Vi sono termini il cui significato si è nel tempo così modificato da non essere più in grado di trattenere la miriade di contenuti che hanno maturato. Artigianato è uno di questi a partire dal fatto che per l’Italia è una parola-sistema dalle doti complesse, un particolare combinato iconico, a metà tra cultura ed economia, che assume un rilievo identitario tra i più emblematici con il quale il Paese mostra sé stesso oltre i propri confini. È anche il termine che riverbera con maggiore frequenza la retorica del “fatto ad arte” e del “fatto con arte”, simulacri di un’artisticità diffusa che si vuole sparsa su tutto il territorio. E queste sono probabilmente alcune delle ragioni per le quali “artigianato” si manifesta come un vocabolo catalizzatore di equivoci. Per gli stessi motivi è un crocevia naturale di argomenti dilatati dove troppo può essere accolto perché permeabile a una narrazione autocelebrativa dell’Italia incentivata da chi promuove un conservatorismo di maniera.
Per alcuni, l’Italia stessa, senza dover necessariamente rinunciare alla sua versione industrializzata, si può ritenere un’unica “bottega artigiana”. Una descrizione che, sebbene incompleta, è però comprensibile
Per alcuni, l’Italia stessa, senza dover necessariamente rinunciare alla sua versione industrializzata, si può ritenere un’unica “bottega artigiana”. Una descrizione che, sebbene incompleta, è però comprensibile. Vale a dire, attribuendo all’Italia un modernismo incompiuto e asimmetrico, nell’idea di un laboratorio continuo si ricompone un vasto mosaico di prodotti esclusivi. Segni unici di un disegno multiforme che raffigura quel fascino imperfetto del bel paese che, nonostante le avversità endemiche che storicamente l’accompagnano, concilia sapienza e autenticità con l’operosità di un originale saper fare le cose.
Ma la realtà è a dir poco più irregolare e originale è anche il modo in cui transitano in questa parola chiave abusi agiografici in racconti stereotipati. Il manufare artigiano che ha attraversato la storia dei beni culturali nel rapporto scalare tra abitazione e città, da tempo è, oltre il prodotto, un prodotto-servizio o solo un servizio prestato alla persona. Una constatazione essenziale per cogliere l’articolazione quantitativa e qualitativa dell’artigianato italiano e per evitare che le abitudini all’uso di luoghi comuni ci impediscano di osservare i mutamenti compresi nell’oggettività di un artigiano multiverso. Per semplificare, tentando tuttavia di coglierne le articolazioni presenti, l’Italian Craft si compone a grandi linee dei tratti di un “artigianato artistico”, di un “artigianato di servizio”, di un “artigianato industriale” e di un “artigianato digitale” che include i temi dell’autoproduzione come sintesi del cambio di paradigma tra progetto-processo-prodotto. Per altri versi è indicativo il neologismo “industrianato”: l’industria di qualità che si integra con l’esperienza esclusiva di un artigianato tradizionale che sa evolversi.
Ma sarebbe un errore supporre che l’insieme dei modelli di cui fin qui si è detto raffiguri dell’intero artigianato una rassegna compensativa. Il quadro, viceversa, è variabile e avere la percezione di quali siano le aree mutevoli da la possibilità di comprenderne criticamente le contraddizioni che affiorano. Una delle prime coincide con il tema della salvaguardia del mondo artigiano che si riversa nel campo della formazione. Ovvero nelle politiche della formazione a confronto con la rapida evoluzione delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione. Tuttavia, ciò che probabilmente ha più inciso nel determinare fenomeni di cambiamento appartiene al mutare dei consumi anche a seguito delle crisi economiche e finanziare degli ultimi anni. Crisi che hanno reso direttamente proporzionali la comparsa di una nuova cultura del lavoro accanto a una nuova cultura del consumo. In questo contesto, ad esempio, la connessione tra design e artigianato si è alimentata di argomenti plurali e integrazioni multiculturali che hanno riconvertito le nozioni di tradizione e territorio sulla base di modificazioni interdipendenti tra dati demografici, economici, tecnologici e politici. Un processo in divenire ulteriormente condizionato da come la società intera ha occupato gli spazi industriali proiettandoli verso altri requisiti produttivi.
