
Dare oggi una definizione appropriata di turista significa partire da affermazioni e riflessioni differenti rispetto a trent’anni fa. Sul finire dello scorso secolo il turismo era ancora concentrato in poche località e pochi mesi dell’anno; sulla base di principi condivisi e consolidati, il turista era guidato da una motivazione personale forte e radicata, in grado di caratterizzarne le scelte verso le stesse mete o le stesse tipologie di offerta turistica. Con l’inizio del nuovo secolo il turista ha manifestato un interesse crescente verso la ricerca di nuove esperienze, per interrompere la routine quotidiana, per soddisfare la voglia di fare qualcosa di differente, di inatteso, e perché no, di arricchire il proprio bagaglio culturale. Un fenomeno certamente favorito dalla maggiore facilità negli spostamenti, soprattutto di medio-lungo raggio, dalla riduzione dei costi e dei tempi del viaggio, dalla crescente curiosità dovuta a strumenti di informazione sempre più diffusi e facili da usare. Nell’arco di un decennio vivere nuove esperienze è diventato facile e alla portata di molti.
La sociologia del turismo ha però dimostrato che oggi non ci si accontenta della nuova esperienza; si vuole qualcosa in più, si vuole vivere una nuova emozione. La vacanza deve essere in grado di emozionare. Il problema è che offrire una nuova esperienza è certamente gravoso ma non complicato. Offrire una nuova emozione tramite un prodotto turistico è estremamente impegnativo, soprattutto se si parla di prodotti e territori affermati da tempo, noti per proporre tipologie di turismo tendenzialmente obsolete. Tuttavia essere un territorio caratterizzato dalla presenza di un ricco patrimonio storico-culturale non è sinonimo di prodotto turistico “Vecchio”. Rappresenta in verità la possibilità di offrire quanto oggi chiesto dal turista, poiché il territorio è un enorme recipiente dal quale attingere. L’Italia è un fantastico contenitore di paesaggi unici, siti storici e architettonici, luoghi di culto, aree protette e città d’arte. È inoltre un territorio ricco di prodotti tipici fortemente radicati su singoli siti, quel Made in Italy conosciuto ed apprezzato in tutto il mondo. Quell’insieme di specialità agro-alimentari (ad oggi sono 5.717 i prodotti agroalimentari tradizionali riconosciuti dallo Stato Italiano) e di prodotti dell’artigianato locale (dal dicembre 2025 saranno riconosciuti come IIGP) in grado di generare movimenti per oltre 100 miliardi di euro nel 2024.
Un enorme comparto dell’economia italiana composto da piccole e medie imprese e imprese artigiane, le uniche in grado di produrre la qualità tanto bramata dai consumatori, oggi in grado di acquistare all’interno di un mercato globale, concorrenziale e spietato, spesso alla mercè di eventi esterni improvvisi e non controllabili, quali pandemie e guerre.
Se tutto ciò è vero, se l’Italia turistica deve competere su scenari globali, se il nuovo turista cerca nuove emozioni acquistando vacanze di qualità, la via da seguire, se non l’unica certamente la più semplice e rapida, è nel rafforzamento del Made in Italy. Una recente ricerca dell’OMT mostra che nel rapporto prezzo/qualità il turista straniero (in particolare l’alto spendente) premia la qualità, a fronte della quale è disposto a pagare il giusto prezzo, anche se elevato.
Il successo di nuove tipologie di turismo, su tutte il turismo lento e di prossimità, conferma l’interesse verso componenti fortemente territorializzate. La voglia di conoscere culture locali, apprezzandone abitudini e prodotti tipici, immergendosi in specifiche realtà socio-culturali, è divenuta una importante componente della domanda turistica, andando a sommarsi al già noto turismo dei cammini religiosi e delle strade dei prodotti tipici.
Il turista cerca quindi qualcosa di nuovo, di inaspettato, vuole essere sorpreso; ma al tempo stesso non è disposto a rinunciare all’elemento base della propria vacanza: la qualità.
Ma chi rende un prodotto turistico di qualità? Certamente è essenziale la bellezza del luogo: si pensi all’importanza di un paesaggio montano piuttosto che costiero, al valore di un capolavoro artistico piuttosto che architettonico, alla forza attrattiva di un luogo di particolare valenza religiosa, all’esclusività di un buon vino o di qualsiasi altro prodotto di qualità con esclusivo radicamento su un territorio.
Ma ciò non basta. La vera qualità nel turismo è fatta principalmente dai servizi, e questi sono offerti da persone. La qualità nel turismo è quindi uno strumento nelle mani di chi lavora nel comparto.
Alta qualità è quindi sinonimo di alta professionalità. Se questo è vero (e chi scrive ne è convinto) per competere in un mercato tendente al globale occorre offrire emozioni nuove con prodotti di massima qualità, utilizzando le necessarie professionalità, purtroppo non sempre presenti.
