Una delle sorprendenti multinazionali tascabili, che rendono esclusivo il tessuto produttivo veneto, la Solid World, ha sviluppato un progetto di stampante a 3d per riprodurre organi umani o animali.
Una suggestione distopica che inevitabilmente rinvia alle mille suggestioni del mito di Frankestein, e che invece, nelle parole del suo fondatore, l’ingegner Roberto Rizzo, assume la pacata e elegante cadenza di un‘ingegnosa trovata artigiana.
L’obbiettivo non è quello di ricreare esseri artificiali, quanto di permettere, da una parte, una pratica più sicura della sostituzione di organi o parti del corpo umano, e dall’altra, per la riproduzione animale, di sostituirsi ai costosi e inquinanti allevamenti con produzioni di tessuti animali reali derivati da geni che vengono poi renderizzati.
Si tratta di combinare, appunto ingegnosamente, soluzioni tipiche del disegno industriale automatizzato e della riproduzione tridimensionale del 3d, che ormai caratterizzano una gamma vasta di artigiani, con le capacità bio tecnologiche di un gruppo di ricercatori universitari, che hanno selezionato le procedure per ricavare da singole cellule intere parti di un essere vivente.
Come spiega il suo promotore l’ambizione è quella di azzerare il rischio di rigetto per i trapianti umani e invece di sostituire la carne per alimentazioni con tessuti che conservano tutte le proprietà naturali.
Una tale innovazione è stata resa possibile dal fatto che un nucleo professionale ristretto, formato da un singolo artigiano dell’ingegneria ha potuto avvalersi di informazioni e sistemi di calcoli in una chiave industriale impensabile fino a ieri, grazie appunto all’uso creativo di dispositivi di intelligenza artificiale e cloud computing disponibili sul mercato.
Ma proprio questo esempio ci costringe ad una riflessione di sistema.
Nella guerra fra quei giganti dell’intelligenza artificiale che stanno invadendo la scena con le loro mirabolanti soluzioni che ruolo possono giocare gli artigiani?
Nella guerra fra quei giganti dell’intelligenza artificiale che stanno invadendo la scena con le loro mirabolanti soluzioni che ruolo possono giocare gli artigiani? o ancora meglio: i nuovi agenti intelligenti che aumentano la capacità e l’intraprendenza di un professionista o di una bottega possono essere governati e adattati dalla singola figura artigiana o invece siamo destinati a metterci in fila come ad un distributore di benzina?
Sono questi i quesiti che ormai lungo tutto il crinale dell’innovazione caratterizzano l’atteggiamento e la problematicità del mondo delle piccole e medie dimensioni produttive, che rimangono strette fra l’ambizione di innovazione e il timore di sostituzione.
Chi scrive ha vissuto una simile condizione come giornalista, ossia come figura artigiana nel ciclo dell’informazione.
Negli ultimi 20 anni, con particolare evidenza, il mestiere redazionale si è logorato, fino a perdere tutti i suoi tradizionali bonus di status e di remunerazione ,proprio per l’incapacità di assumere il processo di trasformazione tecnologica come un negoziato, una contesa anche conflittuale, con le grandi piattaforme multimediali, rimanendo così stritolati fra un rifiuto ideologico dei nuovi processi o la subalternità strutturale ai linguaggi e ai valori che sono insiti nei meccanismi digitali.
La guerra che ancora infiamma l’Ucraina, come provo ad analizzare nel mio testo NetWar: in Ucraina il giornalismo sta cambiando la guerra, ma la guerra ha cambiato i giornalisti (Donzelli editore), ci racconta tragicamente come i veri protagonisti dell’informazione siano i grandi global player tecnologici, da Twitter a Micrsoft, ai satelliti di Elon Musk, che costringono gli inviati ad inseguire e riprodurre le notizie che pullulano in rete autonomamente.
La lezione dei giornalisti va attentamente studiata e compresa proprio per chi è interessato all’evoluzione delle figure singole sul mercato. In particolare per cogliere come l’intera spirale tecnologica che si è innestata nel passaggio di secolo non sia un impenetrabile enigma scientifico quanto una vera narrazione sociale: per l’informazione sono i lettori che sono cambiati prima delle piattaforme.
Più in generale,come sostiene Tim Berners-Lee, il padre del WEB, “internet è innanzitutto un’innovazione sociale prima che tecnica”. Bisogna comprendere la sottile relazione che congiunge appunto i bisogni o le pretese dei cittadini con le tecnologie che le veicolano. Sono i primi che danno forma alle seconde.
Gli artigiani sono sempre stati maestri di questa straordinaria capacità di leggere e intuire la domanda sociale. Oggi muta il linguaggio della gente e cambia il modo per decifrarlo.
