Il femminicidio di Giulia Cecchettin, pur non essendo purtroppo né il primo né l’unico (e neanche l’ultimo) avvenuto nel 2023, ha scosso profondamente le coscienze. Per i profili di vittima e carnefice, così simili ai “bravi ragazzi della porta accanto” che chiunque di noi ha la possibilità di incontrare e conoscere, per le modalità efferate, e perché perpetrato proprio a ridosso della ricorrenza del 25 novembre, data in cui si celebra il contrasto alla violenza sulle donne.

Passato il momento dell’indignazione e del dolore, di fronte a eventi come questo è necessario riflettere su quanto sia necessario fare per alimentare il cambiamento culturale che consenta alle donne di esprimere in modo pieno e soddisfacente il proprio ruolo nella società, e che nel contempo contribuisca a rimuovere gli stereotipi che nutrono e favoriscono comportamenti violenti e aggressivi contro le donne.

 

Indipendenza Economica: un prerequisito

L’indipendenza economica è il fattore chiave che permette alle donne di sottrarsi alla violenza degli uomini, che usano la leva del denaro per mantenerle dipendenti e soggiogate. Va ricordato infatti che delle 15.559 donne che nel 2020 hanno iniziato un percorso personalizzato di uscita dalla violenza, solo il 35,5% era occupato stabilmente, mentre il 48,7% risultava non autonomo dal punto di vista economico.

L’indipendenza economica è ampiamente riconosciuta come un prerequisito che permette a ciascuna persona di esercitare il controllo sulla propria vita e fare scelte informate.

Il paragrafo 26 della Dichiarazione di Pechino adottata durante la Quarta Conferenza Mondiale sulle Donne (1995) fa menzione a un chiaro impegno degli Stati a “promuovere l’indipendenza economica delle donne, in particolare attraverso l’accesso all’occupazione, ed eliminare il perdurante e crescente peso della povertà sulle donne, (…) assicurando a tutte le donne – in particolare a quelle che vivono in aree rurali – parità di accesso, in quanto protagoniste essenziali dello sviluppo, alle risorse produttive, alle opportunità e ai servizi pubblici”.

Favorire l’inclusione occupazionale rappresenta quindi un passaggio imprescindibile per contrastare le condizioni di disagio che favoriscono comportamenti aggressivi e prevaricanti verso le donne. E non si tratta soltanto di una questione di giustizia e di inclusione sociale perché l’incremento occupazionale femminile potrebbe favorire anche lo sviluppo economico del nostro Paese. E’ stato stimato infatti che un incremento della forza lavoro femminile in Italia porterebbe all’aumento del PIL nazionale di un punto percentuale l’anno, a partire dal 2030.

 

Occupazione femminile: a che punto siamo

Il Global Gender Gap Index del Word Economic Forum è l’indice, introdotto nel 2006, che misura il livello di parità raggiunto nei vari Paesi nel mondo.

Le quattro dimensioni con cui viene misurato il divario tra uomo e donna sono lavoro, istruzione, salute e rappresentanza politica. In relazione all’indice globale l’Italia era al 63° posto nel 2022, mentre nel 2023 risulta al 79° posto su 146 paesi.

Il nostro tallone d’Achille continua ad essere  proprio l’aspetto lavorativo ed economico, sul quale ci ritroviamo ora al  104° posto su 146 Paesi. All’attuale ritmo di progresso, evidenzia il Rapporto, ci vorranno nel nostro Paese 131 anni per raggiungere la piena parità. E se facciamo riferimento alla parità retributiva la situazione non migliora.  In generale, a parità di mansioni, secondo quanto riportato dal Gender Gap Report 2021 di Job Pricing, lo stipendio lordo annuo delle donne è inferiore dell’11,5% rispetto a quello degli uomini. Un gap salariale che, fra l’altro, cresce inspiegabilmente con l’aumentare del livello di istruzione raggiunto.

Il Premio Nobel a Claudia Goldin ha avuto, in questo senso, un significato evocativo perché ha rafforzato l’attenzione sul tema. A partire dal saggio A grand gender convergence: its last chapter pubblicato sull’American Economic Review nel 2014, Goldin individua nel tempo di lavoro una delle ragioni principali di una persistente disparità salariale uomo-donna.

Il maggior attaccamento degli uomini alla realtà produttiva, in particolare nei settori legale e finanziario ‘senza orario’, penalizza, sul piano economico, le donne che rinunciano a ore lavorate per dedicarsi alla dimensione familiare e di cura, troppo spesso ritenute ancora un prevalente appannaggio femminile.

Claudia Goldin evidenzia come la quantità del numero di ore lavorate costituisca il criterio di scelta e di valorizzazione della performance privilegiato dei lavoratori e delle lavoratrici, anche a discapito della qualità del livello di istruzione e dell’esperienza dei candidati e delle candidate.

Individua quindi il germe della disparità nell’organizzazione e nella cultura del lavoro e nell’approccio alle responsabilità di cura ad oggi prevalenti, che devono cambiare in modo profondo.