Il mercato del lavoro applicato al turismo mostra, da almeno due decenni, limiti e pecche più strutturali che congiunturali. Se cambia la domanda di turismo, per restare competitivi deve cambiare l’offerta. Purtroppo domanda e offerta di turismo in Italia sembrano viaggiare su binari paralleli destinati a non incontrarsi, a velocità differenti, con la domanda in fuga verso altre mete in grado di offrire prodotti emozionali e di qualità superiore.
La colpa è per buona parte della professionalità presente sul mercato, in termini di forza lavoro e, almeno in parte, di imprenditorialità.
Dieci anni fa parlare di Travel Designer, Digital Business Analyst, Revenue Manager appariva fantascientifico, fuori luogo per il comparto turistico, un mercato da sempre ritenuto “semplice”. Erano figure professionali troppo innovative per le aziende tipo, non necessarie e troppo costose. Orbene, oggi sono professionalità scontate, generalmente diffuse e utilizzate a tutti i livelli imprenditoriali di successo. Anzi, a d essere puntigliosi, sono figure professionali ormai superate.
La storica figura dell’agente di viaggio è stata sostituita dal destination manager, esperto di singoli territori e responsabile del successo turistico degli stessi; dall’esperto di turismo sostenibile, vista la crescente sensibilità del turista verso tali tematiche. Il gestore della struttura ricettiva è sostituito dal gestore di centri per workation, dal gestore di glamping; la guida turistica è sostituita da consulenti di viaggi virtuali, da esperti di viaggi esperienziali. Si guarda inoltre alla formazione di agenti di turismo olfattivo, esperti in salute e sicurezza dei viaggiatori, gestori di esperienze ecoturistiche. Ed ovviamente serviranno sempre più esperti di A.I., di realtà aumentata, di I.C.T. applicata al turismo.
Se questa è la direzione indicata, l’attuale composizione del comparto turistico pone in evidenza alcune debolezze, certamente sanabili, che richiedono però interventi rapidi e concreti.
Il settore è caratterizzato da un’estrema polverizzazione dell’offerta: le imprese con 50 o più lavoratori (meno del’1% delle imprese) impiegano una minoranza della forza lavoro del comparto (17,5%). In questo gruppo la componente delle grandi imprese (con organico pari o superiore a 250 unità) rappresenta solo il 6,4% dell’occupazione totale. Il 53,4% dei lavoratori ha un diploma senza ulteriore specializzazione, i laureati sono il 12,9% e coloro che hanno conseguito al massimo la scuola dell’obbligo il 33,7%. C’è una prevalenza di lavoratori con titoli di studio basso, con un ampio ricorso a contratti a tempo determinato e a chiamata. Il 73,9% dei profili del turismo è composto da professioni a media qualificazione, il 9% a bassa e solo il 17,1% ad alta qualificazione. Un assurdo, nella misura in cui Numerosi studi confermano, ad esempio, i tangibili benefici prodotti dall’utilizzo dell’AI per le aziende di tutte le dimensioni. Una ricerca di McKinsey afferma che le PMI possono ottenere un aumento dei profitti fino al 16% in due anni adottando almeno una tecnologia AI al proprio interno. Uno studio condotto dal MIT mostra che le aziende che utilizzano ICT hanno avuto performance di fatturato superiori del 32% in tre anni rispetto alle concorrenti.
Investire in alta tecnologia, anche nel turismo, è di certo una scelta imprenditoriale vincente, ma forse obbligata, per essere competitivi.
Si parla però di impegni spesso fuori dalla portata del singolo operatore, dal punto di vista economico e gestionale. Le istituzioni possono certamente supportare le imprese che investono in tecnologie 4.0, inclusa l’AI, offrendo, ad esempio, credito d’imposta. Ma ciò non basta.
Gli imprenditori devono avere il coraggio di investire, anche condividendo soluzioni tramite startup, contratti di rete, accordi su scala locale e nazionale con centri di ricerca centri di ricerca. Ma anche questa strategia potrebbe non essere sufficiente.
Occorre un salto di qualità: artigiani e piccoli imprenditori devono operare da grandi imprenditori, trovando il giusto posizionamento sul mercato, la necessaria forza. Devono poter acquistare la necessaria alta tecnologia, il massimo esperto di MKT di prodotto e di territorio, le figure professionali di ultima generazione.
È qualcosa di impossibile ragionando in modo individuale e prettamente microeconomico, è certamente concretizzabile ragionando in termini macroeconomici, agendo come associazione di operatori.
Solo le associazioni di categoria possono aiutare a diffondere la cultura e le competenze digitali necessarie, offrendo agli associati tutte quelle professionalità necessarie e irrinunciabili per andare nella direzione della nuova domanda turistica.
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Marco Brogna
È Professore Associato di Geografia Economica presso la Facoltà di Economia di Sapienza Università di Roma. Insegna Geografia e pianificazione turistica e Territorio impresa e sviluppo. Ha venti anni di esperienza in studi e ricerche. Ha collaborato con amministrazioni locali e associazioni di categoria, con particolare attenzione sulla trasversalità del comparto turistico, sulla necessità di ragionare in ottica sistemica e sugli impatti territoriali delle politiche d’intervento. Autore di numerose pubblicazioni, è stato direttore e coordinatore di Master universitari.