Le previsioni delle Nazioni Unite sullo sviluppo urbano[1] indicano che nel mondo tra il 2018 e il 2030 la popolazione urbana che vive in città con almeno 300mila abitanti salirà del 29,4%. Il declino demografico attenua questo trend in Europa e in Italia. L’equilibrio tra la grande città e la provincia è uno dei tratti che caratterizzano l’Italia nel panorama europeo: secondo la classificazione del grado di urbanizzazione di Eurostat[2], in Italia il 47,7% della popolazione vive in città e periferie a densità intermedia, quota di 11,8 punti superiore alla media Ue mentre il 35,2% vive in città densamente popolate, quota di 3,7 punti inferiore alla media Ue, e il rimanente 17,1% vice in zone rurali, scarsamente popolate. Nelle città si concentrano le risorse immateriali, ma anche il consumo di suolo, mentre nella provincia si addensa la dotazione delle risorse naturali.
Una crescita delle attività nelle maggiori città pone in evidenza i forti limiti della qualità dei servizi pubblici offerti in Italia, oltre alla più difficile sostenibilità dei trasporti urbani e del patrimonio edilizio. L’analisi dei dati della Commissione europea sulla qualità della vita in 84 città europee[3], vede Palermo, Roma e Napoli agli ultimi tre posti per qualità del servizio di trasporto pubblico, mentre Torino si colloca al 71° posto, Verona al 70° posto e Bologna al 56°, la migliore tra le sei città italiane inserite nel monitoraggio. Nelle città italiane con oltre 200mila abitanti la quota di edifici costruiti prima del 1980 è dell’83,7%, oltre dieci punti superiore al 73,6% dei restanti comuni italiani, con ricadute negative sull’efficienza energetica e le emissioni climalteranti.
La crescita dell’attività nelle città richiede infrastrutture adeguate e interventi per garantire la sostenibilità in termini ambientali, sociali ed economici. Servono investimenti per favorire la crescita della produttività, la quale ristagna proprio nei servizi, maggiormente presenti nelle grandi città. Serve uno sviluppo armonico del mercato immobiliare che eviti gli squilibri tra domanda ed offerta, oltre a servizi sanitari e di pubblica utilità in grado di servire una ampia popolazione e favorire l’attività di imprese e lavoratori. Per qualità dei servizi sanitari, Roma è al 67° posto tra le 84 città europee, Napoli scende all’80° posto e Palermo all’81° e quart’ultimo posto. Per la pulizia della città Napoli è all’80° posto, Roma all’83° e penultimo posto mentre Palermo chiude all’84° e ultimo posto. Senza politiche che garantiscano una crescita armonica tra città e provincia, l’Italia rischia di non raggiungere gli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030.
Altre evidenze sottolineano la necessità di traiettorie di sviluppo equilibrato tra città e provincia. Nell’arco degli ultimi quattro anni, caratterizzati dalla pandemia nel 2020 e dalla crisi energetica nel 2022, le maggiori città italiane sono state meno resilienti rispetto alla provincia. Tra il 2019 e il 2023 gli occupati nelle 13 maggiori città italiane, che rappresentano il 15,9% dell’occupazione totale in Italia, sono saliti di sole 7mila unità (una sostanziale stazionarietà, con un aumento dello 0,2%), mentre i restanti comuni delle rispettive province hanno registrato un aumento dell’occupazione di 136mila occupati, pari al +3,2%. A conferma di questa tendenza, nei territori della provincia, a più elevata presenza di imprese artigiane, si è osservata la maggiore performance del mercato del lavoro[4].
Anche le relazioni con l’estero – basate sulle esportazioni e sull’offerta di servizi turistici – richiedono direttrici di crescita bilanciata tra i maggiori centri urbani e i comuni minori della provincia italiana. Il modello di sviluppo italiano, con le radici nel ‘triangolo industriale’ degli anni Cinquanta del secolo scorso, mantiene un terzo (35,9%) dell’export nei sistemi di lavoro delle principali realtà urbane[5], mentre i due terzi della produzione del made in Italy si distribuiscono tra i sistemi locali caratterizzati da una presenza diffusa di comuni medio-piccoli (37,8%) e quelli delle città medie (26,3%). Mentre le maggiori città sono più specializzate nei settori della pelle, della chimica e farmaceutica, dei computer e degli altri mezzi di trasporto, i sistemi locali delle città medie, e più in generale quelli della provincia, dominano per il made in Italy dei prodotti in metallo, primo comparto dell’artigianato manifatturiero, del vetro, cemento e ceramica, del legno e dei mobili, dell’alimentare e delle bevande. Per questi ultimi due settori la produzione in provincia meglio si integra con l’offerta di prodotti agricoli, favorendo l’uso più sostenibile di materie prime a ‘chilometro zero’.
Le 116 maggiori città italiane intercettano il 36,5% degli arrivi ma solo il 28,6% delle presenze, con una lunghezza delle vacanze che è più contenuta rispetto a quella delle altre località di mare e montagna, più vocate ad una durata dei soggiorni più lunga. Una maggiore creazione di valore deriva dall’integrazione tra il turismo nelle località marine e montane e quello delle città.
Una imprese artigiana su quattro lavora nelle maggiori città – L’artigianato garantisce la coesione sociale nei piccoli e medi comuni italiani, oltre ad una significativa presenza nelle maggiori città. Nei 116 comuni capoluoghi di provincia, città metropolitane e i maggiori comuni non capoluogo, si addensano 258mila imprese artigiane, pari a 24,9% del totale nazionale, con 623mila addetti che rappresentano il 23,9% dell’occupazione dell’artigianato nazionale.
Mentre nei comuni più piccoli, fino a 10mila abitanti, si osserva una maggiore specializzazione nel manifatturiero e nelle costruzioni, nei comuni più grandi, con oltre 50mila abitanti, si configura un artigianato maggiormente specializzato nel terziario, in particolare nei servizi di trasporto persone e ristorazione, servizi digitali (software e informatica), servizi tecnici, per gli edifici e il paesaggio, il benessere e le altre attività di servizi per la persona. In questi settori la presenza di imprese a conduzione femminile è del 28,9%, superiore di oltre dieci punti al 18,6% dei restanti settori, delineando la presenza nelle città di una struttura imprenditoriale più orientata alla parità di genere.
[1] Nazioni Unite (2018), World Urbanization Prospects 2018
[2] Eurostat (2022), Urban-rural Europe – introduction, Statistics Explained
[3] Commissione europea (2023), Survey on the Quality of Life (QoL) in European Cities 2023
[4] Confartigianato (2024), IA e complementarietà, l’equazione dell’Intelligenza Artigiana – Key data della cultura artigiana, report per la 3a Giornata della cultura artigiana
[5] Istat (2011), Forme, livelli e dinamiche dell’urbanizzazione in Italia
Immagine realizzata con ChatGPT4
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Enrico Quintavalle
Enrico Quintavalle è nato a Padova nel 1960, laureato in economia e commercio all’Università Cà Foscari di Venezia, è responsabile dell’Ufficio Studi di Confartigianato Imprese e Direttore scientifico degli Osservatori in rete del sistema Confartigianato. Autore di numerosi articoli e rapporti su economia d’impresa, politica economica, finanza pubblica ed economia energetica. Con Giulio Sapelli ha scritto ‘Nulla è come prima’, Milano, 2019 Guerini e Associati. Dal 2009 cura una rubrica settimanale su QE-Quotidiano Energia.