L’articolo di Marco Granelli solleva questioni fondamentali che possono rendere più lucida e fervidamente positiva la “battaglia delle idee”. Sì: la “battaglia delle idee”, perché “battaglia delle idee” – ossia confronto culturale – è quella che è in corso da sempre, da quando sono state fondate in Italia, dopo la Lotta di Liberazione nazionale, le associazioni degli artigiani, trasformando gli enti prima esistenti sotto lo Stato corporativo in libere associazioni.

 

Riconosciamolo: siamo sempre immersi in una vera e propria lotta per la sopravvivenza culturale e ideale, a fronte di politiche economiche e di presenze associative sin da subito rivolte più al sostegno della grande e della media che della piccola impresa, dell’impresa familiare, in definitiva dell’impresa artigiana. Il tutto con gran “clangor di buccine”, ossia una vera e propria primazia ideologica che classifica il nostro mondo come un mondo “altro”, “minore”, come accade nei miti che raccontano dei “figli di un dio minore”.

Certo: la Chiesa cattolica e i grandi partiti di massa interclassisti crearono sin dall’immediato secondo dopoguerra enti e “corpi intermedi” collaterali per rispondere alle esigenze e alle richieste di settori del loro elettorato. Un rapporto che, via via, si fece meno stretto e organico per la trasformazione della lotta politica e delle strutture partitiche, ma il nocciolo di una politica industriale – quando esisteva – diretta più al sostegno delle imprese pubbliche, grandi e medie, rimane sino ai giorni nostri e ci penalizza.

Gli ultimi governi, tuttavia, sembrano aver inteso che è assai più produttivo, per la stessa loro forza elettorale e per soddisfare i propri sostenitori, moderare e trasformare le politiche del passato, in accordo con gli stili e i vincoli che vengono dall’UE. Ma siamo ancora lontani da una trasformazione definitiva.

 

In questo contesto, le osservazioni di Marco Granelli si sostengono per forza analitica propria, quale che sia la condizione politica e regolamentare esistente, perché esse si rivolgono all’esame dell’universo simbolico della vita associata economica e non solo: culturale in primis. Di qui il loro valore

 

Sì, è vero: la “natività”, la genuinità, la “freschezza simbolica” sono le qualità che, nell’universo significativo che fonda il sistema di segni e di riferimenti in cui siamo immersi, sono premiate dal consumatore e dall’insieme degli “attori culturali” della vita economica.

Qui risiede l’originalità e l’importanza politica del saggio: aver posto in risalto come questo trasferimento simbolico e significativo agisca con grande persistenza e come possa diventare per noi un punto di forza.

Molti anni or sono – sulla base di un’esperienza statunitense in Procter & Gamble che mi indusse a studiare il “marketing antropologico” – compresi che ciò che conta è il rispecchiamento benefico, accogliente e materno che il consumatore potenziale ed effettivo deve trovare non solo nella merce, ma nel lavoro e nella sua organizzazione necessari per produrre e per godere, negli usi e nei lavori quotidiani, quella merce e quella realizzazione del lavoro.
Se questo è vero, ciò che conta non può che essere garantito da merci e procedure lavorative che rispecchino quel lavoro umano nella sua originalità creativa e costitutiva; non tanto la manualità pura del medesimo, ma la sua natura originale e indissolubilmente legata a facoltà umane prima che meccaniche.

 

Ecco il punto: la macchina è indispensabile, ma tanto l’organizzazione quanto l’ideazione, il controllo e la realizzazione devono essere originate da un’idea umana, singolare o collettiva, che nella “riproduzione macchinista” non si perde, non si corrompe, anzi, spesso garantisce la valorizzazione di quell’ingenio originatore che è il segreto del sapere o dello Spirito artigiano.

 

Allora la produzione di massa e su larga scala di prodotti acquista valorizzazione per ciò che è originalmente e continua a essere nell’immaginario collettivo, nel landscape mitologico delle grandi masse: “piccolo è bello su larga scala”.

La nuova sapienza artigiana si misurerà, grazie alle nuove tecnologie di cui tanto si discetta e di cui non voglio qui far parola per non cadere nella retorica, su questa capacità di coniugare “larga scala” e “originaria mente”, ossia “originaria sapienza creativa artigiana”, e lavoro con le macchine sempre più intelligentemente costruite e gestite.

(Nella foto di Ivan Demenego, tratta da I Ritratti del Lavoro di Confartigianato, il maestro orafo Paolo Penko con la sua famiglia nel laboratorio di Firenze)


Giulio Sapelli

Giulio Sapelli

Giulio Sapelli, già Professore ordinario all’Università degli Studi di Milano ed editorialista, unisce economia, storia, filosofia, sociologia e cultura umanista in una sintesi originale e profonda. Ha insegnato in Europa e nelle Università delle due Americhe, in Australia e Nuova Zelanda. I suoi lavori sono stati tradotti in tutto il mondo.
E’ Presidente della Fondazione Germozzi ed è impegnato a valorizzare il concetto di Valore artigiano, che è forza di popolo, di persone e di imprese legate da uno spirito unico, il quale esprime la vocazione originaria incline alla creatività e all’amore per la bellezza.

SPIRITO ARTIGIANO

Un progetto della Fondazione Manlio e Maria Letizia Germozzi onlus

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