Gli uomini hanno un ruolo essenziale nel garantire progressi verso la parità di genere, anche condividendo equamente le responsabilità di assistenza verso le persone a carico, uno dei presupposti di un’equa partecipazione delle donne al mercato del lavoro. La creazione di “regole del gioco” che consentano sia alle donne che agli uomini una reale libertà personale di scelta nella conciliazione di vita professionale, familiare e privata, è vantaggiosa per entrambi i sessi ed è un modo per far progredire la realizzazione pratica di una parità di fatto tra uomini e donne.

Se poi riconosciamo che sostenere il rispetto reciproco, mettersi nei panni degli altri, fare spazio a identità diverse da noi, mettersi in ascolto e a disposizione, sono tutti efficaci antidoti contro ogni tipo di violenza, anche le relazioni di lavoro possono e devono nutrirsi degli stessi elementi virtuosi.

Ecco quindi che la creazione delle condizioni più favorevoli per lo sviluppo di un ambiente di lavoro inclusivo, che offra pari opportunità a tutti gli individui per i loro meriti e capacità (a prescindere dal sesso, colore della pelle, orientamento, etc.), rappresenta una priorità per le imprese, un percorso di maturazione da intraprendere con consapevolezza e convinzione.

Il primo passo da compiere, tutti insieme (associazioni datoriali, imprenditoriali, associazioni manageriali, associazioni femminili, ma anche imprenditori e manager) è sviluppare la sensibilità delle persone che operano nelle imprese affinché le pari opportunità siano percepite non come un vincolo o un vuoto slogan, ma come una reale opportunità. E’ indispensabile coinvolgere e sensibilizzare i vertici, il management e gli stakeholder affinché sviluppino la consapevolezza dei benefici che l’approccio improntato alle pari opportunità può generare, non solo in termini di immagine, ma anche di ricadute sul business e di impatto sul mercato. Perché, ancora una volta, si affermi il principio che l’equità di genere non è solo un tema di “giustizia sociale” ma fa anche bene al business.

Le aziende che hanno maggiore successo sono proprio quelle che puntano sull’inclusività. Perché un ambiente di lavoro inclusivo favorisce la creatività e l’innovazione, stimola la produttività, e ha ricadute positive sulla reputazione e sull’immagine aziendale, fattori che implicano anche una maggiore attrattività sia per i giovani talenti che per gli investitori.

 

Colmare il Gender Gap: un percorso strutturato

Un piano di lavoro orientato al superamento del Gender Gap, ben articolato e strutturato, non può prescindere da alcuni passaggi fondamentali, qui brevemente elencati:

  • Stabilire obiettivi legati alla diversità di genere e impegnarsi per raggiungerli, monitorando i progressi
  • Sensibilizzare le persone sui pregiudizi inconsapevoli (unconscious bias)
  • Promuovere e realizzare una maggiore partecipazione delle donne al mercato del lavoro
  • Introdurre provvedimenti e iniziative volti a migliorare la conciliazione tra tempi di vita e di lavoro, e a sostenere la genitorialità e la cura degli anziani
  • Assicurare equità di trattamento ed uguaglianza tra generi
  • Migliorare le condizioni di lavoro delle donne anche in termini qualitativi, di remunerazione e di ruolo
  • Rafforzare la rappresentanza delle donne nei ruoli istituzionali, decisionali e di leadership

In particolare, riguardo all’ultimo punto, promuovere e sostenere la leadership femminile è fondamentale per creare il substrato sociale necessario per innescare il cambiamento culturale e per garantire la diversità nei processi decisionali.

La leadership autoritaria e machista che ha prevalso fino a non molto tempo fa infatti mostra tutti i suoi limiti, mentre si affermano modelli inclusivi, partecipativi, improntati alla gentilezza, all’empatia e al coinvolgimento, che sono più capaci di rafforzare lo spirito di squadra e di mobilitare le persone verso il raggiungimento di obiettivi comuni. Questo tipo di modelli di leadership trovano una più efficace realizzazione in organizzazioni ove le presenze maschile e femminile siano equilibrate a tutti i livelli.

Va considerato infatti che, affinché una minoranza non sia più percepita e non si autopercepisca come tale, è necessario che il gruppo meno rappresentato raggiunga un’incidenza almeno pari al 30%: è questa la quota minima da raggiungere per poter esprimere e far sentire la propria voce e per incidere sui processi decisionali.

Non va dimenticato inoltre che una forza lavoro più diversificata, con un maggior numero di donne in ruoli di leadership, porta a innovazione e prestazioni finanziarie superiori. Gli studi dimostrano che la presenza di donne in posizioni dirigenziali aiuta le organizzazioni a stabilire relazioni più profonde con i clienti, a essere di ispirazione per le altre dipendenti e ad aumentare il coinvolgimento del personale.

