
«La “bella Italia” non è più quella che si racconta nelle cartoline, nelle guide turistiche o nelle retoriche dei festival dedicati al Made in Italy. Borghi incantati, valli e città storiche, un tempo custodi di saperi e tradizioni, oggi vivono sotto il peso di un’inedita fragilità sociale ed economica».
Il problema non riguarda solo la loro bellezza paesaggistica o il patrimonio culturale, ma la capacità concreta di garantire alle nuove generazioni un progetto di vita stabile, radicato nei luoghi, fatto di casa, lavoro e comunità. Questo diritto, fondamento di qualsiasi società sana, si sta erodendo sotto le pressioni di un modello economico che premia solo i territori già attrattivi, lasciando indietro gran parte delle aree interne.
«Il nodo centrale della questione è la casa. Non più solo una questione di disponibilità, ma di accessibilità e sostenibilità. La crisi abitativa, storicamente associata alle grandi città, si è allargata in modo sorprendente e quasi simultaneo a università, città medie e località turistiche, fino a raggiungere le comunità montane e rurali»
In Val di Fiemme, per esempio, la mancanza di alloggi per infermieri, agricoltori e lavoratori locali compromette l’economia e la vita della comunità. Lo stesso modello economico, basato sull’abitare come strumento di reddito e speculazione, si applica tanto a Milano quanto a Lecce, Napoli o Cagliari. L’abitare diventa un bene di consumo, sacrificando il diritto fondamentale di avere un luogo in cui costruire relazioni, fare famiglia e avviare progetti di vita.
Il progetto di vita delle nuove generazioni risente di questa crisi: la possibilità di radicarsi, di lavorare vicino a casa o all’università, di iniziare un’attività imprenditoriale o semplicemente di formare una famiglia diventa un privilegio riservato a pochi. Le aziende, di conseguenza, soffrono la mancanza di personale qualificato, formato nei migliori atenei e costretto a migrare verso città o Paesi che offrono condizioni abitative e opportunità migliori. La difficoltà di trovare lavoro, casa e radicamento costituisce una stretta che si ripercuote sulla competitività economica dell’intero Paese.
Oggi i territori italiani sono dominati dalla logica dell’attrattività per il capitale, più che dalla capacità di garantire qualità della vita ai residenti. Le città non sono più luoghi in cui vivere, creare e innovare, ma scenari da valorizzare per investimenti e turismo. Questo crea una dicotomia drammatica: territori attrattivi, pronti a ricevere capitali e turisti, e territori sacrificati, destinati all’abbandono. Le città medie, le piccole imprese e le comunità locali, che per decenni hanno garantito coesione e sviluppo, sono oggi tra le più penalizzate. L’esito è un’Italia a più velocità, dove la stabilità degli abitanti stanziali e delle famiglie con bambini è subordinata alla capacità di attrarre capitali finanziari.
Anche il turismo, pilastro di molte economie locali, mostra i limiti di questo modello. Le aree storicamente attrattive, come le Cinque Terre o l’Emilia Romagna, si confrontano con oscillazioni improvvise nella capacità di accogliere visitatori. L’overtourism, il sovraffollamento e la saturazione dei luoghi mettono in crisi sistemi che fino a ieri sembravano efficaci e consolidati. La fiducia tra turisti, residenti e territori si deteriora rapidamente: quando si rompe questo patto di fiducia, la reputazione di un luogo cala e il danno è spesso irreversibile. Il web decide dove andare in vacanza, chi premiare e chi punire, e la geografia dei sommersi e dei salvati cambia di anno in anno, creando instabilità e confusione.
Il problema va oltre l’estetica o la dimensione economica: riguarda la relazione tra abitus e habitat, tra le persone e i luoghi in cui vivono. Ogni borgo, città o valle custodisce conoscenze, competenze e tradizioni che non possono essere prefabbricate o standardizzate. La perdita di queste relazioni mette a rischio ciò che rende l’Italia unica: capitale culturale, artigianale e spirituale. La fragilità dei territori non è solo fisica, ma sociale: senza cura dei legami e della comunità, il Paese rischia di diventare un territorio anonimo, incapace di valorizzare la propria storia e la propria identità.
Parallelamente, alcuni territori marginali rischiano di essere sovrascritti da logiche estrattive e globalizzate, che arrivano sotto forma di logistica, grandi piattaforme, resort o infrastrutture commerciali. La valorizzazione dei luoghi diventa sfruttamento, e le comunità si trovano a subire pressioni economiche senza poter influire sulle decisioni. Amazon e altre piattaforme digitali rappresentano un esempio concreto: acquistano territori, capitalizzano sugli spazi e sulle persone, imponendo dinamiche di mercato che spesso escludono la comunità e riducono il radicamento locale.
In questo contesto, la risposta non può essere importata dai modelli anglosassoni o americani, centrati su efficienza, profitto e attrattività globale. Serve una prospettiva mediterranea, basata sulla cooperazione, sulla tradizione e sul legame con i luoghi e le comunità. La leadership deve saper coniugare creatività e saper fare, rispetto per la storia e apertura all’innovazione, cooperazione e dialogo, capacità di valorizzare ciò che è locale senza rinunciare alla dimensione globale. Dal Mediterraneo, culla di civiltà e di pratiche sociali virtuose, può emergere una risorsa di competenze morali e immaginative in grado di guidare scelte di sviluppo sostenibile.
«Il radicamento nei luoghi è quindi un atto strategico: proteggere la casa, le relazioni sociali, la comunità significa tutelare la capacità italiana di innovare e di competere, preservando le specificità culturali, storiche e artigianali che rendono il Paese unico».
La bellezza dei territori non è solo estetica: è relazionale, culturale, economica e spirituale. Solo mettendo al centro l’abitare, il radicamento e la comunità si può resistere alla pressione dei modelli globalizzati, costruire un futuro sostenibile e valorizzare l’Italia come luogo in cui vivere, lavorare e creare.
Infine, la minaccia della “tabula rasa” planetaria, dal turismo selvaggio ai resort costruiti sulle rovine del mondo, ci ricorda quanto fragile sia il legame tra sviluppo economico e qualità della vita. La distruzione dei luoghi per fini speculativi, sia locali che globali, rende evidente la necessità di un approccio che non si limiti a valorizzare il capitale o il profitto, ma che tuteli la dimensione umana, sociale e culturale dei territori. La sfida consiste nel recuperare la centralità del luogo e della comunità, difendendo l’Italia da logiche che riducono i territori a semplici strumenti di sfruttamento.
In questo quadro, la leadership, le istituzioni, le imprese e le comunità devono reimparare a guardare ai territori con occhi diversi: non come piattaforme da monetizzare, ma come laboratori di vita, di cultura e di saper fare. La capacità di valorizzare la “bella Italia” risiede nell’intreccio tra tradizione e innovazione, tra radicamento e apertura, tra cura dei luoghi e sviluppo sostenibile. Solo così si può garantire alle nuove generazioni la possibilità di costruire progetti di vita reali, ancorati a una comunità e a un territorio, capaci di dare senso e futuro al Paese.

Elena Granata
E' docente di pianificazione urbana e territoriale al politecnico di Milano. I suoi studi si concentrano su città, territori e sviluppo sostenibile, con particolare attenzione a casa, abitabilità e radicamento delle comunità. Ha pubblicato numerosi saggi su pianificazione urbana, politiche abitative e modelli di sviluppo locale, esplorando le connessioni tra luoghi, economia e qualità della vita.