Di questi tempi, quando riprende la stagione delle fiere, riprende la riflessione sul design e sulla produzione in grande serie di quegli oggetti che grazie a essa possono essere offerti sul mercato in grande scala.
Forse non è inutile ricordare che la bellezza di oggi è il frutto anche dell’innovazione creativa di un grande pensatore di cui pochi hanno memoria e che invece è straordinariamente attuale, proprio grazie alle sue contraddizioni e alle sue intuizioni che ci parlano ancora oggi.
Mi riferisco a William Morris: intellettuale socialista inglese che visse in Gran Bretagna tra l’inizio e la fine dell’Ottocento e che è considerato il pioniere dell’architettura moderna e del “disegno industriale”.
“Disegno” così chiamato per le potenzialità che le macchine offrivano – con la produzione in serie – di poter coniugare l’arte e quella ch’io definirei la ”riproducibilità democratica della bellezza”. Ciò era reso ed è possibile, tanto più oggi, grazie alla produzione di massa di opere belle, educatrici, creatrici di cultura e di amore per il bello
“Disegno” così chiamato per le potenzialità che le macchine offrivano – con la produzione in serie – di poter coniugare l’arte e quella ch’io definirei la ”riproducibilità democratica della bellezza”. Ciò era reso ed è possibile, tanto più oggi, grazie alla produzione di massa di opere belle, educatrici, creatrici di cultura e di amore per il bello. Morris guardava alla riattualizzazione e non alla distruzione delle forme classiche dell’arte e dellacreazione poetica e pittorica. L’avvento dell’industria solo apparentemente distruggeva il passato: consentiva, invece, una sua “riattualizzazione in grande massa” in forme e tipologie dettate dai nuovi materiali e dal nuovo macchinismo.
Dinanzi alla nascente rivoluzione industriale Morris e i suoi seguaci – prima di Oxford e poi in tutto il mondo – affrontavano la nuova dimensione che si poneva dinanzi alla creazione artistica, nel cuore dell’avvento del capitalismo industriale, con fiducia: fiducia nelle capacità umane di ricreare – nella produzione di serie – la bellezza. Quella bellezza raggiungibile un tempo solo nel pezzo unico dell’artigiano medievale e rinascimentale, e ora invece disponibile a tutti grazie al macchinismo e alla “riproducibilità tecnica”, come la chiamò – in altro contesto – Walter Benjamin. Per questo Morris è il padre del disegno industriale: fu uno dei primi artisti a creare prototipi che artigiani e professionisti potevano riattualizzare usando i più diversi materiali.
Un’innovazione creativa che giunge sino alla lavorazione attraverso il laser e la meccanica non più per estruzione ma per aggiunta, come accade oggi con la cosiddetta industria 4.o.
Di qui, in Morris, una dimensione teorica paradossale: amava il passato e la natura e teorizzava che entrambi fossero in netta contrapposizione con la rivoluzione industriale, mentre, in pratica, offriva a tale rivoluzione l’occasione di dare al lavoro artigianale con le macchine, nelle macchine e per le macchine, la guida della bellezza: erano proprio le macchine ed il loro uso, guidato dalla creazione artistica, ad offrire una nuova prospettiva di bellezza al mondo moderno
Una lezione che sempre si rinnova se, sempre, all’inizio del processo si pone la creatività soggettiva della persona: è quello che chiamiamo, appunto, Spirito artigiano.
Giulio Sapelli
Giulio Sapelli, già Professore ordinario all’Università degli Studi di Milano ed editorialista, unisce economia, storia, filosofia, sociologia e cultura umanista in una sintesi originale e profonda. Ha insegnato in Europa e nelle Università delle due Americhe, in Australia e Nuova Zelanda. I suoi lavori sono stati tradotti in tutto il mondo.
E’ Presidente della Fondazione Germozzi ed è impegnato a valorizzare il concetto di Valore artigiano, che è forza di popolo, di persone e di imprese legate da uno spirito unico, il quale esprime la vocazione originaria incline alla creatività e all’amore per la bellezza.