Secondo la Treccani: “paradosso (dal greco pará, «oltre, contro», e dóxa, «opinione») (è il) termine applicato, nella sua accezione più ampia, a qualsiasi affermazione o ragionamento che contrasti con l’opinione comune e con ciò che di solito è ritenuto ovvio”.  

 

Se il paradosso è la smentita del senso comune, non sorprende che ci troviamo immersi nella sua epoca regina, visto che come mai oggi tante certezze che tale senso comune definivano vacillano, fino a scomparire. 

 

Gli articoli che seguono provano a raccontare questi paradossi, che toccano pressoché ogni sfera del nostro vivere civile e del nostro operare economico. Sono paradossi demografici, sono paradossi tecnologici, sono paradossi che riguardano alcuni fondamentali del funzionamento delle imprese occidentali (la disponibilità di mercati liberi e globali, e di un mercato del lavoro con alti e bassi fisiologici, ma solido nella sua infrastruttura). Tutto è scosso dalle fondamenta, ingegnerizzato per tradire consuetudini e aspettative. 

Non tutto il cambiamento, questo cambiamento, è “opportunità”, come nel mantra dei consulenti più superficiali: se pensiamo all’instabilità geopolitica, alle minacce per la democrazia e alle crisi che toccano settori cruciali per il nostro sistema produttivo possiamo serenamente pensare che “si stava meglio prima”, senza passare per vieti conservatori. 

Realisticamente, però, non abbiamo tempo e modo per lamentarci. Gli artigiani rispondono alle sfide e alle avversità facendo quello che sanno fare: lavorando, innovando, sviluppando resilienza. 

 

Quindi i nodi dei paradossi vanno tagliati con la spada, non aspettando che si sciolgano, perché o non lo faranno presto, o lo faranno potenzialmente in senso avverso alla nostra economia, alla nostra cultura, al nostro essere comunità coesa, operosa, generativa. 

 

Di fronte alle crepe dell’economia globalizzata, alle minacce di una tecnologia antiumana, alla crescente violenza politica e delle relazioni internazionali è possibile, anzi necessario riaffermare il valore di un’economia che ha l’uomo, le comunità e il lavoro al centro e che è quella incarnata dagli artigiani e dalla loro intelligenza. 

Non si tratta di chiudersi all’innovazione, anzi. Riaffermare il valore dell’artigianato come scelta etica ancora prima che come organizzazione economica aziendale non può prescindere da fortissime dosi di innovazione, dal dare del tu alla tecnologia e dal comprendere i mutamenti sociali, senza stare tristemente a rimpiangere quello che non è più. 

Conosciuto il nuovo, i suoi paradossi, si tratta di riaffermare il valore ripeto etico di una modalità di organizzazione della produzione e della società che forse è più lenta, ed è inevitabile, perché si misura a distanza di braccio umano, ma è certamente più sana, perché non produce quelle scorie, ambientali, sociali e politiche, che intossicano il vivere civile, come apprende chiunque oggi sfogli un giornale. 

Affermare questa alterità positiva, l’essere pienamente contemporanei e umani, anzi i migliori contemporanei perché i più umani, non può che partire dal capire cosa succede, e cosa non va, per adattarvisi e rispondere con creatività tutta artigiana. 

Gli articoli che seguono sono un modesto, seminale contributo a questo processo di informazione. 

Buona lettura. 

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