All’interno di una siffatta cornice il rapporto tra design e artigianato si esprime come un’area composita nella quale convivono conoscenze storicizzate, comunità di pratiche, economie creative e progetti corali. Una catena di valori che si rispecchia nelle tesi di chi dibatte di identità e popoli evitando di far coincidere il radicamento locale con il localismo. Principi che delineano una lezione essenziale che si riflette sul piano degli insegnamenti futuri.
Condizione necessaria e sufficiente perché si generi un sistema-artigiano regolarmente rinnovabile negli strumenti e nelle pratiche, è data da una istruzione finalizzata a guidare figure professionali in territori liberi dai conservatorismi produttivi e capienti per accogliere la transizione della conoscenza e la trasformazione dell’esperienza
Da questa prospettiva riaffiorano i temi della formazione. Condizione necessaria e sufficiente perché si generi un sistema-artigiano regolarmente rinnovabile negli strumenti e nelle pratiche, è data da una istruzione finalizzata a guidare figure professionali in territori liberi dai conservatorismi produttivi e capienti per accogliere la transizione della conoscenza e la trasformazione dell’esperienza. Prerogative che non misurano il tasso di tecnologia digitale o la porzione di artigianato tradizionale. È poco rilevante se a condurre questa partita siano maker di prima o seconda generazione oppure gli abituali artigiani. Poco rilevante è stabilire se le stampanti 3D sono più numerose dei torni per la ceramica. Se queste condizioni sono poi a favore di una progettualità diffusa e causa di una crisi dell’autorialità del prodotto e della sua firma è altrettanto ininfluente. Importante è invece condurre una speculativa azione di decompressione sul termine artigianato evitando di renderlo in automatico un artificioso sinonimo di qualità. La qualità – anche nella pletora dei luoghi comuni che accompagna il Made in Italy – è un obiettivo da supporre vi sia in ogni presupposto progettuale e in ogni standard produttivo. Similmente, lo stesso rapporto ideazione-esecuzione non è soggetto a scale di valori in virtù delle singole quantità ravvisabili nel singolo prodotto. In questa direzione il soggetto del dibattito attiene alla funzione e all’organizzazione delle competenze e alla loro interdisciplinarietà. Integrabili e rigenerabili nella sottintesa dimensione tecnologica ma soprattutto nella “capacità di ascolto” indirizzata al territorio per generare non obbligatoriamente nuovi valori ma rischiando di rinnovare nel caso valori preesistenti. Ma la capacità di ascolto ha inizio nella percezione imparziale di sé da cui discende una comunicazione appropriata del proprio fare e di come si fa.
Il testo è frutto della sintesi e rielaborazione del saggio: V. Cristallo, Retorica e necessità della cultura artigiana in: Maria Antonia Barucco, Fiorella Bulegato, Alessandra Vaccari (a cura di), Remanufacturing Italy. L’Italia nell’epoca della postproduzione, Mimemis edizioni, Sesto San Giovanni (MI) 2020, pp. 146-159, ISBN 978-88-5757-535-3.
Vincenzo Cristallo
Professore Associato di Disegno Industriale presso il Politecnico di Bari. Ha insegnato design presso l’Università di Genova, il Politecnico di Milano, l’Università degli Studi di Napoli ‘Federico II e la Sapienza di Roma. I libri e i saggi pubblicati documentano un’attività di ricerca orientata allo studio della contemporaneità del design e il suo contributo allo sviluppo territoriale. Da alcuni anni rivolge i suoi interessi scientifici al progetto dei linguaggi infografici e al ruolo che questi rivestano nell’accesso alla conoscenza