Alla fine degli anni ’60, la ricerca dello psicologo Abraham Maslow mise in evidenza l’evoluzione delle sensibilità culturali che nascevano nel momento in cui le società avanzate accedevano a un livello di benessere materiale diffuso. Al vertice della piramide dei bisogni, lo psicologo americano aveva posto la dimensione post-materialista. Erano quelli gli anni in cui cominciava a diventare chiaro che i beni materiali in quanto tali – quelli che erano stati al centro della società dei consumi negli anni ’50 e ’60 – non bastavano più. E che, in particolare, le nuove generazioni guardavano con interesse a nuove dimensioni esistenziali. In particolare alla questione dell’autorealizzazione, destinata a divenire il cardine su cui si è poi sviluppata la modernità liquida.

A cinquant’anni di distanza non disponiamo di una sintesi così chiara come quella di allora. Tuttavia, ci sono degli indicatori che si possono utilizzare per dire che il passaggio di cui stiamo parlando in questa fase storica non riguarda più tanto la dimensione materiale, ma quella relazionale.

È possibile infatti osservare che ciò che sta affiorando è la domanda di beni post-individualistici.
Una prima indicazione viene da una ricerca internazionale svolta nel 2023 da BCW su un campione di 36.000 persone in 30 Paesi. La ricerca ha preso in esame i valori universali di base, misurandone poi la correlazione nel determinare i comportamenti. Dalla ricerca emerge la distanza tra i valori dei governi e quelli dei loro cittadini. Secondo il rapporto, i primi tre valori globali sono benevolenza (che ci motiva a promuovere il benessere delle persone con cui siamo in contatto frequente); universalismo sociale (che ci motiva a promuovere la comprensione, l’apprezzamento, la tolleranza e la protezione di tutte le persone nella società); e sicurezza (che ci motiva a promuovere la sicurezza e la stabilità personale e sociale). Ma, sorprendentemente, la stessa ricerca rivela che solo un quarto delle persone intervistate in tutto il mondo (25%) afferma di essere fortemente d’accordo sul fatto che le politiche e i programmi dei propri governi siano in linea con questi valori.

Uno studio proposto da Eumetra evidenzia altri risultati interessanti.
Detto che la cultura contemporanea è disomogenea e vede convivere sensibilità e atteggiamenti molto diversi, la ricerca mette in luce il superamento della classica contrapposizione tra benessere personale e bene comune.
Secondo lo studio, oggi la posizione classica, centrata sulla dimensione egocentrica, non è più prevalente. Ad affermarsi è invece la ricerca di una nuova armonia mirante a creare un’integrazione positiva tra il benessere personale e la centratura sugli altri. I gruppi che ricercano tale armonia sono la maggioranza relativa e vengono stimati nel quadro della ricerca intorno al 35% della popolazione italiana. Ciò vuol dire che nella cultura contemporanea esiste ormai una base significativa di persone che si rendono conto che non c’è una netta contrapposizione tra interesse individuale e benessere collettivo, tra l’attenzione al proprio interesse e il riconoscimento dei bisogni altrui. Siamo cioè in una fase di transizione dall’egocentrismo al benessere armonico, che in alcuni casi arriva fino alla disponibilità al sacrificio. Non stiamo dicendo che nella società contemporanea abbiamo risolto quello che è da sempre un problema di fondo della vita sociale. Più semplicemente si nota che c’è un’evoluzione, tanto più interessante in quanto è positivamente associata alla possibilità di ingaggiarsi nella vita professionale e sociale.

A conferma di queste indicazioni ci sono le tante ricerche che negli ultimi anni hanno mostrato che la sostenibilità si afferma sempre di più come un valore di riferimento, soprattutto tra le nuove generazioni. Il tema ovviamente rimane controverso, soprattutto per i costi che la transizione comporta. Ma questo non deve far perdere di vista il punto:

 

soprattutto i giovani pensano che il cambiamento climatico debba essere una priorità e che la giustizia ambientale riguardi la salvaguardia del pianeta e la salute delle persone. Essi sono consapevoli degli effetti differenti del climate change sulle diverse generazioni e sono più propensi a impegnarsi attivamente una volta che riconoscono la correlazione fra i due fenomeni.

