
In ultima istanza ogni artigiano costruisce una storia; una storia fatta di prodotti, di materiali, di processi produttivi e di bisogni. E partendo dalla centralità delle storie concludiamo il nostro cammino dentro la bottega 5.0.
Il cuore del marketing è dunque raccontare storie che hanno al centro il cliente, e ciò è particolarmente vero per la cultura artigiana. Ciò che viene prodotto, infatti, è molto di più di un prodotto, di un insieme di funzionalità per svolgere un compito. È una storia: la storia dei materiali che lo compongono, la storia dei luoghi dove questi materiali sono stati trovati, la storia delle tecniche – tramandate di generazione in generazione (ma anche migliorate ad ogni passaggio) – grazie alle quali questa materia è stata trasformata in funzionalità e bellezza, e infine la storia dell’artigiano stesso che in qualche modo firma l’oggetto cedendo parte di sé.
E la presenza di queste storie è anche uno dei motivi per i quali i consumatori cercano prodotti artigiani. Talvolta queste storie emergono spontaneamente osservando il prodotto; altre volte vanno fatte emergere invocandole e dandole un supporto e un palcoscenico. La sfida, dunque, è fortificare questa abilità narrativa, questa arte di raccontare le storie, rendendola non solo più efficace ma trasferibile ad altri. In questo modo si innesca il passaparola, facendo sì che un prodotto trasformi il suo acquirente in cantastorie.
Forse l’origine del racconto delle storie risale ad un artigiano ante litteram. Racconta Carlo Ginzburg in Miti emblemi spie. Morfologia e storia: «l’idea stessa di narrazione (distinta dall’incantesimo, dallo scongiuro o dall’invocazione) nacque per la prima volta in una società di cacciatori, dall’esperienza della decifrazione delle tracce … Il cacciatore sarebbe stato il primo a «raccontare una storia» perché era il solo in grado di leggere, nelle tracce mute (se non impercettibili) lasciate dalla preda, una serie coerente di eventi».
Saper raccontare storie vuol dire riuscire ad affascinare gli altri legandoli tramite un filo incantato di parole che vengono liberate dalla loro funzione utilitaristica per creare significati nuovi. D’altra parte, come ha notato la poetessa Muriel Rukeyser, «l’universo è fatto di storie non di atomi».
La madre di tutte le storie è il cosiddetto “viaggio dell’eroe”. Detto anche monomito è, secondo l’antropologo Joseph Campbell, studioso di mitologia comparata e storia delle religioni, lo schema comune a cui si rifanno le storie di tutte le culture e i continenti fin dai tempi antichi. Questo concetto è stato poi ripreso ed elaborato dallo sceneggiatore Christopher Vogler, che lo ha fatto diventare lo strumento principe per chiunque – scrittore, sceneggiatore, pubblicitario, regista, … – voglia scrivere o contribuire a rappresentare una storia.
Il punto che ci interessa è che ogni storia ha al suo centro la figura dell’eroe, racconta cioè il suo viaggio, che viene scatenato da una crisi e si conclude con il ripristino dello status quo (generalmente in senso migliorativo). Se capiamo l’eroe e il suo scopo capiremo il mito, e se capiamo il mito capiremo qualcosa di più dell’uomo e, in ultima istanza, di noi stessi. Qui sta il potere e l’universalità delle storie ben scritte.
Ma un eroe ha sempre bisogno di un cattivo non solo per eccellere e per appassionare – tema molto noto anche ai comunicatori – ma soprattutto per esistere. Uno dei più efficaci retori americani, Carmine Gallo, lo dice con efficacia: “Tutte le grandi storie hanno un eroe e un cattivo (villain in inglese)”
Chi è allora il “villain” che l’eroe artigiano deve affrontare? Non si tratta ovviamente di personalizzare, di mettere una persona fisica alla berlina. Il cattivo delle storie non viene creato per motivi d’odio e disprezzo, ma perché attiva la storia, la rende dinamica e soprattutto permette all’eroe di agire ed essere celebrato; è dunque “al servizio dell’eroe”.
Il cattivo che minaccia il mondo artigiano non è tanto l’industria ma i prodotti di cattiva qualità, che deludono l’acquirente, danneggiano l’ambiente, e soprattutto sono oggetti anonimi senza storia.
Vorrei allora concludere questo breve percorso con una riflessione di Adriano Olivetti – un imprenditore dal cuore artigiano – che chiarisce ancora meglio questo tema: «Nella dura battaglia contro i colossi americani e tedeschi amiamo ricordare come similitudine i metodi e i mezzi delle battaglie navali: corazzate, incrociatori, torpediniere, navi grandi e navi piccole, nessuna da sola potrebbe vincere, tutte insieme fanno un corpo che è difficile abbattere. In questa similitudine la Lettera 22 è la piccola torpediniera che si infiltra dappertutto e le grandi contabili ed elettriche sono le corazzate che per vincere la loro guerra devono essere difese da una cortina di macchine più piccole e più agili.»
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Andrea Granelli
Andrea Granelli è presidente di Kanso, società di consulenza specializzata in innovazione e change management. Da diversi anni lavora su temi legati all’innovazione: è stato in McKinsey e successivamente amministratore delegato di tin.it e dei laboratori di ricerca del Gruppo Telecom. È in molti comitati scientifici e in commissioni di valutazione. È stato membro membro del Comitato di valutazione del CNR, direttore scientifico della scuola internazionale di design Domus Academy, presidente dell’Associazione Archivio Storico Olivetti e membro del Consiglio Nazionale del WWF. Ha co-fondato, con Flavia Trupia, PerLaRe, associazione per il rilancio della retorica e con Daniele Di Fausto, Marta Bertolaso, Elena Granata e Carlo Marini, Venture Thinking, Fondazione che si occupa di contribuire a ripensare e riprogettare i luoghi e gli spazi del lavoro non solo costruendo il nuovo ma soprattutto recuperano e rigenerando l’esistente. Ha inoltre curato la voce Tecnologie della comunicazione per la nuova enciclopedia Scienza e Tecnica della Treccani