I festeggiamenti per l’ottantesimo compleanno di Confartigianato Bergamo hanno rappresentato un’occasione unica per guardare al tema del lavoro artigiano da una prospettiva originale. Il neoeletto presidente, Lorenzo Pinetti, ha invitato all’assemblea annuale Gianmarco Beltrami, responsabile delle relazioni istituzionali di Dallara per raccontare il nesso profondo che lega il lavoro artigiano a un’impresa di successo con una forte presenza a livello internazionale. Ragionare sul caso Dallara ha rappresentato un’opportunità per riflettere sulle specificità del Made in Italy e sul legame, non scontato, fra una realtà di punta della Motor Valley emiliana e un saper fare rigorosamente declinato al futuro.

 

Dallara produce auto da competizione (unica eccezione la “Stradale” con cui Beltrami si è presentato alla fiera di Bergamo). L’azienda si è concentrata da sempre sui telai evitando di produrre le “parti calde” del veicolo. Ha circa novecento dipendenti, una forte proiezione internazionale, una determinazione particolare nel promuovere ricerca di punta in materia di progettazione e nuovi materiali. Il suo successo è legato alla capacità di sviluppare un’offerta su misura. E’ il fornitore unico delle automobili che partecipano al circuito IndyCar, produce vetture per la Formula 2, per la Formula 3 e per altri campionati di rilievo internazionale, Non meno importante la sua collaborazione con grandi marchi come Ferrari e Bugatti per cui sviluppa modelli originali.

 

Questa capacità di produrre prototipi in scala – l’ossimoro è intenzionale – è il risultato di una cultura dell’innovazione che rispetta il lavoro, che promuove gli ingegneri che sviluppano i modelli matematici per la simulazione delle auto in pista così come i sarti e le sarte che tagliano e modellano i materiali compositi per la realizzazione dei telai. Dallara è la dimostrazione che è possibile saldare assieme ricerca e lavoro artigiano attraverso modelli di crescita che puntano a promuovere il potenziale dei singoli. E’ la prova che si può crescere dimensionalmente senza per questo perdere la propria cifra distintiva e il proprio legame con il territorio. E’ la dimostrazione che una particolare cultura del lavoro è pienamente compatibile con l’innovazione tecnologica e con sfide di mercato sempre più ambiziose.

 

Festeggiare un compleanno importante ragionando sul caso Dallara non è un fatto scontato. I media nazionali e internazionali parlano d’altro. Ci stiamo abituando a una crescita economica che prescinde dalla crescita delle persone, dallo sviluppo dei talenti, dal radicamento delle imprese nella società. Per molti l’accumulazione di fortune (in alcuni casi enormi) passa attraverso meme coins, chatbot che si confondono con fidanzate/i, finanza quantitativa. Mai come in questi anni guardiamo con sorpresa (e sgomento) alla distanza fra economia e società. Troviamo abbastanza normale che delle imprese su cui investiamo i nostri risparmi siano le stesse a mettere in pericolo la salute mentale dei nostri figli. Quando ascoltiamo il percorso avviato in questi anni da Dallara ritroviamo un’idea di crescita che si salda alla passione di una comunità, riconosciamo il lavoro come forma di espressione individuale e collettiva, guardiamo al management come strumento al servizio di una varietà di soggetti (non solo gli azionisti).

Per gli artigiani che hanno partecipato all’assemblea di Bergamo, il confronto con il caso Dallara ha rappresentato l’occasione per riflettere su un modello di crescita ambizioso quanto rispettoso della tradizione. Crescere in termini di dimensioni e di proiezione internazionale non significa necessariamente industrializzarsi (ovvero promuovere economie di scala e serialità nella produzione) quanto piuttosto adottare un modello manageriale in grado di valorizzare al meglio le proprie competenze distintive. La cultura del lavoro che Giampaolo Dallara continua a promuovere nella sua azienda è legata alla valorizzazione delle virtù cardinali dell’uomo artigiano: curiosità, voglia di sperimentare, desiderio di apprendimento. Bene ha fatto il presidente Marco Granelli a ricordare che questo valore artigiano costituisce un tesoro da riconoscere e promuovere per impostare un percorso di crescita che oggi vediamo come possibile e, spesso, come necessario. Questo percorso merita una cultura gestionale al passo coi tempi e un’attenzione alla ricerca e alla sperimentazione che l’esperienza Dallara conferma essere un tratto caratteristico delle imprese italiane.


Stefano Micelli

Stefano Micelli

Stefano Micelli è Direttore del Master in Manager’s development Program e Professore di Economia e Gestione delle Imprese all’Università Ca’ Foscari Venezia.
Dedica gran parte della sua attività di ricerca al tema della trasformazione del sistema economico italiano con un’attenzione particolare all’evoluzione dei settori manifatturieri.
È presidente esecutivo di Upskill 4.0, spin-off di Università Ca’ Foscari Venezia, costituito come Start Up Innovativa e come Società Benefit. È membro dell’Advisory Board Italy di UniCredit e presidente dell’Advisory Board Nord Est di UniCredit.
È membro del comitato scientifico di Symbola. È autore di diversi articoli e volumi fra cui: “Futuro Artigiano” (Marsilio) e “Fare è innovare. Il nuovo lavoro artigiano” (Il Mulino).
Conduce il progetto ITS 4.0 che propone a tutte le Fondazioni a cui fanno capo gli ITS un nuovo programma formativo-professionale che avvicina scuole e imprese sui temi del 4.0

SPIRITO ARTIGIANO

Un progetto della Fondazione Manlio e Maria Letizia Germozzi onlus

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