Immaginare la figura dell’artigiano ha a che fare con una dimensione di perenne Rinascimento. No, non sono solo le suggestioni che si colgono scorgendo i dettagli dei pittori quattrocenteschi in cui botteghe e mestieranti spesso sono così nitidi da coabitare il primo piano dei protagonisti. Se il Rinascimento, nella sua accezione più ampia, ha significato bellezza e al contempo innovazione, si può dire che l’artigiano n’è oggi la quintessenza. “Gli artigiani sono grandi innovatori, anche grazie alla dimestichezza e alle capacità che hanno saputo sviluppare in ambito tecnologico. Al contempo, sono i custodi di una tradizione che solo il nostro Paese può vantare e che costituisce un’eccellenza mondiale: il Made in Italy”. Una dimensione che si muove su un doppio binario, che dal passato proietta verso il futuro.

 

L’analisi è di Carlo Pelanda, docente di geopolitica economica all’Università Guglielmo Marconi e consulente strategico di molteplici realtà internazionali (per approfondire).

 

Pelanda, qual è il ruolo dell’artigiano nella società dell’oggi ai suoi occhi?

«La figura dell’artigiano in Italia assume una duplice veste. Una più prettamente economica e un’altra più squisitamente socio-culturale. Mi spiego. Gli artigiani, nella storia del nostro Paese, hanno saputo essere e sono tutt’ora la vera spina dorsale del sistema economico. Hanno conservato e portato avanti una tradizione che è proseguita ed è diventata caratterizzante. Insomma sono stati capaci di resistere alle rivoluzioni industriali quasi esclusivamente grazie alle loro competenze. Questo li rende un elemento prezioso, anche se non sufficientemente ancora valorizzati».

 

In che modo renderli più ‘centrali’?

«L’artigiano, come detto, è portatore di competenze specifiche, innovative e peculiari. Ed è per questo che, anche dal punto di vista normativo e burocratico andrebbe sostenuto. La tutela della piccola impresa dovrebbe essere al centro di ogni agenda politica. Chi tende a privilegiare solo i grandi raggruppamenti industriali, specie in una realtà economica come quella italiana, denuncia una grande miopia».

 

Spesso si tende ad individuare nella piccola impresa un elemento di debolezza in termini di competitività per il nostro Paese. E’ d’accordo?

«Spesso, a fronte di un mercato interno che deve fare i conti con grandissimi player industriali (anche perché l’artigianato italiano è un unicum), la piccola dimensione delle aziende può oggettivamente costituire un gap. Ma ciò che si sbaglia è l’approccio. Non è ‘colpendo’ le piccole imprese che si risolve la competitività del Paese. La sfida, al contrario, deve essere quella di rendere ‘grandi’ gli artigiani e dare loro più capacità La tendenza deve essere quella di incoraggiare la piccola impresa evitando che i piccoli artigiani vengano inglobati nei grandi colossi industriali».

 

Come rafforzare la competitività delle piccole imprese?

«Senz’altro l’introduzione e la dimestichezza con le nuove tecnologie sono punti importanti che danno la capacità alle imprese artigiane di sviluppare al massimo il loro potenziale. La tecnologia genera, se ben inserita nelle capacità produttive delle piccole imprese, una sorta di effetto moltiplicatore. Anche su questo, però, al di là di individuare in quali settori dell’artigianato la tecnologia possa in effetti essere impiegata al meglio, occorrerebbero incentivi per l’acquisto di nuovi materiali che spronino gli imprenditori a servirsene ancor di più rispetto a quanto già accade. D’altra parte ai corpi intermedi spetta il compito di sensibilizzare gli artigiani in questo senso».

 

Come vede lei il futuro dell’artigianato?

«Il futuro dell’artigianato è il futuro del Made in Italy. Un brand di successo mondiale. Prevedo e auspico che sia positivo perché da parte delle imprese artigiane esiste una capacità di produrre qualità superiore alla grande impresa che, al contrario, produce cose per lo più standardizzate. C’è però una questione sulla quale occorre che le imprese artigiane profondano il loro impegno».

 

A che cosa si riferisce?

«Le imprese artigiane devono acquisire più consapevolezza sul piano della cultura finanziaria. Si deve, insomma, rinforzare sul piano del capitale e del credito bancario. La chiave di volta sarebbe quella di individuare una forma di società di capitale tarata sulle imprese di piccole dimensioni».