Come diceva Sherlock Holmes alla fine del XIX° secolo, “l’uomo è un enigma indecifrabile, ma mettilo in una massa e avrai la certezza matematica di comprenderne i comportamenti”.
Per tutto il Novecento le masse sono state i motori dell’economia: la grande industria ne influenzava gusti e scelte unificando le identità, gli artigiani ne educavano le elites, valorizzando la loro ambizione alla differenza
Per tutto il Novecento le masse sono state i motori dell’economia: la grande industria ne influenzava gusti e scelte unificando le identità, gli artigiani ne educavano le elites, valorizzando la loro ambizione alla differenza.
Oggi sembra prevalere proprio questa seconda accortezza: rispetto alla dimensione di massa dell’industria: è l’individualizzazione che guida le relazioni sociali. Si torna così all’origine di quella scissione fra intellettuali, intesi come cesellatori del pensiero, e gli artigiani, visti come eleganti manovali, nel senso dell’abile uso delle mani.
Come ci ricorda Richard Sennet nel suo noto saggio L’Uomo artigiano (Feltrinelli, Milano 2008), la radice di poiein, il verbo greco da cui discende il termine poeta è proprio fare, “creare dal nulla con la mani”.
Oggi la matrice di un’attività manifatturiera colta torna ad essere un pensiero, una visione del mondo, una capacità di decifrarlo e rappresentarlo, di cui l’intelligenza artificiale è strumento ma anche linguaggio e regola.
La dimostrazione di quanto ciò sia vero è il processo di miniaturizzazione dei dispositivi-digitali. Pensiamo prima al personal computer e poi allo smartphone, che hanno permesso ad ognuno di noi di poterci muovere, singolarmente e agevolmente nella ragnatela di opportunità e occasioni che la rete propone, diventando di fatto artigiani della nostra immagine, reputazione e attività.
Pensate oggi una qualsiasi attività artigiana senza quello straordinario supporto di memoria, connessione e comunicazione che è il telefonino, cosa sarebbe? Che speranze avrebbe di sintonizzarsi con una clientela senza più mobile nello spazio e nella volubilità dei gusti?
Possiamo dire che esista uno stile, una competenza, un sapere artigiano nel giostrare connessioni digitali.
L’Intelligenza artificiale, nelle diverse versioni, di cui la più popolare oggi è Chat GPT, è un ulteriore accelerazione di questa tendenza individualistica.
Lo standard Chat GPT, giunta alla sua 4° release, di proprietà di Microsoft, rende accessibile ad ogni persona, di qualsiasi formazione o attività, una potenza di calcolo che solo fino a qualche mese fa era di assoluta prerogativa di grandi apparati pubblici o di grandi gruppi privati.
Improvvisamente ogni individuo si trova ad integrare, ad aumentare, come si dice oggi, la sua forza operativa grazie a questa smisurata conoscenza.
Lo aveva previsto quel grande artigiano dell’innovazione preziosa che era Adriano Olivetti che nel lontano novembre del 1959, proprio anticipando la Programma 101, il primo vero personal computer che stava progettando in quei mesi, così descriveva il futuro informatico del lavoro degli artigiani italiani “…sottratto alla più faticosa routine, dotato di strumenti di previsioni, di elaborazione e di ordinamento, prima inimmaginabili, il responsabile di qualsiasi attività tecnica, produttiva, scientifica, può ora proporsi nuove, amplissime prospettive”.
Una straordinaria visione profetica, tipica però di chi viveva proprio gomito a gomito con un tessuto di botteghe e intraprendenti professionisti della precisione.
Oggi questa magia di disporre di “strumenti di previsioni, di elaborazione e di ordinamento“ come scandiva al suo tempo Olivetti, si chiama big data, il cosidetto petrolio del nuovo millennio, che ci permette di prevedere, elaborare e ordinare le nostre attività. La presenza dei dati sta mutando le condizioni di competizione sul mercato: vince chi li riconosce, li raccoglie e li elabora.
Come spiega Lev Manovich nel saggio Cultur Analysis (Cortina editore, Milano 2023), “la differenza del nostro tempo è l’interattività che porta ogni individuo a manifestare la propria natura, i propri desideri, le proprie necessità rendendo calcolabile la relazione sociale con lui”. Questa risorsa diventa la base dell’intelligenza artificiale, che si realizza proprio nella calcolabilità di questi infiniti serbatoi di dati che profilano ognuno di noi.
Chat GPT esiste, possiamo dire, perché esiste un mondo parallelo dove confluiscono tutte le informazioni che la nostra vita digitale genera e che vengono elaborate e riconosciute da possenti algoritmi.
Ma, possiamo anche convenire, di conseguenza, che ogni singolo individuo, tramite un uso consapevole di queste funzioni intelligenti è in grado di mappare e riconoscere il suo microcosmo: i suoi fornitori, i suoi clienti, i suoi collaboratori, i suoi interlocutori.
