
In un’epoca dominata dalla produzione di massa e dalla rincorsa alla velocità, c’è un’Italia che continua a costruire valore con lentezza, precisione e intelligenza delle mani. È l’Italia degli artigiani: imprese piccole ma fondamentali, che custodiscono la cultura materiale del Paese e la trasformano in identità economica e sociale. In un mondo dove il lusso tende spesso a coincidere con l’eccesso, l’artigianato restituisce al concetto un significato più profondo: quello dell’unicità. Spirito Artigiano ne ha parlato con Enrico Maria Mosconi, docente di Tecnologia e gestione della produzione all’Università della Tuscia ed esperto di economia circolare, che da anni studia il rapporto tra impresa, territorio e cultura del saper fare.
Professor Mosconi, quale ruolo occupano oggi le imprese artigiane nel sistema produttivo italiano?
«Le imprese artigiane sono una componente strutturale del nostro Paese. Coprono un’ampia parte del PIL nazionale e rappresentano, più di ogni altro settore, la cultura dei territori. L’artigianato non è solo manifattura: è vocazione artistica, è sapere alimentare, è capacità di interpretare la bellezza e la funzionalità. È l’identità dei luoghi tradotta in lavoro».
Cosa distingue davvero, nel profondo e nel contesto delle abitudini del consumo attuale, un prodotto artigianale da uno industriale?
«La qualità dell’artigianato non è mai ripetitiva. È un processo che nasce dalla personalizzazione e dalla maestria. Ogni pezzo porta l’impronta del suo autore: una sensibilità irripetibile che nessuna macchina potrà mai replicare. La tecnologia è utile, ma rimane uno strumento. La differenza vera sta nella mano, nello sguardo e nella cultura dell’artigiano».
Sulla base di queste considerazioni, dunque, si può dire che l’artigianato è, di per sé, una forma di lusso?
«L’artigianato è lusso perché è unicità. Non nel prezzo, ma nel valore. Il lusso, secondo questa declinazione, non è necessariamente legato al costo, ma rappresenta piuttosto qualcosa di irripetibile. Un oggetto artigianale ha un valore commerciale, certo, ma soprattutto simbolico: è un frammento di identità, di cultura, di tempo umano. È il lusso di ciò che dura, di ciò che racconta chi siamo, facendo emergere l’identità anche dei luoghi da cui un prodotto viene fatto».
Unicità e autenticità, dunque, come fondamento del lusso?
«Esattamente. L’artigianato è esclusivo non perché elitario, ma perché autentico. Ogni creazione nasce da un gesto diverso, da un’idea, da una sensibilità. È l’opposto della standardizzazione. Il valore non sta nella quantità, ma nella relazione tra chi crea e chi sceglie di acquistare. È un lusso relazionale, umano, profondo».
Come si concilia questa dimensione con la tecnologia e l’innovazione?
«La tecnologia deve restare a misura d’uomo. Io credo in un’innovazione di piccola scala, compatibile con la manualità e i tempi dell’artigianato. Ma le competenze di base dell’artigiano restano fondamentali: la mano deve continuare a guidare la macchina, non il contrario. È importante che la maestria venga trasmessa, ma anche reinterpretata alla luce delle nuove tecniche e dei nuovi materiali».
Il tema del ricambio generazionale è cruciale per la sopravvivenza del settore. Come si può garantire continuità a questo patrimonio di saperi?
«Serve una visione strategica, di sistema. La trasmissione della maestria non può essere lasciata all’improvvisazione: è un passaggio di competenze ma anche di cultura. E le politiche di supporto devono essere reali, non episodiche: occorre accompagnare le imprese artigiane dentro un modello economico sostenibile e sistemico».
Oggi il valore di un prodotto passa anche dal suo racconto. Quanto conta lo storytelling per l’artigianato?
«Conta moltissimo. Lo storytelling è parte integrante del prodotto. Raccontare la storia di un oggetto, di chi lo ha creato, del territorio da cui nasce, significa restituirgli valore e riconoscibilità. Un oggetto artigianale non è solo bello: è anche portatore di significato. Comunicare quel significato è fondamentale per far comprendere il vero valore del lavoro artigiano»
In definitiva, che cosa rappresenta l’artigianato per lei?
«È il punto d’incontro tra economia, cultura e identità. È il luogo dove il lusso ritrova il suo senso originario: non come ostentazione, ma come autenticità. L’artigianato è la dimostrazione che l’Italia continua a essere capace di produrre bellezza attraverso le mani, e che la maestria resta, ancora oggi, la più sofisticata delle tecnologie».
Federico Di Bisceglie
Dopo gli studi classici approda alla redazione de il Resto del Carlino di Ferrara, appena diciottenne. Nel giornale locale, inizialmente, si occupa di quasi tutti i settori eccetto lo sport, salvo poi specializzarsi nella politica e nell’economia. Nel frattempo, collabora con altre realtà giornalistiche anche di portata nazionale: l’Avanti, l’Intraprendente e L’Opinione. Dal 2018 collabora con la rivista di politica, geopolitica ed economica, formiche.net. Collaborazione che tutt’ora porta avanti. Collabora con la Confartigianato Ferrara in qualità di responsabile della comunicazione.
