L’altra via per arrivare a incrociare la domanda e l’offerta. Il problema della mancanza di manodopera, specie per le nostre imprese artigiane, è un tema serissimo che più volte è stato portato all’attenzione. Ed è centrale per garantire la competitività al Paese. Dunque è giusto interrogarci sul modo migliore per arrivare a rendere appetibili alcune professioni che, differentemente da altre, non beneficiano di una copertura mediatica. Intendiamoci: programmi televisivi come Masterchef o simili hanno dato un risalto senza precedenti alla professione di cuoco. Pardon, di chef come è in voga dire nei salotti televisivi. Per cui la domanda è: quanto può incidere la comunicazione nell’avvicinare i giovani (e non solo) ai mestieri? Ma, soprattutto, qual è il modo migliore? Di questo e molto altro abbiamo parlato Massimiliano Panarari, sociologo della comunicazione, saggista, consulente di comunicazione politica e pubblica, docente Luiss, Bocconi e Unimercatorum editorialista su La Stampa e su altri quotidiani.

Panarari è possibile ‘misurare’ l’impatto che la comunicazione ha sull’avvicinare le persone ad alcuni mestieri?

«E’ difficile stimare l’impatto concreto di alcuni fenomeni comunicativi, come ad esempio le trasmissioni televisive, sulle ricadute pratiche in termini di avvicinamento a determinati tipi di professioni. Tuttavia, il tema della comunicazione è chiaramente centrale specie nella fase di ‘avviamento’ verso determinati tipi di carriera».

Dunque programmi televisivi come Masterchef possono avere un impatto positivo?

«Diciamo che alcuni format come Masterchef possono provocare nei telespettatori una forma di emulazione e una polarizzazione verso un certo tipo di mestiere. D’altra parte, la mancata proiezione e visibilità per altri mestieri provoca una perdita di appeal o, ancor peggio, una non conoscenza assoluta di determinati lavori».

L’artigianato in questo senso come si colloca?

«Diciamo che se l’artigianato in senso ampio fosse più presente sui media, anche con format dedicati, avrebbe senz’altro un aspetto conoscitivo importante. Illuminerebbe molti giovani sulle potenzialità e sull’apporto creativo che i mestieri artigiani hanno. Oltre, ovviamente, ad aprire la strada a opportunità economicamente soddisfacenti specie in certi ambiti».

Dunque lei sostiene che se l’artigianato fosse più presente sui media si potrebbe meglio incrociare la domanda con l’offerta in termini di posti di lavoro?

«Senz’altro forare il tetto di cristallo della mancata conoscenza attraverso una presenza più massiccia sui media aiuterebbe se non altro a conoscere alcune professioni e, ripeto, molte potenzialità per lo più inespresse. Ma soprattutto chiarirebbe una volta per tutte ai giovani un concetto: nell’artigianato c’è spazio anche per loro. Anzi, direi soprattutto per loro».

Per percorrere questa strada secondo lei quale sarebbe la via più efficace?

«E’ un tema molto complesso, che rimanda a un altro tema: occorre considerare la comunicazione come parte integrante del proprio mestiere anche da parte degli artigiani. Un aspetto che, storicamente, non appartiene a questa categoria».

Ma è una sfida che si può vincere.

Certo, il nodo vero è rappresentato dalla ‘targhettizzazione’. Cioè allo sforzo di individuare mezzi efficaci per arrivare alle categorie di persone – i giovani in special modo – che più sono interessate a ciò che si sta veicolando. Serve, insomma, un processo di ‘rietichettatura’ delle professioni artigiane in modo da renderle appetibili e smontare i tanti pregiudizi che ancora permeano la considerazione di questi mestieri. Se si supereranno questi pregiudizi, il risultato sarà doppiamente positivo. L’attenzione dei giovani crescerà e le imprese scopriranno tantissimi talenti da immettere nel mondo del lavoro.

Si può fare.