L’intuizione artigiana sui gusti e le tendenze diventa una pratica professionale irrobustita e documentata dai big data.
L’intuizione artigiana sui gusti e le tendenze diventa una pratica professionale irrobustita e documentata dai big data
Ma la disponibilità di un agente artificiale che rispondendo alle tue domande, come capita a Chat GPT di Microsoft o a Bard di Google, certamente supporta e orienta l’evoluzione della bottega artigiana, comporta comunque rischi di omologazione, a comportamenti e procedure che sono insite nel modello tecnologico e dall’altro rendono la propria dotazione di dati, il patrimonio di informazioni che orchestriamo come nodo di una rete commerciale o professionale alla mercé della piattaforma che ci ospita.
Per questo sarebbe il caso che gli artigiani si ricordassero della cosiddetta sindrome di Benvenuto Cellini.
Nel XII° secolo infatti gli orafi cominciarono a prendere possesso dell’intero ciclo della produzione, integrando il lavoro in fonderia per colare l’oro con i disegni che divennero sempre più prescrittivi e originali.
Si apriva così il percorso ad una centralità dell’autore rispetto all’oggetto. La consacrazione della firma, della personalizzazione del prodotto avvenne nel pieno del rinascimento, attorno al 1540 con la saliera di Benvenuto Cellini che creò forse il primo vero brand artigiano.
Oggi ci troviamo in una circostanza in cui bisogna tornare a congiungere disegno e fonderia, dando all’artigiano competenze e saperi per rimodellare i sistemi di intelligenza artificiale, rendendoli affini alla propria sensibilità e interesse.
Una strategia che non ha bisogno di specializzate abilità informatiche. Infatti, proprio le capacità di auto programmazione che hanno sviluppato i sistemi come Chat GPT, che agiscono su indicazioni espresse in linguaggio naturale, li porta a supplire le funzioni direttamente informatiche ed a trasferire il valore aggiunto della programmazione alla committenza, all’azione dell’autore che fissa i valori etici, le modalità relazionali, lo stile narrativo a cui si deve attenere il meccanismo.
Esplode qui la cultura della domanda rispetto a quella tradizionale della risposta: non è più la corsa a formulare la risposta più efficacie ai singoli quesiti a farci vincere, come è stato fino ad oggi, quanto la capacità di porre domande adeguate, prescrittive, discriminanti, che determina la nuova valorizzazione delle singole professioni o mestieri. ma le opzioni sono ancora più radicali. La Fondazione Mozilla, uno dei principali e più prestigiosi gruppi che ha sempre lavorato sulla valorizzazione dell’open source rispetto ai software proprietari, oggi lancia un progetto per riprogrammare i sistemi intelligenti in rete, mediante forme sussidiarie e cooperative.
Si tratta di supplire ai costi ingenti dell’addestramento privato degli agenti intelligenti con modalità associative che permettono una maggiore pertinenza e sensibilità del dispositivo sulle particolari esigenze linguistiche o culturali, o di gusto e sensibilità di una certa comunità o territorio.
L’intelligenza artificiale, così come la ricerca sanitaria o biologica, si propone così come una grande strategia corale, in cui, progressivamente i singoli operatori possono dargli forma e carattere senza dover subire domini o vincoli. E’ una sfida tutta da giocare sul terreno della formazione e della prototipazione dei linguaggi e delle relazione. Esattamente l’istinto primario di chi ha sempre trasformato l’esigenza specifica del singolo cliente in una soluzione unica ma condivisa, ossia appunto gli artigiani.
Si tratta, infatti, di reingegnerizzare i processi digitali basato sulle proprietà di machine learning, ossia sulla capacità del dispositivo di imparare dalle modalità di utenza e rispondere in maniera sempre più personalizzata alle esigenze della clientela.
Michele Mezza
Giornalista esperto di nuovi mass media, tecnologie digitali, multimedialità e internet, argomenti sui quali è autore di saggi e di contributi per varie testate giornalistiche: Limes, Problemi del Giornalismo, il manifesto, l'Unità, Reset.
Per anni titolare del corso di Teoria e tecnica dei nuovi media all'Università di Perugia, ha insegnato poi Tecnologie multimediali all'Università La Sapienza di Roma. Da gennaio 2003 ha tenuto un corso di giornalismo all'Università di Roma Tor Vergata e per un master su Giornalismo multimediale all'Istituto Suor Orsola Benincasa di Napoli. Nel marzo 2015 è diventato titolare del corso di Marketing e new media presso la facoltà di Culture digitali e della comunicazione dell'Università degli studi di Napoli Federico II (epidemiologia sociale degli algoritmi e dei big data)