per le imprese innovative. Diritto societario, insolvenza, diritto del lavoro, tassazione: l’obiettivo è avere un unico e semplice quadro in tutta l’Unione.

Un tema centrale è l’abbassamento del costo dell’energia che la Commissione intende raggiungere con due proposte: il Clean Industrial Deal e l’Affordable Energy Action Plan che puntano anche a migliorare l’accesso a fonti rinnovabili e a promuovere l’elettrificazione delle industrie europee.

Nella sua strategia per il rilancio della competitività, l’Ue si allinea di fatto con lo slogan trumpiano «America first» e cede a una sorta di protezionismo. Nel documento si legge che «la Commissione proporrà l’introduzione di una preferenza europea negli appalti pubblici per i settori e le tecnologie critiche attraverso una revisione della direttiva sugli appalti pubblici». In pratica anche l’Ue promuoverà il «Buy European» per «rafforzare la sicurezza tecnologica e le catene di approvvigionamento nazionali». E questo perché «in un contesto in cui altri grandi attori impongono restrizioni all’accesso ai loro mercati e cercano di potenziare la capacità produttiva in tecnologie critiche — si legge nel testo — l’Europa deve salvaguardare la propria capacità di produzione».  Ora si tratterà di vedere che forma prenderanno le proposte della Commissione e quanto tempo impiegheranno i colegislatori — Parlamento europeo e Stati membri — a mettersi d’accordo. Il fattore tempo è cruciale ma talvolta a Bruxelles e nelle capitali sembrano dimenticarlo.

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