 

Una ricerca svolta da First Insight nel settore della moda dice che la Gen Z chiede un cambiamento e vuole che siano i grandi marchi ad aprire la strada. Come consumatori desiderosi di valore, gli Zoomer sono alla ricerca di significati che vadano oltre i propri acquisti personali e la propria vita lavorativa. La Generazione Z, come i Millennial, è maggiormente incline a prendere decisioni di acquisto in base a questi valori. Tre consumatori su quattro della Generazione Z preferiscono i marchi sostenibili e sono persino disposti a spendere un ulteriore 10% in più per prodotti ecologici.

Un ultimo dato che può essere portato a sostegno di quanto stiamo affermando viene dalla ricerca internazionale che misura il livello di felicità nei vari Paesi. Sappiamo che questa ricerca è controversa: usare il termine “felicità” è rischioso. Forse sarebbe più prudente usare l’espressione “soddisfazione”. Ma, al di là dei dubbi metodologici, è pur vero che si tratta di una ricerca ormai consolidata a livello internazionale, capace di mettere in luce alcuni elementi sistematicamente dimenticati dal pensiero mainstream.

In primo luogo, la felicità ha a che fare con l’attivazione personale, cioè con l’ingaggio. E su questo non dovrebbero esserci dubbi. Nella misura in cui il processo di emersione dell’io libera il desiderio di altro, è solo quando riusciamo a metterci in relazione con qualcosa che va al di là di noi stessi che ci sentiamo nel pieno flusso della vita. Come confermato dagli studi di Mihaly Csikszentmihalyi, le persone sentono piacere e coinvolgimento quando sono completamente assorbite da un’attività che richiede un equilibrio tra abilità e sfida. La flow experience è descritta come uno stato di concentrazione ottimale, in cui un individuo si immerge completamente in un’attività, perdendo la percezione di sé stesso e del tempo circostante. Per riuscire a sviluppare quel senso di soddisfazione che è alla base della felicità, le esperienze di consumo si rivelano inadeguate, soprattutto per quella parte della popolazione che ha livelli di educazione ed esperienze professionali di maggiore qualità.

La seconda conclusione è che questa attivazione esprime tutte le sue potenzialità quando si lega al perseguimento di un obiettivo dotato di senso, per di più condiviso con altri. Per chiarire questo punto: l’ingaggio avviene anche quando si gioca d’azzardo, una piaga sociale che in Italia fattura 150 miliardi di euro. Ma il gioco d’azzardo non genera senso né legame. Al contrario, esso viene praticato tendenzialmente in solitudine e aumenta l’esclusione. Molto diverso è quando affrontiamo un problema, risolviamo una situazione difficile o realizziamo qualcosa di bello insieme ad altri. Quando cioè generiamo un senso che riguarda noi e anche gli altri. Anche in questo caso la felicità aumenta, ma il suo impatto sociale è ben diverso. D’altro canto, la psicologia sperimentale ha dimostrato che la personalità che ottiene maggiori livelli di soddisfazione è quella che viene chiamata “otherish”, capace di creare un mélange positivo tra l’attenzione a beneficiare gli altri e il perseguimento di obiettivi propri (Grant, 2013:157). La soddisfazione ha a che fare con la capacità di fare la differenza, cioè di segnare il proprio passaggio nel mondo con una traccia riconosciuta da altri.

Infine, la felicità non è legata solo alla volontà del soggetto, ma dipende dalle condizioni del contesto: dall’ecosistema culturale e istituzionale. Se esistono regole che vengono rispettate, sanzioni contro chi le trasgredisce, fiducia nel rapporto con le istituzioni. Tutte condizioni che rendono più plausibili i primi due elementi della felicità. Questo aspetto è, tra l’altro, la ragione che spiega perché, nelle ricerche citate, alcuni Paesi del nord Europa (Finlandia, Svezia, Danimarca) risultano in cima alla classifica internazionale.
In sostanza, queste ricerche ci dicono che la soddisfazione post-individualista e post-materialista costituisce una tappa ulteriore dello sviluppo umano. Una tappa che rimane ancora da realizzare, ma che cominciamo a intravedere.
Tutto ciò dà conto di una cultura relazionale emergente che, pur senza essere maggioranza, costituisce una componente molto rilevante delle nuove culture giovanili.

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