 

Realizzare una forza lavoro diversificata: gli aiuti concreti della legislazione

La legge n. 120 del 2011 (la cosiddetta “Golfo-Mosca”) ha introdotto il principio delle quote di genere nei CdA delle società quotate, comprese quelle a partecipazione statale. Quando la legge entrò in vigore, le società quotate erano 272, con un totale di 2815 consiglieri, di cui 2646 uomini e soltanto 169 donne (pari ad appena il 6% del totale). La fotografia che è stata rilevata 10 anni dopo dal rapporto della Consob reso pubblico il 6 aprile 2021 indicava che nei board dei CdA delle quotate, rinnovati nel 2020, sedeva il 42,8% di presenze femminili. La legge ha dimostrato quindi la sua piena efficacia nel dispiegare i suoi effetti a medio termine e nell’innescare un cambiamento strutturale dei processi di recruitment dei membri dei CdA delle quotate. Ora però è arrivato il momento di compiere un ulteriore salto di qualità, favorendo una più ampia e distribuita incidenza delle donne nei ruoli decisionali e manageriali a tutti i livelli nelle organizzazioni.

Anche in questo caso un aiuto di carattere normativo si rivelerà prezioso per accelerare e fluidificare processi che altrimenti richiederebbero troppo tempo e una fatica titanica per essere attuati.

 La Certificazione della parità di genere si inquadra all’interno degli interventi previsti dal PNRR, che promuove la parità di genere all’interno di tutte e sei le missioni del Piano. In particolare con la legge n. 162 del 2021, che ha introdotto la certificazione, e con la successiva pubblicazione della prassi UNI 125:2022, si vuole dare attuazione proprio alla Missione 5 del PNRR.

La finalità del Sistema di certificazione della parità di genere è di favorire l’adozione di politiche per la parità di genere e per l’empowerment femminile a livello aziendale, migliorando inoltre la possibilità per le donne di accedere al mercato del lavoro, alle posizioni di leadership e a un maggior livello di armonizzazione dei tempi di vita e di lavoro.

La certificazione deve infatti assicurare una maggiore qualità del lavoro femminile, promuovendo la trasparenza nei processi lavorativi nelle imprese, riducendo il “gender pay gap”, aumentando le opportunità di crescita in azienda e tutelando la maternità.

Si tratta quindi di un intervento concreto, come previsto proprio dal PNRR, a titolarità del Dipartimento per le pari opportunità della Presidenza del Consiglio dei ministri, volto ad accompagnare ed incentivare le imprese ad adottare policy adeguate a ridurre il divario di genere in tutte le aree maggiormente critiche per la crescita professionale delle donne.

Al fine di promuoverne l’adozione è stato previsto un sistema di premialità che prevede, per le aziende private che siano in possesso della certificazione della parità di genere, in applicazione della prassi UNI/PdR 125:2022 rilasciata da un organismo di certificazione accreditato, l’esonero dal versamento di una percentuale dei complessivi contributi previdenziali a carico del datore di lavoro. Inoltre, sempre per sostenere l’adozione della certificazione della parità di genere, nel “Codice dei contratti pubblici”, è prevista una diminuzione della garanzia prevista per la partecipazione alle procedure di gara da parte di aziende certificate, oltre alla possibilità per le amministrazioni aggiudicatrici di istituire sistemi premiali legati al possesso della certificazione di genere.

Inoltre per le piccole e medie imprese e micro imprese, al fine di facilitare il processo di certificazione, sono previsti contributi economici destinati sia a supportare servizi di assistenza tecnica e accompagnamento alla certificazione, sia a sostenere i costi di certificazione.

Il legislatore ha deciso di incentivare le aziende che ricorrono alla certificazione accreditata sulla parità di genere, mettendo a disposizione nel PNRR, risorse pari a 10 milioni di euro.

Ad oggi sono oltre 800 le aziende che hanno superato i test che certificano l’abbattimento di ogni forma di gender gap sui luoghi di lavoro, a riprova del fatto che l’emergenza culturale e le misure proposte stanno alimentando una nuova consapevolezza. Con questo ritmo l’obiettivo che era stato fissato, ovvero almeno 1.000 imprese italiane certificate entro il 2026, promette di essere abbondantemente superato.

 

Conclusioni

A livello internazionale, gli obiettivi in tema di parità di genere recentemente fissati dall’Agenda Onu 2030 per lo Sviluppo Sostenibile puntano espressamente all’eliminazione della violenza contro le donne anche attraverso la loro indipendenza occupazionale ed economica.

Malgrado le ineguaglianze siano diminuite negli ultimi decenni, continuano a esistere ancora considerevoli divari in termini di occupazione, imprenditorialità, posizioni di elevata responsabilità, oltre che di retribuzioni e pensioni, motivo per cui le donne corrono anche un maggiore rischio di povertà rispetto agli uomini. Gli uomini continuano invece a essere sottorappresentati in settori quali l’assistenza all’infanzia e agli anziani, l’istruzione prescolastica, la sanità e il lavoro di cura.

La parità di genere è un presupposto per la crescita economica, la prosperità e la competitività, e quindi per la sostenibilità e il benessere delle nostre società.

Un impegno politico formale e iniziative politiche attive sono pertanto necessari per accelerare i progressi e soddisfare le aspettative dei cittadini.

Così come cruciale è anche il ruolo delle organizzazioni produttive e delle istituzioni e associazioni che le rappresentano, per affermare una società più equa, solidale e inclusiva delle diversità.