Matteo Silverio, muranese di adozione, stupisce i visitatori del suo laboratorio proponendo un vetro di Murano stampato in 3D. Dopo anni di sperimentazione, Silverio è stato capace di trattare gli scarti delle fornaci del distretto veneziano riutilizzandoli in forma di pasta di vetro che può essere usata grazie alla tecnologia della stampa 3D. I vetri prodotti dalla bottega di Matteo Silverio sono Made in Murano a tutti gli effetti. Parlano una lingua innovativa senza negare un passato importante. Rehub, la start up avviata da Silverio, ha ottenuto in questi mesi una serie di riconoscimenti importanti, La sua vicenda ci appassiona e ci mette di buon umore. La domanda che ci poniamo è: di Rehub ne abbiamo a sufficienza?
Nel corso degli ultimi anni ci siamo abituati a conoscere e ad apprezzare le tante storie di artigiani digitali che hanno saputo crescere grazie all’aiuto delle nuove tecnologie. Artigiani che hanno saputo applicare tecnologie 4.0 all’interno dei propri processi produttivi combinando in modo originale saper fare della tradizione con tecnologie innovative. I casi di eccellenza sono incoraggianti ma se confrontati con il quadro generale dell’economia del paese rimane il dubbio che questa avanguardia, per quanto importante, non sia in grado di risolvere alcuni problemi cronici. Dall’inizio degli anni ‘10 il differenziale di competitività fra l’Italia e i principali paesi europei è diventato particolarmente visibile e una parte significativa di questa perdita di competitività è legata al mancato aggancio al digitale. Un paese che stenta a fare proprie competenze e modelli di business legati alla rivoluzione 4.0 non tiene il passo con le economie più avanzate.
A complicare il tutto vi sono i dati sulla demografia del paese. L’Istat ripropone quotidianamente il crollo demografico che ha caratterizzato l’ultimo decennio. Questo invecchiamento ha avuto un impatto significativo sui numeri delle imprese artigiane (calate di molto nel corso dell’ultimo decennio) e sull’età media dell’imprenditore artigiano. A fronte di questo processo di invecchiamento, l’economia italiana in generale può contare su un numero di giovani sempre più contenuto. Lo sbilanciamento è strutturale e influisce in maniera significativa sul contributo di innovazione che possono fornire coloro che entrano nel mondo del lavoro.
Come uscire dall’impasse? In questi anni si è parlato molto di “open innovation”, un paradigma di innovazione che favorisce quelle imprese che sono capaci di sviluppare nuovi prodotti e nuovi processi a partire da progetti di collaborazione con università, scuole, start up. In Italia il movimento dell’innovazione aperta ha acquisito una certa consistenza e ha coinvolto anche tante piccole e medie imprese. La promozione del digitale può passare per queste forme di collaborazione a condizione di operare un salto di scala. Si tratta di aumentare di un ordine di grandezza il numero dei progetti in corso per coinvolgere un’intera generazione nel rinnovamento “digitale” delle piccole e medie imprese. Si tratta di immaginare migliaia di cantieri in grado di mettere insieme imprenditori, ricercatori e studenti impegnati in percorsi di formazione superiore (università e ITS) per migrare l’esistente verso una società e un’economia 4.0.
Negli ultimi anni non sono mancate esperienze in questo senso. L’avvio dei “contamination lab” e di progetti come ITS 4.0 e Upskill 4.0 sono andati in questa direzione. Le associazioni di categoria hanno promosso a livello nazionale e territoriale progetti interessanti. La cifra comune di questi progetti è stata saldare saperi consolidati con la sensibilità e l’intelligenza di una generazione di nativi digitali. I limiti di queste iniziative sono stati diversi: in particolare la mancanza di continuità e la difficoltà nel tradurre in soluzioni efficaci le tante idee emerse dal confronto con le nuove generazioni.
Nel prossimo futuro siamo chiamati a moltiplicare e a dare spessore a iniziative di questo tipo. Trasformando le logiche che caratterizzano la formazione nella nostra scuola e nella nostra università. Puntando sull’apprendimento attivo, centrato su metodologie che consentono ai giovani di risolvere problemi reali in modo innovativo. Favorendo il lavoro di gruppo, per consentire ai giovani di riconoscere il valore di conoscenze diverse e complementari. Coinvolgendo imprenditori di tutti i settori e incentivando la trasformazione digitale delle imprese a partire dal confronto con chi oggi si avvicina al mondo del lavoro. Formazione e innovazione devono trovare, insomma, sovrapposizioni sistematiche.
Le formule in grado di dare risposte efficaci sono già note e ampiamente disponibili. Si tratta di investire su questi modelli approfittando dell’occasione unica offerta dai finanziamenti europei oggi a disposizione del nostro paese. E’ giocando su questo salto di scala che potremo passare dall’eccellenza dei pochi alla competitività dei molti.
Stefano Micelli
Stefano Micelli è Direttore del Master in Manager’s development Program e Professore di Economia e Gestione delle Imprese all’Università Ca’ Foscari Venezia.
Dedica gran parte della sua attività di ricerca al tema della trasformazione del sistema economico italiano con un’attenzione particolare all’evoluzione dei settori manifatturieri.
È presidente esecutivo di Upskill 4.0, spin-off di Università Ca’ Foscari Venezia, costituito come Start Up Innovativa e come Società Benefit. È membro dell’Advisory Board Italy di UniCredit e presidente dell’Advisory Board Nord Est di UniCredit.
È membro del comitato scientifico di Symbola. È autore di diversi articoli e volumi fra cui: “Futuro Artigiano” (Marsilio) e “Fare è innovare. Il nuovo lavoro artigiano” (Il Mulino).
Conduce il progetto ITS 4.0 che propone a tutte le Fondazioni a cui fanno capo gli ITS un nuovo programma formativo-professionale che avvicina scuole e imprese sui temi del 4.0